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Archivio per il mese di Ottobre 2006


mercoledì 18 Ottobre 2006, 07:41

Clerks 2

Ieri sera sono finalmente andato al cinema. Finalmente, perchè se nella mia vita precedente – quando vivevo in coppia – usavo andare al cinema almeno tre o quattro volte al mese, in questa attuale, che dura da due anni e mezzo, ci sarò andato tre o quattro volte in tutto, adattandomi invece alle serate casalinghe davanti a Sky. Il cinema mi piace moltissimo, ma probabilmente non faccio più parte di alcuna compagnia che condivida la passione; o anche, il cinema è una delle più tipiche attività sociali della coppia, per cui i single in età adulta ne restano mediamente esclusi.

Comunque, ho visto Clerks 2, con un po’ di preoccupazione non avendo mai visto il primo; devo invece dire che il film si gode bene lo stesso. La prima metà è scostante, e comprende anche lunghe pause e diverse scene troppo sbrodolate; ma la scena clou che occupa tutto il finale è eccezionale. La volgarità non è così eccessiva (quasi tutto quel che c’era è stato fedelmente riportato negli spot su Radio Flash e Radio Popolare), anche se certo non consiglierei la visione a chi arrossisce a sentir parlare di sesso in modo anatomico. La storia d’amore e la rara pseudofilosofia sono dimenticabili se non irritanti, ma non è quello il punto; il punto sono invece alcune spettacolose scene demenziali qua e là, tra cui una parodia in quindici secondi dell’intera trilogia del Signore degli Anelli che perseguiterà per parecchio tempo tutti i suoi nerd adoratori. Ed è splendidamente assurdo anche il momento Jacksons Five + balletto a centro film.

Insomma, pur non essendo un film indimenticabile, vale il costo del biglietto; e poi, potrete fermarvi per cinque minuti alla fine per leggere l’infinito scrolling di tutti i nomi e cognomi dei “friends” del film su MySpace. Peccato però che uno su dieci abbia per nome “Null”: forse dovevano dare una ripulita a quel dump di database…

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mercoledì 18 Ottobre 2006, 00:41

Ieri

Poco fa, mentre tornavo a casa dal cinema, ho ascoltato su Radio Uno il giornale radio di mezzanotte, che ha aperto parlando di “un incidente in metropolitana a Roma avvenuto ieri mattina”. La cosa mi ha molto stranito: tecnicamente, essendo le 0:00, il termine “ieri” è corretto, ma mi suonava male lo stesso.

Presumo che il passaggio da “ieri” a “oggi” si collochi durante il sonno, e però ancora per qualche ora dopo mezzanotte le persone che sono sveglie lo sono quasi certamente perchè non sono ancora andate a dormire, e non perchè si siano già svegliate: non sarebbe più corretto adottare come ora “spartitraffico” le 3 o le 4? O forse non sarebbe più semplice spostare in avanti di qualche ora l’origine del giorno, per poi alzarci alle quattro, fare pranzo alle nove e cena alle 17?

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martedì 17 Ottobre 2006, 11:04

A tutto schermo

Non è così inusuale che succeda qualcosa di grave in luoghi che conosci comunque bene, come piazza Vittorio a Roma. E’ certamente strano vedere gli infermieri che portano su feriti dalla stessa scala su cui, sei mesi fa, era ambientata proprio la scena finale di questo film con te come protagonista. E’ da “brivido normale” pensare che tu hai preso quella stessa linea, quelle stesse carrozze nuovissime vanto di Veltroni, soltanto giovedì scorso.

Ma è sempre un po’ strano alzarsi, accendere il televisore, e a meno di un’ora dall’impatto vedere la piazza piena di gente, polizia e ambulanze, le persone che escono zoppicando o vengono portate via in barella, il conto dei morti che cresce, i politici che accorrono o telefonano in diretta. La diretta totale di Sky Tg24, Sky News che la rimanda in tutto il mondo, la CNN che manda l’ultim’ora, la notizia che nasce, cresce, vive, tentenna incerta su dove dirigersi, se sulla critica ai politici o sul drammone umano. E poi, piano piano, tra qualche giorno, si spegnerà anch’essa.

Doveva essere un servizio alla società, è ormai un rito guardone. Ma è ipnotico lo stesso.

