I problemi degli studenti
(Italiano, Convegno presso il centro conferenze Cavour, Roma, Maggio 1996)
Buongiorno a tutti.
Vorrei innanzi tutto ringraziare gli organizzatori di questo incontro per avere finalmente avuto la buona idea di chiamare a discutere dei problemi dell’Università anche gli studenti, che di essa sono gli utenti. Anzi, più che "utenti" mi verrebbe da usare il termine "clienti", che esprime bene la necessità di un rispetto verso la condizione di studente che spesso manca, e manca non tanto a livello dirigenziale, quanto nell’atteggiamento che lo studente si sente opporre tutti i giorni da certi docenti e ancor più da certo personale tecnico e amministrativo. Non bisogna mai dimenticare, invece, che lo studente paga e manda avanti la baracca, e ha quindi tutto il diritto di essere trattato perlomeno con rispetto.
Ci sono quindi tre argomenti di cui vorrei velocemente parlare.
Il primo argomento è quello della autovalutazione delle Università, argomento in cui mi sento particolarmente ferrato essendo stato fino a pochi mesi fa Vicepresidente del Comitato Paritetico per la Didattica del mio Ateneo, il Politecnico di Torino. Tale Comitato è un organismo di Ateneo, di pari dignità rispetto a Senato e Consiglio d’Amministrazione, che è stato istituito contestualmente all’approvazione del nuovo Statuto, quattro anni fa, e che ha come scopo quello di osservare e valutare l’attività didattica e le relative proposte di intervento. Da noi ormai da tre anni si distribuiscono a tutti gli studenti per tutti i corsi seguiti (sia nella Laurea, sia da quest’anno anche nel Diploma) i questionari di fine corso, in cui lo studente può esprimere le proprie valutazioni sullo stesso, rispondendo ad una serie di domande, e può inoltre indirizzare direttamente al docente, in forma anonima ma senza alcun intermediario, i propri commenti e suggerimenti. Si tratta ormai di una base di dati consolidata (ormai siamo a più di 80.000 questionari l’anno) che, incrociata con i dati relativi al superamento degli esami, permette di individuare molto bene i problemi del sistema. Bisogna però rimarcare alcuni aspetti: innanzi tutto, l’obiettivo dell’operazione non può e non deve essere quello di assegnare i voti al singolo docente, o di fare le classifiche del più bravo e del meno bravo; l’obiettivo è invece quello di avere una valutazione di sistema, che permetta sia di avere dati relativi ai singoli corsi, individuando quindi i problemi e i cosiddetti colli di bottiglia, sia di correlare i problemi di un corso a quelli dei corsi precedenti, paralleli e successivi, arrivando ad un esame organico della situazione a livello di Corso di Laurea. Le domande fatte allo studente non vertono quindi solo sulle capacità del singolo docente e dei suoi collaboratori, ma anche sull’organizzazione del corso, sulla qualità dei servizi e delle aule, sulle ragioni di una mancata frequenza, sull’ottimizzazione del percorso formativo. L’autovalutazione di un Ateneo a fini interni è una operazione fondamentale: è difatti noto che non è possibile controllare un sistema senza prima osservarlo. Nel passato, e forse in certi casi ancora nel presente, vi è l’uso di intervenire alla cieca sui problemi, o su quelli che si presumono essere i problemi, senza in realtà disporre di dati oggettivi che permettano di agire a ragion veduta. L’introduzione in tutti gli Atenei italiani di una autovalutazione, purchè seria e vissuta in modo costruttivo, non potrà quindi che provocare un miglioramento della qualità della didattica. Ciò non toglie però che quella percentuale fisiologica, che esiste tra i docenti universitari come per tutti i mestieri, di persone che lavorano male, non potrà essere ridotta finchè rimarrà in piedi l’attuale figura del "docente per l’eternità", che andrebbe invece il più possibile sostituita con contratti a tempo determinato, che permettono anche un maggiore interscambio tra Università e mondo del lavoro, e che soprattutto permettono di non rinnovare il contratto a chi non si dimostra all’altezza della situazione.
Il secondo punto riguarda la contribuzione studentesca, che spesso viene affrontata anche dagli studenti secondo linee di pensiero astratte e poco rispondenti alla realtà. Ad esempio, è importante capire che l’equità di un sistema di tassazione si misura in prima approssimazione non da quanto alta è la tassa più alta, ma da quanto bassa è la tassa più bassa: un sistema di tassazione non è equo perchè fa pagare a tutti 1.200.000 lire, ma piuttosto perchè fa pagare due milioni ai ricchi e nulla ai poveri. Aggiungerei anzi "ai poveri e meritevoli": difatti è necessario rendersi conto che lo scopo principale dell’Università, dopo aver garantito che ognuno contribuisca in base alle proprie possibilità, è quello di formare buoni laureati, ossia di agevolare i meritevoli. E’ quindi opportuno che il merito divenga un criterio altrettanto importante del reddito, nella determinazione dell’importo che ogni studente deve pagare. Ogni Ateneo deve essere libero di aumentare le tasse massime finchè vuole, purchè però sia vincolato a garantire tasse minime che siano effettivamente minime, e a reinvestire quote delle entrate derivanti dalla contribuzione in borse di studio, con criteri rigidi - ad esempio, investire il 3 - 4 per cento delle entrate in borse di importo pari a tre - quattro volte la tassa massima. Un po’ immodestamente, mi sento di proporre all’attenzione nazionale il sistema in vigore al Politecnico di Torino da tre anni: gli studenti vengono divisi in otto fasce in base a reddito e patrimonio, dichiarati tramite un modulo e un colloquio (ogni anno svolgiamo circa diecimila colloqui di questo tipo), e pagano da 400.000 a 1.800.000 lire; possono poi ricevere fino ad ulteriori 400.000 lire di sconto in base a criteri di merito neanche troppo restrittivi. In questo modo, gli studenti poveri e meritevoli pagano zero (indipendentemente da eventuali borse di studio), e credo che questa sia stata da parte nostra una grande conquista. Conquista tra l’altro che non sarebbe stata possibile se fossero passate certe ipotesi, come quella di porre un tetto massimo all’entità della tassa massima, che in realtà per il diritto allo studio sono estremamente dannose.
