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giovedì 25 Marzo 2010, 19:20

Due parole sull’Università

Nei giorni passati, alcune persone hanno cercato di organizzare al Politecnico un confronto tra i vari gruppi politici sui temi dell’università e della ricerca. La persona che avrebbe dovuto intervenire per il Movimento 5 Stelle ero io, perché ho un trascorso al Politecnico non solo da studente ma anche da rappresentante degli studenti nel Consiglio d’Amministrazione e negli altri organi, nella seconda metà degli anni ’90; e perché, dato che la mia compagna è ricercatrice, conosco direttamente i problemi del settore. Alla fine il Politecnico non ha concesso gli spazi e il confronto non si è fatto; tuttavia vorrei rendere pubbliche le mie idee in merito, trattandosi di temi importanti.

Credo che i problemi dell’Università in Italia si possano riassumere in due grosse categorie: mancanza di investimenti e mancanza di meritocrazia.

Gli investimenti nell’università e nella ricerca scientifica da noi sono storicamente bassi, contrariamente ad altre nazioni europee (ad esempio la Germania) dove, intelligentemente, si è tagliato su tutta la spesa pubblica ma non su questo settore, che è vitale per la modernità sia della nostra cultura che della nostra economia. Mancano fondi per la ricerca un po’ in tutto – laboratori, progetti, attrezzature, viaggi, biblioteche, abbonamenti alle riviste, gli stessi stipendi – e il risultato è che le nostre università non sono competitive e, se producono risultati di rilievo grazie alle numerose eccellenze individuali, lo fanno nonostante l’organizzazione delle università e non grazie ad essa; e chi vuole fare ricerca in Italia è condannato al precariato fino ad età avanzata.

Mancano fondi anche per la didattica, per esempio nel sostegno agli studenti fuori sede, e talvolta si assiste a fenomeni di “solidarietà inversa” per cui i ricchi pagano tasse universitarie ridotte grazie ai fondi presi anche dalle tasse degli operai, che però i figli al Politecnico spesso non li possono mandare proprio perché manca un sostegno a tutti gli altri costi.

Il fatto che gli Atenei debbano aprirsi al mondo dell’industria e aumentare i ricavi da commesse esterne, che pure è sacrosanto, non può diventare una foglia di fico per tagliare fondi e servizi all’infinito, né per eliminare completamente ciò che non genera ricavi a breve, un’ottica che è contraria allo spirito stesso della ricerca scientifica. E’ giusto aumentare l’efficienza eliminando sprechi e doppioni, ma senza confondere un lavoro creativo e concettuale con una catena di montaggio per produrre diplomi di scarso interesse (magari moltiplicati per aumentare le cattedre) e di scarso contenuto.

Il problema più grave, però, secondo me è la mancanza di meritocrazia; l’organizzazione per baronie, il nepotismo, il fatto che per quasi tutti i concorsi i vincitori siano già noti in anticipo, i giovani brillanti la cui carriera viene azzoppata per non mettere in pericolo il mediocre di turno. Anche se le situazioni variano da Ateneo ad Ateneo e da caso a caso, questi fenomeni sono molto diffusi ed evidenti.

L’Europa e gli Stati Uniti sono pieni di giovani cervelli italiani fuggiti all’estero non solo perché le attrezzature, i fondi e la stabilità del lavoro da noi scarseggiano, ma soprattutto per non dover subire l’umiliazione di farsi superare dai raccomandati e dai “figli di”, oppure di accettare il sistema. E’ vero che la cooptazione è da sempre il metodo di selezione adottato dall’accademia, ma in Italia questo sistema è degenerato in pratiche clientelari che vengono ormai date per scontate; e anche quando si cambiano le regole per affrontare il problema, viene subito trovato il modo di aggirarle, perché il problema è la testa di chi controlla gli Atenei, prima ancora che le regole. Alla fine chi vuole affrontare per passione la carriera universitaria si trova inevitabilmente davanti al bivio tra chinare la testa e adeguarsi al sistema, oppure emigrare; con il rischio che, emigrati i migliori, nelle nostre università spadroneggino quelli che non sono lì per merito.

Anche nell’Università, come nella politica e nell’industria, è dunque necessario un radicale rinnovamento della classe dirigente, che liberi le energie represse di chi ora è costretto a subire, di chi ha nuove idee e una visione moderna, meritocratica e internazionale.

[tags]università, ricerca, politecnico[/tags]

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6 commenti a “Due parole sull’Università”

  1. Redsox:

    Caro Vittorio, ti seguo da tanto tempo ma non ho mai lasciato un commento… in giro per internet commento spesso quando scrivono qualcosa che mi fa incavolare, invece qui mi trovo spesso d’accordo con te e non commento mai (me ne scuso…).