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martedì 17 Ottobre 2006, 01:14

Beato il popolo

“Beato il popolo che non ha bisogno di eroi” (B. Brecht)

Il mio club, Geneticamente Granata, era invitato da parecchio tempo per questa sera da Carlo Testa in trasmissione; solo ieri a fine partita, però, abbiamo saputo che ci sarebbe stato Urbano Cairo. E quindi, ci siamo preparati per lo show, coi palloncini, i coriandoli, le sciarpe e le maglie granata; e abbiamo avuto il privilegio di far da sfondo al presidente, e di passare la serata a un metro da lui.

La prima parte di trasmissione, difatti, è un preludio minore, che serve solo a farmi notare l’eccezionale bravura di Carlo Testa – credetemi, da casa non la si apprezza appieno, perchè ciò che vedete è solo una parte di quel che il conduttore deve fare; e Carlo recita bene, organizza bene, sorride e scherza scioltissimo, fa filare tutto senza un intoppo anche quando deve improvvisare. Non è facile come sembra, lo scopriamo noi quando tentiamo dei cori e uno parte mal sincronizzato, l’altro invece, forse per troppa tensione, viene lanciato diverso da come lo pensavamo, con tanto di mini-scazzo tra soci alla fine.

Infine, giunge il momento tanto atteso. Già l’arrivo è un delirio: si rientra dalla pubblicità in un oooooh che non finisce perchè l’Atteso non si materializza, tanto che la regia disperata finisce per inquadrare le quinte e la porta di ingresso dello studio, che non è illuminata e pare il buco di Alfredino a Vermicino.

Poi, a fatica, Urbano Cairo rompe il muro di mani tese a toccarlo, e riesce ad arrivare davanti alle telecamere, sommerso dai nostri palloncini e coriandoli e da cori di olè. E’ subito sciolto, lui e Testa fanno coppia perfetta, si fanno da spalla l’uno con l’altro.

Basta la prima mezz’oretta per esporre, in crescendo, il suo mito. Il mito di Cairo che lavora 130 ore la settimana e dorme quattro ore per notte, ma in realtà anche in quelle quattro ore pensa nel sonno a che giocatori comprare. Il mito di Cairo benedetto dal papà e dalla mamma, lui in studio, lei al telefono per elogiarlo ancora, il miglior figlio che si potesse avere. Il mito di Cairo che quando gli ricordano che l’anno scorso ha fatto la squadra in sette giorni risponde senza esitare “Come Dio!”, anche se dopo qualche secondo si rende conto e ritratta (è pure seduto accanto a don Rabino…).

La gente è in delirio, pende dalle sue labbra, urla con gli occhi: di più, di più – che difatti è il nome di una delle sue riviste… E lui acconsente, e tira fuori altri numeri. Il Toro è vostro, dice, io sento la responsabilità, lo faccio per voi, sono vostro servo. Prosegue con il giuramento sulla testa dei suoi figli (nello specifico, che non venderà il Toro ai russi), un classico tratto direttamente dal Manuale di comunicazione moderna di Berlusconi S., edizioni Mondadori. Alla fine arriva persino, senza che lui debba fare un cenno, il momento del linciaggio pubblico del nemico: alla cauta menzione di Tuttosport in forma interrogativa, prima che lui possa parlare, la folla (cioè io, noi, tutti, sciolti e indistinti nel branco adorante) batte di piedi sulla scena con un rollio lugubre che ricorda quello di un carro bestiame in partenza per Auschwitz. Se fossi in Padovan, starei attento ad uscire di casa.

E’ proprio questo che mi colpisce, alla fine: Cairo in tutto questo sparisce, è lì ma recita una scena, persino quando è onestamente sincero. E’ un personaggio retorico, che evidenzia nella loro nudità le nostre parti peggiori: quelle che ad ogni stacco pubblicitario lo assalgono a gomiti alti per avere una firma, una foto, una stretta di mano. Non lo fanno quasi respirare, lo spingono, lo strappano: tutti, non solo gli stupidi, non solo i deboli. La Gisella (lampante dimostrazione che bellezza più cervello uguale costante; ma che tette!) che dichiara in diretta di fremere per lui. Il cantante granata che gira con copie del suo CD da fargli benedire, e chissà che non ci scappi un contratto. Il tifoso che gli fa firmare la sciarpa e poi chiede conferma a me che si legga bene “Urbano”. L’ospite che ruba due volte la parola al conduttore per fare una domanda scelta apposta per far bella figura col mondo, e il fatto che la risposta sia scontata è secondario. Il vecchiardo di Geriatria Granata che prende il microfono solo per ricordare al presidente quand’è che si erano già incontrati. Tutti in tiro, nel vestito della festa, cercano di vivere di luce riflessa. Gli unici immuni, nella loro innocenza, sono i bambini, che verso lo scoccar delle undici vorrebbero essere ovunque tranne che lì, tirano calci nella schiena a Testa e dondolano dietro Cairo incuranti di rovinargli l’inquadratura.