Il terzo importante argomento è quello della rappresentanza studentesca. A questo proposito, bisogna senz’altro partire da una considerazione importante: il peso della rappresentanza non è mai numerico, non è mai proporzionale alla quantità dei rappresentanti; è invece fortemente dipendente dalla capacità di proposta e di interazione dei rappresentanti da un lato con la totalità degli studenti, e dall’altro con chi governa l’Università. E’ quindi importante avere gli studenti giusti nei posti giusti, più che spedire studenti a tappeto in enne-mila organismi diversi.
D’altra parte, nessuna rappresentanza può avere peso se non raccoglie l’appoggio attivo dei rappresentati; e non si può non rilevare in generale uno scarso interesse degli studenti alle vicende dei loro Atenei (e dico questo pur provenendo da un Ateneo dove, ad esempio, le percentuali di affluenza alle urne per le elezioni universitarie toccano punte del 50 per cento, quindi ben superiori alla media). La rappresentanza studentesca, come istituzione, deve uscire dalle stanche riproposizioni di schematismi strettamente politici, che non interessano più a nessuno, per scendere sul campo dei problemi reali a cui fornire risposte tangibili e praticamente attuabili. La voglia di aggregazione e di partecipazione, tra gli studenti universitari, c’è: tuttavia è orientata verso tipi di partecipazione diversi dalla politica, e che vanno dal volontariato al semplice svago. Le Università devono quindi trasformarsi rapidamente da "esamifici" a centri di socializzazione e di vita; soltanto rendendo gli Atenei luoghi dove è bello vivere sarà possibile recuperare un po’ della disaffezione e dello smarrimento che gli studenti provano entrandovi. Se veramente si vuole risolvere, ad esempio, il problema dell’abbandono nei primi anni della carriera universitaria, questa è una strada obbligata. Contemporaneamente, quindi, il ruolo del rappresentante degli studenti deve essere sempre meno politico e sempre più manageriale, costituendo un volano per la nascita di iniziative alternative alla didattica, che possano ad esempio portare anche in Italia all’affermarsi del modello anglosassone delle student union. Analogamente, è necessario evitare che la rappresentanza degli studenti divenga un terreno riservato agli "studenti di professione", o a persone che comunque vedano la propria carica non come un mezzo, ma come un fine. E’ invece necessario studiare forme di agevolazione e di premio per quegli studenti che intendano impegnarsi nella rappresentanza, o anche in altre attività associative o volontaristiche che siano di vantaggio per la collettività, senza per questo trascurare i propri studi, ad esempio prevedendo un riconoscimento in crediti dell’attività svolta, all’interno del curriculum; questo perchè, tra l’altro, l’esperienza di rappresentante all’interno di un Consiglio d’Amministrazione o di un Senato Accademico si rivela molto più formativa della maggior parte degli esami.
Mi sento quindi di fare un appello, tanto per scendere nel concreto, a proposito delle appena rinviate elezioni del CUN: ritengo francamente che elezioni con modalità come quelle in vigore, e con candidati e liste di tipo nazionale che in gran parte finiscono quindi per piombare sulla testa degli ignari studenti, siano del tutto inutili. Sarebbe invece molto meglio creare delle forme strutturate di coordinamento tra i rappresentanti delle diverse sedi universitarie, organizzando periodiche riunioni per confrontare le diverse esperienze, e parlandosi costantemente, ad esempio tramite le possibilità offerte dalla rete Internet, di cui ormai tutti gli Atenei dispongono. Manca attualmente ogni forma di coordinamento tra i rappresentanti locali e la realtà nazionale, e ben difficilmente questo coordinamento potrà essere realizzato mediante una manciata di rappresentanti in organi anche geograficamente lontani come il CUN o come Consulte nazionali di vario tipo. Analogamente, sarebbe bene che i membri del governo e del Parlamento che si interessano dei problemi dell’Università si recassero periodicamente nelle varie sedi universitarie, e per quanto mi riguarda li attendo a Torino quanto prima - così potrò far loro vedere il miracolo che abbiamo fatto riuscendo a stipare 15.000 studenti in una struttura come la sede della nostra Facoltà di Ingegneria, progettata per 4.000 .
E con questo vi saluto e vi ringrazio.