    Sono al 3° anno di ingegneria al Poli. Vivendolo dall’interno, sottoscrivo tutto ciò che hai detto.
    Ci sarebbero tante cose da aggiungere e vorrei portare la mia testimonianza:
    Con gli ultimi tagli (riforma Gelmini) la qualità della didattica è scesa a livelli impressionanti. Quando c’era da protestare noi studenti siamo scesi in piazza, pur troppo non ottenendo l’appoggio del Rettore (come ha invece fatto Pelizzetti). Siamo anche andati ad aspettare il ministro all’unione degli industriali per proporre le nostre soluzioni, ma pensò bene di non presentarsi…
    Su cosa hanno tagliato? Hanno dimezzato la spesa per le ore di esercitazione, duplicando il numero di studenti per ogni lezione. In questo modo al posto di pagare 2 professori per fare 2 esercitazioni a 50 persone, ne pagano 1 per fare esercitazione a 100 persone. Inutile dire che gli argomenti si capivano molto meglio prima…
    Inoltre io ho la sfortuna di essere in una sede distaccata (Lingotto). Come forse saprai è stata progettata da Renzo Piano… quindi è tutto molto bello, peccato che non sia funzionale. Ci sono aule troppo piccole (26-30 posti), che non possono essere utilizzate per la didattica e che però costano (riscaldamento, affitto…)
    Quindi per riuscire a rientrare nei costi, il Poli ha affittato molte aule per corsi esterni che non c’entrano nulla con il nostro corso di laurea. E noi dobbiamo turnare con le altre classi per avere un’aula in cui fare lezione, con orari assurdi (per fare 24 ore di lezione/settimana, devo stare in sede per 36 ore) e tanto per cambiare ci becchiamo anche l’aula con sedie rotte e proiettori difettosi (niente soldi per riparare…).
    Ciliegina sulla torta: manca la raccolta differenziata (ma su questo mi sono attivato ;) )

    Ce ne sarebbe ancora da dire, ma mi fermo e mi scuso per essermi dilungato. Volevo portare una testimonianza diretta di come la riforma abbia peggiorato le cose. Tra l’altro noi studenti siamo i primi a voler andare in sede centrale se i costi della sede separata si rendono insostenibili…

    Sui professori che vanno avanti per paraculamento ti dico che si vedono lontano 1 miglio… gente che non sa mettere in fila 2 verbi o un congiuntivo…

    Se siete arrivati a leggere fino qui vi ringrazio… e faccio un grande in bocca al lupo a Vittorio per le elezioni

  2. Luca:

    @ Redsox: sei di autoveicolo come me?

  3. Redsox:

    si! di che anno sei?

  4. Luca:

    Al quarto ma sto finendo di seguire alcuni corsi del terzo e tu?

  5. andrea c:

    Non ho fatto il Poli, da quello che mi dicono funziona meglio di altre “ingegnerie” italiane, ma forse proprio da qui può partire un impulso al rinnovamento. Non crediate che nel mondo del lavoro manchino i raccomandati o le cordate di mediocrità in cui dirigenti con la coscienza sporca si circondano di yes-man. Nelle aziende grandi e piccole si premia di più chi lavoricchia lamentandosi di chi lavora sodo in silenzio, purtroppo i mega dirigenti sono sempre stati lontani dal livello di base e a volte i livelli intermedi hanno interessi diversi da quelli dell’azienda.

  6. elena:

    Ciao, avevo commentato il vostro programma sul sito del movimento e scritto anche su facebook, sono d’accordo su tutto, e direi anche che i due problemi (mancanza di fondi e di meritocrazia) sono collegati; ci sono casi in cui i soldi (anche quelli delle fondazioni, delle regioni, cioè di tutti quelli che finanziano la ricerca a parte lo Stato) vadano non ai più meritevoli, ma ai soliti noti, cioè quelli con le conoscenze più “altolocate”, i quali, se alle volte fanno anche ricerca, molte volte sono lì a scaldare la sedia e non pubblicano da 20 anni (oppure pubblicano su riviste discutibili o hanno pubblicato bene 20 anni fa e sono ancora fermi sulle stesse idee).
    Ma tu avresti delle idee per uscire da questa situazione vischiosa in cui ci troviamo?
    come fare per ripulire l’università da questo cancro?
    non trovo giusto che uno sia costretto ad andare all’estero per disperazione, io non riesco a rassegnarmi al fatto che dovrò partire per poter continuare a fare ciò che amo anche dopo il dottorato (considerato anche che è difficilissimo rientrare).. sono già stata all’estero per la tesi e ho visto come funziona..bene! ma sono anche convinta che se ai gruppi italiani seri (cioè quelli che lavorano, e anche tanto, e riescono a fare grandi cose con pochissimo..) venissero dati i fondi che hanno all’estero.. saremmo molto più avanti di tanti paesi..

 
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