Spero che queste righe non siano fraintese: anche a me Cairo fa un’ottima impressione, pare generalmente sincero, ed è nel complesso una persona assolutamente fuori dal comune. Ma io, su Cairo, non posso dare un giudizio. Non lo conosco; nessuno di noi lo conosce veramente. Dovrei andarci a cena una sera, guardarlo per un po’ lontano dalle telecamere, per poter provare a capire qualcosa. Dovrei parlare con l’essere umano.

So, però, che non vorrei essere Cairo. Non vorrei esserlo adesso, una vita da privilegiato in corsa a farsi tirare per la giacchetta; e non vorrei esserlo quando, come in tutte le cose, anche per lui la ruota farà un giro a vuoto. C’è troppa umanità in attesa fremente, davanti a lui: Cairo, imponici le mani. Sorridi e saluta il mio bimbo malato. Facci ridere, Cairo, facci divertire. Vendica le nostre vite frustrate da capuffici gobbi e globalizzazioni al ribasso. Facci, semplicemente, sognare.

Ma non deluderci, Cairo, perchè se no diventeremo cattivi.

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lunedì 16 Ottobre 2006, 15:48

Ciao con la manina

Da domani poi si torna ad argomenti normali, promesso! Però devo ancora segnalarvi un’occasione imperdibile di vedere (forse) il vostro blogger preferito in TV: questa sera io e tutti i Geneticamente Granata saremo ospiti di Carlo Testa nella più vista trasmissione sportiva del Piemonte, Orgoglio Granata, alle 20:30 su GRP. Il piccolo particolare è che questa sera sarà ospite anche il presidente Cairo, che con la sua fluente parlantina occuperà ogni secondo libero della trasmissione. Ma cercherò almeno di farvi ciao con la manina dallo sfondo!

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lunedì 16 Ottobre 2006, 10:59

Siamo una squadra fortissimi

No, non quelli che vanno in campo, noi che stiamo nella curva!

Dove altro la trovi una tifoseria in cui un ultrà gestisce una pizzeria, e ti accoglie la domenica sera (tavolo prenotato per 22) dicendoti che non può farti la pizza, perchè sabato sera c’è stato il pienone, domenica a pranzo pure, e domenica pomeriggio non potevano preparare le pagnottelle di pasta perchè l’intero personale era allo stadio a tifare?

E dove altro i 22 avventori invece di lamentarsi di ciò si accontentano di farinata e padellino e anzi gli fanno pure i complimenti?

E dove altro, quando la lei di una coppietta sedutasi a un tavolo, pur se teoricamente avvisata dallo strano arredamento e dal colore granata uniforme dal pavimento al soffitto, dichiara improvvidamente di “tifare alla Juve”, i 22 avventori – uomini e donne dai 15 ai 55 anni – si alzano in piedi e, seguiti dalla maggior parte dei presenti, intonano come un sol uomo una infilata di cori antigobbi da far venir giù il palazzo, per cinque minuti abbondanti, finchè i due non se ne vanno, spinti fuori dal muro di suono, e salutati da un ultimo devastante “CIAO, CIAO, CIAO, CIAO, JUVEEEE… VATTELAAA A PIGLIAAR NEL CULOO… VATTELAAA A PIGLIAAR NEL CULOO…”.

E non era nemmeno in senso letterale, perchè, dopo un exploit del genere, lui sarà senz’altro andato in bianco! E se lo meritava!!

to-chievo.jpg
Ieri ho fatto il dueastista nell’intervallo, per testimonianza di gruppo.
(Foto: forumista Blackpanther dal Verbano)

Ricomponendomi, non posso non segnalare che all’inizio del secondo tempo abbiamo esposto lo striscione da noi accuratamente pittato per tutto il sabato pomeriggio, “IL TEMPO NON CANCELLA IL RICORDO – GIGI MERONI PER SEMPRE” (fanno circa 40 metri di striscione da verniciare, spugnare, asciugare col phon, irrigidire con lo scotch, attaccare alle asticelle e poi arrotolare in una matassa che si solleva a fatica: un lavoro di tre ore per dieci persone). Abbiamo anche gridato per un paio di minuti, mentre le squadre cominciavano a giocare, il nome di Meroni. Subito dopo il Toro ha segnato, e quindi aggiungiamo anche questo episodio alla voce “tremendismo granata”, quella per cui il 15 ottobre, in questi 39 anni, il Toro ha giocato otto volte senza perdere mai.

