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Archivio per il giorno 5 Giugno 2015


venerdì 5 Giugno 2015, 10:21

Se la politica sale in bicicletta

Negli ultimi anni, soprattutto per effetto della crisi, la mobilità dei torinesi è cambiata moltissimo; in primo luogo, le persone si spostano di meno (-15% in tre anni). Se negli “anni zero” aveva continuato a crescere la mobilità motorizzata, pubblica e privata, dal 2010 al 2013 è aumentata invece la mobilità ecologica, dal 28 al 34 per cento; il grosso sono gli spostamenti a piedi, ma la bicicletta rappresenta ormai circa il 4,5% degli spostamenti complessivi, contro il 48% dell’auto privata e il 18% dei mezzi pubblici.

E’ cambiata, soprattutto, la percezione pubblica della bicicletta. Se fino ad alcuni anni fa la bici era un mezzo da prendere solo per divertirsi la domenica coi bambini, e chi la usava per i normali spostamenti era considerato un pazzoide, oggi la bici è diventata, specie per le giovani generazioni, un mezzo di spostamento normalissimo. A questa diversa percezione pubblica hanno contribuito soprattutto i torinesi; non ci sono state campagne pubblicitarie e sovvenzioni per la bici privata, anche se sicuramente ha contribuito l’investimento pubblico nel bike sharing, ma la bici si è affermata per il passaparola sulle sue “tre E virtuose”: ecologica, economica, efficiente.

Ha contato certamente anche una manifestazione nata dal basso: il Bike Pride, che ogni primavera ha portato per le strade torinesi sempre più biciclette, a decine di migliaia, per chiedere il rispetto e l’attenzione che la nostra città, da sempre basata sull’automobile, ha sempre negato ai ciclisti.

Una simile mobilitazione non poteva certo passare inosservata alla politica. Domenica, infatti, si terrà la nuova edizione del bike pride, ma in maniera completamente nuova. La manifestazione, difatti, è stata inglobata dai Bike Days, una due giorni promossa dall’amministrazione comunale e generosamente sponsorizzata dalla Coop, con un ampio programma per grandi e piccini, interviste, ospiti famosi; ed è facile prevedere le paginate dei giornali torinesi con bagni di folla e foto sorridenti di assessori in bicicletta, e magari una nuova edizione del famoso video di Fassino terrorizzato che pedala per non più di duecento metri da Palazzo Civico.

Questa “istituzionalizzazione” del bike pride è un bene o un male? Beh, è sicuramente un bene che chi amministra la città dia un maggiore riconoscimento al mondo della bicicletta; il problema è se lo fa soltanto due giorni l’anno per propaganda, continuando a fregarsene nei fatti. Il bike pride è sempre stato un evento contro il potere, pieno di orgoglio e di rivendicazioni anche dure verso l’amministrazione comunale; non è che siano sparite, ma quest’anno la rivendicazione del bike pride è “un tavolo di discussione interassessorile sull’avanzamento dei lavori”, non esattamente un duro atto di accusa verso chi governa la città.

Negli anni, difatti, di promesse ai ciclisti ne sono state fatte moltissime, ma ne sono state mantenute ben poche; e lo dice un consigliere che sulla mobilità ciclabile lavora tutto l’anno (qui una recente interpellanza sugli attraversamenti delle piazze Rivoli e Bernini).

A fine 2013, con quasi quattro anni di ritardo sul piano della mobilità, è stato approvato dal consiglio comunale il “bici plan”, un documento che doveva rivoluzionare l’approccio dell’amministrazione comunale alle infrastrutture ciclabili. Grazie anche a una serie di nostri emendamenti, a pagina 21 del piano furono inserite delle linee guida che dovevano impedire la costruzione di nuove piste ciclabili “alla torinese”: quelle che, pur di non eliminare nemmeno un posto auto, consistono in una riga di vernice che divide a metà il marciapiede coi pedoni, che iniziano e finiscono nel nulla, che a ogni semaforo fanno uno zig-zag che richiede almeno tre fasi semaforiche, che hanno nel bel mezzo pali, edicole, benzinai, ostacoli di ogni genere. Inoltre, nel piano (pag. 142) fu inserito l’impegno a destinare alla mobilità ciclabile il 15% delle entrate dalle multe stradali, che vorrebbe dire tra i 5 e i 10 milioni di euro ogni anno, fino a completare il piano.

Di tutto questo, pur messo nero su bianco e approvato dal consiglio comunale, poco o nulla è stato mantenuto. I soldi non si sono visti; qualche intervento è stato fatto, ma per cifre molto minori, spesso grazie a finanziamenti preesistenti di altro genere; ad esempio la pista ciclabile di via Anselmetti, 750.000 euro per 1300 metri di pista nel nulla su un vialone di estrema periferia, è stata pagata da TRM come compensazione per l’inceneritore (ti avvelenano l’aria, però puoi respirarla meglio andando in bicicletta).

E’ stata fatta la pista in corso Novara, in maniera assurda, violando molti dei criteri di buona progettazione che ci si erano dati; però si è tolta quella in corso Galileo Ferraris per istituire nuovi parcheggi blu per le auto. Persino la famosa fermata del pullman installata nel bel mezzo della pista di lungo Dora Firenze, nonostante le promesse di pronto intervento, dopo due anni è ancora lì; la soluzione è stata di mettere un cartello per dire ai ciclisti di condividere il marciapiede coi pedoni.

Non molto meglio va su altri aspetti; insieme al bici plan siamo riusciti a far approvare una nostra mozione per realizzare un piano parcheggi per le biciclette, oggi spesso abbandonate a caso su pali e ringhiere; non si è ancora visto praticamente niente, nemmeno il parcheggio coperto alla stazione di Porta Susa più volte promesso.

Un sostenitore della mobilità ciclabile a fronte di tutto questo non può che sentirsi preso in giro; altro che patrocini e sponsorizzazioni. Non a caso, questa svolta ha spaccato il mondo associazionistico torinese. La maggiore associazione cittadina di ciclisti, Bici e dintorni, si è chiamata fuori con un duro comunicato, parlando di “parata con i finanziamenti pubblici”, e facendo notare che in tutte le altre città italiane le amministrazioni fanno “meno parate, e molti più fatti”.

Probabilmente domenica decine di migliaia di torinesi pedaleranno felici e inconsapevoli per le vie cittadine, e in fondo è giusto così. Certamente, questa storia è un bell’esempio di cosa sia la politica torinese di oggi: una macchina da propaganda, pronta ad attirare e inglobare al proprio interno qualsiasi istanza ma solo in superficie, pur di allinearla al potere e di far sì che, nella sostanza, tutto possa sempre continuare esattamente come prima.

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