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Archivio per il giorno 23 Luglio 2008


mercoledì 23 Luglio 2008, 09:43

Racconto di via Cuneo

All’imbocco di via Cuneo sembra quasi un quartiere per bene, con un fiume per bene e dei palazzi che lo guardano attraverso gli alberi, cercando di non diventare abbastanza alti da vedere gli spacciatori dall’altra parte del fiume.

All’incrocio di via Cuneo con via Cecchi bisogna schivare le macchine abbandonate ovunque, ferme di fronte a un phone center qualsiasi, cercando di non ostruire troppo il passaggio dell’11.

Poi via Cuneo sfocia in una piazza rotonda in salita che sembrerebbe un angolo remoto di Parigi, se non fosse che il suo solo scopo è coprire una ferrovia che non esiste più, il cui trincerone però resiste cocciuto per testimoniare che, sì, una volta si usavano i treni.

Di lì, prosegui per via Cuneo e ti sembra di esserti sbagliato un attimo, perché improvvisamente compaiono un rialzo nuovo, un vialetto nuovo, un giardino nuovo che sembra preso di peso dalla periferia dell’estrema cintura, teletrasportato fino lì dagli ultimi suburbi di Settimo o di Nichelino; ed è l’unica cosa nuova che sia stata fatta a via Cuneo negli ultimi cento anni.

Poi in via Cuneo inizia una maestosa alberata, una striscia di Champs-Élysées che messa lì in una viuzza qualsiasi non ha veramente alcun senso, se non quello di ricordarci che una volta chi costruiva le fabbriche aveva anche l’orgoglio di metterci una alberata davanti. Le fabbriche sono andate da tempo, e guardando attraverso un cancello arrugginito si vede un enorme cortile di cemento bordato di arbusti fioriti, con un unico prepotente cespuglio che ha spaccato il cemento e svetta solitario proprio al centro; un unico fiore su una gigantesca lapide all’industria che fu. Vorresti fermarti e fargli una foto, ma non puoi, perché seduti tra gli alberi ci sono due messicani stanchi che parlano di gringos e ti guardano storto, o forse sono solo due pusher appartati.

Di lì a poco via Cuneo attraversa corso Vercelli, una specie di Valle della Morte larghissima e fatta solo d’asfalto e macchine che sfrecciano da nulla a nulla, senza neanche un filo d’erba; per un corso torinese è un evento troppo raro per non essere voluto.

E’ solo dopo corso Vercelli che inizia via Cuneo, quella vera: un solo isolato di antiche case basse, in pratica cascine il cui progetto fu a malapena ritoccato per trasformarle in case di ringhiera, uso operai con tanta prole e pochi soldi. Ora sono anonime e silenziose, al momento è giorno e nessuno sta ancora litigando, ma per l’epoca dovevano essere palazzoni traboccanti di vita.

Nell’unico isolato di via Cuneo, fai lo slalom tra i neri; se vedi qualche italiano è lì che corre via, per non farsi pisciare addosso. Tre neri di un paese africano qualsiasi sono addossati a una vecchia Ritmo; schiamazzano, e si vede benissimo che per loro il primo Novecento non è mai esistito. Proprio lì, al numero sei di via Cuneo, è nato Gipo Farassino; dev’essere per quello che, praticamente di fronte, gli resiste un insensato negozietto di chitarre elettriche.

Via Cuneo finisce contro un passaggio pedonale, un modesto tentativo di buco nella corsia muragliata a centro strada che permette al 4 di scorrere per corso Giulio. Anche il 4 scorre piano, non solo perché è il tram più lento della storia della tramvieria, ma perché cerca di non farsi troppo notare dagli extracomunitari della zona, per non essere preso a bottigliate. Prima o poi, come nel terzo mondo, tireranno su delle pareti di cemento e faranno scorrere il tram in un tunnel, per evitare anche solo l’affaccio su via Cuneo, il nuovo Bronx di Torino.

Eppure, vista così, via Cuneo è una meraviglia, un liofilizzato di storia umana 1900-2008, dove i poveri di ogni epoca e di ogni generazione hanno preso il posto dei poveri dell’epoca e della generazione precedente, partendo dal piemontese stretto e arrivando all’igbo e allo yoruba.

Ma è più facile dirlo quando uno non ci deve abitare.

[tags]torino, via cuneo, immigrazione, storia, farassino[/tags]

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