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domenica 15 Ottobre 2006, 12:03

La fine del sogno

Il quindici ottobre è ancora, a trentanove anni di distanza, una triste ricorrenza per molti. E’ il giorno in cui, a 24 anni, morì tragicamente Gigi Meroni, il numero sette del Toro; così giovane, già un mito di calcio e di vita per tutta la sua generazione.

La sua breve esistenza fu tutta nel triangolo industriale che spingeva allora il boom stupefacente dell’Italia: nato a Como, svezzato calcisticamente al Genoa, esploso definitivamente al Torino. Per la buona borghesia sabauda, tuttavia, Meroni fu il prototipo del dësgrassià: barba e capelli lunghi, abitudini eccentriche, vestiti da Beatle, mansarda da pittore (pare persino di talento) in piazza Vittorio, e vita nel peccato, convivendo senza sposarsi con una ragazza che per lui aveva mandato a monte il matrimonio concordato dai genitori. Notissimi sono gli aneddoti di Meroni che passeggia per strada con una gallina al guinzaglio, o che si traveste da giornalista per chiedere ai passanti se conoscessero Meroni, e cosa pensassero della sua vita dissoluta.

In campo era uguale: imprevedibile, immarcabile, inarrestabile, disegnava ghirigori, tanto da rimanere alla storia come “la farfalla granata”. Giocava all’ala, in un ruolo che ormai non ha quasi più senso, travolto dal calcio pompato di muscoli e ingabbiato dalle tattiche totali. Diventò subito un idolo, sia per la vita, sia per le magie del suo gioco, tanto che quando il giovane Agnelli provò a portarlo alla Juve la città insorse, e non se ne potè far nulla.

E poi, la tragica fine, una domenica sera dopo una partita vinta, in un modo apparentemente banale: investito da una macchina mentre attraversava il viale di corso Re Umberto (non avrete problemi a trovare il punto esatto: ci sono fiori in permanenza da quarant’anni). Ma la banalità è solo apparente, visto che l’investitore, neopatentato e diciannovenne, fu quell’Attilio Romero che, trenta e qualcosa anni dopo, da presidente per conto …nelli ammazzò anche il Toro; una coincidenza che se l’avessero messa in un film ti chiederesti quanto pesante avevano fumato gli sceneggiatori. Peraltro, questa è solo la versione ufficiale; vox populi vorrebbe che alla guida dell’auto ci fosse uno o una Agnelli, forse addirittura lo stesso Giovannino, da sempre amante della velocità. Qui saremmo alla fantascienza, ma del resto è difficile spiegare con la razionalità la successiva brillante carriera del mediocre Tilli all’interno del gruppo Fiat.

Ad ogni modo, quello che colpisce a distanza di decenni non è soltanto l’ennesima e indescrivibile manifestazione della sempiterna sfiga del Toro; è come questo episodio sia passato nella memoria collettiva, proprio come, per la generazione precedente, accadde per la tragedia di Superga. Sui forum, in questi giorni, centinaia di persone ormai più che adulte ricordano l’emozione di quella notizia, i poster bagnati dalle lacrime, i funerali, il derby la domenica successiva, vinto quattro a zero con tre gol del suo amico Combin e il quarto della maglia numero sette.

Succede ogni giorno che muoiano persone giovani. Alcune, però, hanno la ventura di diventare un simbolo; assumono un valore universale che va al di là del loro caso personale, e rappresenta ciò che avrebbe potuto essere e non è: la fine del sogno. Come George Best nel mondo anglosassone – identico per tipo, diverso per destino – Meroni è il simbolo della crisi latente negli anni ’60, e di come la fantasia di un mondo diverso ma sorridente, pacificamente liberato dai vecchi pregiudizi, si schiantò al suolo in un mare di buio, portando autunni caldi e anni di piombo.

Chi in quel periodo aveva quindici o vent’anni avrebbe senz’altro preferito che Meroni fosse vissuto, e probabilmente che tante altre cose, nella propria vita e in quelle di tutti, fossero andate diversamente. Dev’essere per questo che, a quasi quarant’anni di distanza, il quindici ottobre ne vedi ancora così tanti piangere.

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domenica 15 Ottobre 2006, 02:20

[[Bert Jansch – Moonshine]]

Stanotte avevo troppo rumore a rimbombarmi nella testa, e troppa confusione ancora. Avevo bisogno di una pace antica e perduta, e, per vie strane, l’ho trovata in un brano di ben 33 anni fa, poetico e stupefacente insieme. Si tratta di Moonshine di Bert Jansch, il chitarrista inglese che ha influenzato praticamente tutta la musica folk, progressive e rock da metà anni ’60 in poi (si dice che Jimmy Page abbia scritto la parte di chitarra di Stairway To Heaven copiando quelle dei suoi brani).

