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Nuove forme di rappresentanza studentesca per nuovi cittadini

(Italiano, Convegno sull'UniversitĂ , Palazzo Nuovo, Torino, 19 Aprile 1997)

Questo è forse il discorso a cui tengo di più. Fu scritto per un convegno sull'Università, alla presenza dell'allora ministro Luigi Berlinguer e di varie autorità, che si tenne a Torino, a Palazzo Nuovo, il 19 aprile 1997. Il convegno fu pesantemente disturbato da gruppi di autonomi, con attimi in cui fu impossibile andare avanti e si sfiorò lo scontro fisico. I momenti peggiori furono due; il primo, quando tentò di parlare un rappresentante del FUAN-DU (giovani di destra). Il secondo fu quando io, esponente dell'odiato Politecnico (già in precedenza definito "il braccio armato della Confindustria"), mi misi a parlare di democrazia. Probabilmente a loro la democrazia non piaceva.

Vittorio Bertola
Rappresentante nel Consiglio d’Amministrazione del Politecnico di Torino

 

Il nostro sistema formativo, a seconda delle sedi e degli ambiti, offre una qualità della formazione molto variabile, ma che nel suo complesso ha una caratteristica quasi generale: quella di produrre pessimi cittadini. E’ indubbio difatti che ciò che più separa l’Italia dal mondo civilizzato è l’atteggiamento verso lo Stato e il rispetto verso la collettività; in Italia chi trova un nuovo modo di eludere le tasse è un mago della finanza, e così via, fino al mancato rispetto del Codice della Strada.

Il problema è che nelle nostre scuole si insegna di tutto e di più, dall’ecologia all’educazione sessuale, ma non si insegna che alla base della civile convivenza vi sono delle regole e che è interesse di tutti che esse esistano e vengano fatte rispettare; e non si insegna neanche che ognuno è responsabile delle proprie azioni e ne deve pagare in prima persona le conseguenze. Non si insegna quindi che ogni cittadino, oltre a vantare verso lo Stato dei diritti, ha anche dei doveri, primo tra tutti quello di interessarsi della gestione della cosa comune, e di provare in prima persona l’esperienza di esserne responsabile di una parte, per quanto minima, e di dover quindi rispondere del suo funzionamento.

Per questo motivo il tema del mio breve intervento è quello della rappresentanza studentesca nelle Università: difatti, essa dovrebbe essere uno dei principali canali per coinvolgere il singolo studente nella vita della propria istituzione. Innanzi tutto occorre sfatare un mito, e cioè quello che i giovani siano individualisti e poco interessati alla gestione della collettività. Nonostante, come detto, il nostro sistema formativo tenda a soffocare l’interesse civico degli studenti, almeno in quella parte selezionata ma ampia del mondo giovanile costituita dagli studenti universitari c’è un forte interesse per gli altri e per la collettività. Tuttavia, nello stato attuale questo interesse si incanala verso altre esperienze: non è assolutamente casuale, in corrispondenza del crollo dell’interesse giovanile verso la politica, l’esplosione delle associazioni di volontariato e in generale dei gruppi studenteschi che si formano attorno a un progetto, sia esso un giornale o un servizio da offrire agli altri studenti. Di fatto, i giovani si sentono rifiutati dallo Stato e dalle forme ufficiali di partecipazione, come appunto la rappresentanza studentesca, perché la identificano, in modo forse un po’ qualunquista ma certo non lontano dal vero, con una classe dirigente e politica che, quando non è corrotta, è rissosa, inconcludente, priva del più evidente buon senso e tesa a privilegiare la schermaglia ideologica e la tattica politica rispetto al raggiungimento di obiettivi concreti e condivisi.

E’ inutile dire che la situazione attuale getta gravi ombre sul futuro della nostra democrazia; ma, almeno a livello delle Università, dove i problemi sono più concretamente visibili e dove la loro soluzione è normalmente una questione tecnica, e non ideologica, qualcosa si può fare. E’ necessario riformare radicalmente le forme della rappresentanza, in modo che le cariche studentesche non siano terreno di conquista per piccoli D’Alema o giovani Fini, ma che l’attività di rappresentante diventi parte della formazione - giacchè essa è indubbiamente molto più formativa di quasi tutti i normali corsi universitari - e venga quindi inserita nel curriculum, contribuendo al raggiungimento della laurea; e che essa venga premiata anche con apposite borse di studio, giacchè in caso contrario si rischia di abbandonarla a chi svolge tale attività con secondi fini. Inoltre, è necessario congegnare il sistema di rappresentanza in modo da non avere l’attuale debolissimo rapporto tra rappresentanti e rappresentati, derivante da elezioni in cui decine di migliaia di studenti scelgono tra listoni di gente sconosciuta, ma piuttosto da riproporre su scala maggiore il sistema in vigore con buoni risultati nelle scuole superiori, in modo che ogni studente abbia un compagno di corso suo rappresentante. Infine, è necessario che i rappresentanti abbiano soprattutto un ruolo organizzativo, e si trovino a gestire, di concerto con l’Amministrazione ma in sostanziale libertà, dei veri e propri centri di spesa, delle "Student Union" che si occupino di gestire servizi per gli studenti. Quanto proposto può sembrare fantascienza secondo la mentalità italiana, ma è in realtà una riproposizione dei sistemi in vigore in molte altre nazioni, come l’Inghilterra, in cui il senso dello Stato è decisamente maggiore.

Speriamo quindi che il Governo, nel caso intenda procedere a qualcosa di concreto, recepisca le nostre proposte, che sono esposte non con spirito polemico, ma con il desiderio di contribuire al miglioramento dell’Italia. Vi dirò anche che quando nel nostro Ateneo si tennero le elezioni studentesche, io e pochi altri miei compagni ci presentammo dicendo queste stesse cose; ebbene, a quelle elezioni partecipò il 32% degli studenti, e la nostra lista, messa su due settimane prima delle elezioni, formata da quattro perfetti sconosciuti, e senza altra pubblicità che qualche volantino pagato di tasca nostra, raccolse il 53% dei voti. Dico questo non per vantarmi, ma perché questo prova che le cose che sto dicendo non sono sciocchezze, e che è il caso di prenderle in considerazione. Tuttavia, devo dire con dispiacere che ho assistito in questo senso a segnali fortemente preoccupanti. Al di là di quanto detto, mi chiedo come sia possibile che i rappresentanti degli studenti nei Senati e nei Consigli d’Amministrazione delle varie Università - che, ricordo, sono gli unici legittimamente e democraticamente eletti dagli studenti - apprendano di alcune importanti riforme universitarie dai giornali, e che perdipiù debbano sentire il Ministro al telegiornale dichiarare di averli "concordati con gli studenti". Ho poi saputo che gli studenti a cui si riferiva il Ministro erano alcuni esponenti dei movimenti giovanili dei vari partiti, scelti non si sa bene da chi e con quale criterio, e quindi in modo tutt’altro che democratico, specialmente in presenza di rappresentanti regolarmente eletti nelle Università. Il vero problema oggi è che invitare attorno ad un tavolo i rappresentanti dei movimenti politici giovanili di ogni colore equivale a lasciare fuori quella grande, enorme maggioranza di giovani che, come provano i fatti, da loro e dai loro partiti non si sente rappresentata. Proseguire lungo questa strada, quindi, vuol dire aumentare ancora di più il distacco tra i giovani e le istituzioni, e compromettere quindi il principio base della democrazia: il fatto che chiunque possa e debba contribuire alla gestione dello Stato.

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