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domenica 25 Maggio 2008, 10:09

Piccola epica di un grande sport

Chi non conosce il ciclismo difficilmente capisce perché continuare a guardarlo; ed è vero che in questi anni mancano i campioni, visto che quelli che vincono una gara di rilievo poi regolarmente finiscono nelle maglie dell’antidoping. Ma la bellezza del ciclismo sta non solo nella complessità e nella varietà dei suoi scenari tecnici, ma soprattutto nella fatica, nel sacrificio, nella sfida degli uomini contro se stessi e contro le asperità della natura. Il tennis, per dirne uno, è uno sport disumano, fatto di droni palestrati che volano in giro per il mondo in business class per vedere chi spara la pallettata più forte; lo stesso calcio sta diventando un po’ così. Il ciclismo, invece, regala storie di vita a ogni occasione; spesso, storie epiche.

Quella di Emanuele Sella, per esempio, entrerà nella storia del Giro (anche perché per adesso il Giro di quest’anno ha concesso ben poco altro: hanno aumentato le salite per renderlo più spettacolare, e per risposta i corridori migliori, in un tacito accordo, si sono rifiutati di battagliare almeno per i primi due terzi). Sella è un Paperino, uno di quei corridori piccoli ed emotivi capaci di grandi imprese sulle montagne e di grandi crisi quando le cose vanno storte. Certamente non è il genere di corridore che vince facile; non domina le pianure e non taglia il vento, né ha una squadra al suo servizio, per cui la sua speranza di vittoria è legata al coraggio: scegliere una tappa piena di su e giù e buttarsi da lontano, sperando di arrivare in fondo.

Gli era andata bene al debutto da professionista, nel 2004: primo Giro, prima fuga da lontano, prima vittoria. Dopo, però, gli era successo di tutto: sfighe, cadute, vittorie mancate di poco, quasi sempre dopo essersi sciroppato 150 o 200 chilometri di fuga, da solo o quasi su e giù per i monti; sforzi pazzeschi per rimanere con un pugno di mosche. Una settimana fa, a Pescocostanzo, sembrava fatta: 160 km di fuga, prima in gruppone, poi in gruppetto, poi da solo, seminando via via gli avversari sulle tre salite intermedie. Sulla quarta, che portava all’arrivo, era saldamente al comando; poi, a sette chilometri dall’arrivo, la foratura. E così, la vittoria andava a un altro, mentre lui arrivava sul traguardo terzo, a un minuto, in lacrime.

Non sono casi isolati; succede ogni tanto che qualcuno arrivi sul traguardo con l’ennesimo piazzamento e si metta a piangere, anche perché la fatica è mostruosa e puoi avere anche inghiottito una farmacia, ma la fai lo stesso. E non è solo la fatica della tappa: dietro ci sono mesi e mesi di sveglie all’alba, migliaia di chilometri di allenamento, per uno stipendio che tolti i campioni è quello di un buon impiegato, al massimo di un medio dirigente. Se non sei un capitano, hai una sola occasione all’anno per farti notare; perderla così, per una gomma che si sgonfia, è un colpo durissimo.

Ieri invece era una tappa durissima; l’arrivo era all’Alpe di Pampeago, un posto maledetto non solo per la tragedia del 1985, ma perché per arrivare in cima ci sono cinque chilometri al 10% fisso, una infinita rampa di garage. Ci vinse Pantani, ed è tutto dire. Ieri tutti aspettavano gli uomini di classifica, perché è una di quelle salite dove si può vincere il Giro. E invece, è spuntato Sella; 180 km di fuga, gli ultimi cinquanta da solo. Aveva talmente tanta rabbia in corpo che persino sulla salita finale non si è fermato un attimo, l’ha presa più veloce di quelli dietro che pure avevano riposato. Alla fine, però, non ci credeva nemmeno lui; negli ultimi metri continuava a guardarsi indietro e a pensare: non è possibile, non sta arrivando nessuno. Dopo il traguardo piangeva di nuovo, ma stavolta di felicità; sul podio sembrava tanto fuori posto, con la bottiglia di champagne più grossa di lui e il tappo che non voleva venir via, da far tenerezza.

Comunque, non sempre le cose vanno via lisce: ieri s’è visto il calvario dell’ex maglia rosa Visconti, un gregario che ha beneficiato di una delle tante fughe bidone, ma che ieri ha pagato con cento telecamere che inquadravano il suo calvario. A un certo punto veniva voglia di dirgli di scendere e andare a piedi, che faceva certamente prima; e nonostante i tifosi impietositi che lo portavano su a spinta, il ritardo finale è stato di diciotto minuti. Complimenti lo stesso.

[tags]sport, ciclismo, giro, montagne, sella, pantani[/tags]

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7 commenti a “Piccola epica di un grande sport”

  1. D# AKA BlindWolf:

    Questo spiega perchè il ciclismo era lo sport nazionale dell’umile ma intrinsecamente coraggiosa Italia del dopoguerra, ora rimpiazzato da una manica di bulletti gonfiati che prendono a calci un pallone (o le caviglie avversarie).

  2. agu:

    Uhè VB hai visto cosa ha fatto Sella oggi sulla Marmolada???

  3. vb:

    No, oggi ero via per un matrimonio, ma ho letto. Spero solo che non gli trovino una farmacia.

  4. automobilista:

    che noia il ciclismo vanno troppo piano

  5. D# AKA BlindWolf:

    @automobilista: perchè sei assuefatto ai tempi rapidi della vita moderna…

  6. automobilista:

    e che dovrei fare, bermi un cinar contro il logorio?

  7. D# AKA BlindWolf:

    Se vuoi. O un energy drink per aumentare il logorio. A te la scelta.
    (personalmente non ho il tempo per seguire una gara di ciclismo. Al massimo i 400m piani.)

 
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