E siccome voi siete nati fortunati, potete addirittura ascoltare il brano in streaming via MySpace (cliccate per scegliere quello giusto)!

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sabato 14 Ottobre 2006, 12:49

Ruspe

Questo post è in memoria di una entità che non c’è più. E non si tratta dell’immensa e ben visibile trasformazione dello storico Stievani di largo Giachino, il primo supermercato di elettronica di consumo della storia del Piemonte nonchè promotore di alcuni leggendari spot della nostra infanzia, nel nuovo gigantesco punto vendita di un altro e recentemente rinato marchio storico degli anni ’80, il mobilificio Aiazzone (c’è certamente una morale in tutto questo, ma al momento mi sfugge).

Si tratta invece della più modesta e marginale sparizione di un luogo davanti al quale, se abitate a Torino, sarete probabilmente passati molte volte, magari senza nemmeno notarlo: il giardinetto della curva di via Stradella.

Chiuso tra la curva in salita più intasata di Torino, la ferrovia per Milano, e la stazione Dora, si trattava di un quarto di cerchio semiabbandonato, dotato di qualche albero, qualche aiuola, qualche panchina, e tanta immondizia abbandonata qui e là. Non serviva a molto, non era nemmeno attraversabile per andare da qualche parte, era proprio un angolino di verde in una zona che non ne ha molto, ma che sta per ricevere in dono il nuovo parco sulla Dora, o meglio quello che ne resterà dopo la realizzazione di bonifiche, palazzi, ferrovie e strade di scorrimento.

Per me, comunque, era anche il luogo di alcuni ricordi specifici, legati alle mie pause pranzo nel periodo in cui lavoravo a Vitaminic in via Cervino. Non è l’unico luogo in cui ho ricordi specifici a sparire, anche se ultimamente stanno diventando parecchi. Ma arrivare lì in bicicletta e scoprire che un intero giardinetto, certo piccolo, ma comunque dotato di tutte le caratteristiche di un giardinetto, è stato sostituito da una spianata di terra gialla…

L’hanno raso al suolo, letteralmente, e ora non è nemmeno più un luogo, è uno spazio non significativo perchè trasparente allo sguardo, una intercapedine urbana al bordo della via. Visto così è microscopico, e non diresti mai che prima lì potesse starci qualche cosa; proprio come quando prendi la vecchia e grigia casa della nonna e la ristrutturi in modo moderno, unendo l’ingresso, il tinello e il salone, e poi ti chiedi come facessero a starci tre camere in quell’area lì.

L’hanno raso al suolo per allargare la strada, perchè dopo aver abbattuto la sopraelevata di corso Mortara le macchine strabordano ovunque, e la città è tagliata in due da un serpentone di auto in coda e bestemmianti. E così, allargheranno il ponte di via Stradella, taglieranno i binari della Torino-Ceres per tornare in giù, e passando davanti alla vecchia fabbrica si ricongiungeranno a corso Mortara davanti alle nuove “torri del parco”, un mostro urbanistico dei palazzinari che ha sfigurato un quartiere di vecchie casette.

Le auto, finalmente, potranno sciamare un po’ meglio. Basteranno pochi anni perchè del giardino si perda la memoria, nella storia anonima della periferia di una grande città, che respira, cresce e cambia proprio come le sue persone. Ma mi piaceva, nel mio piccolo, lasciarne una traccia.

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sabato 14 Ottobre 2006, 12:06

Antisociale

Mentre ero in treno, mi si sono rotti definitivamente gli auricolari dello Zen. Essendo stato pesante passare una dozzina di ore di viaggio senza musica, ieri a pranzo mi sono proiettato da Fnac ad acquistarne un paio nuovo. Ho valutato attentamente prezzo e prestazioni della ventina abbondante di modelli esposti, e alla fine ne ho comprato uno.

Solo stamattina ho realizzato che avevo comprato praticamente l’unico modello di auricolari neri.

Ok, nell’era dell’Ipod, sono decisamente antisociale: provate a buttare un occhio attorno a voi su un autobus o per strada, e non vedrete altro che gente con auricolari bianchi. Ma c’è un vantaggio: sarò subito di moda quando Apple farà uscire il misterioso, rivoluzionario, agognatissimo Ipod nero.

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