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Intervista a Vittorio Bertola: Internet, innovazione e societĂ 

(Italiano, intervista a Adit Online, newsletter dell'associazione ADIT, 18 Gennaio 2007)

di Alessandro Rossi

La rete Internet ha segnato una svolta epocale nel modo di vivere e di lavorare. Ma la stessa rete, se da un lato ha influenzato l’evoluzione della società, annientando gli spazi ed il tempo e facilitando, così, la comunicazione e gli scambi, dall’altra è essa stessa in costante evoluzione ed in continuo cambiamento sotto l’influenza della società stessa. Di internet, innovazione e società abbiamo parlato con Vittorio Bertola, voce tra le più autorevoli quanto si parla di web in Italia, membro del Working Group on Internet Governance (WGIG) dell’ONU, membro del Comitato Consultivo per la Governance di Internet del Governo Italiano e membro del Board of Directors dell’ICANN, l'entità di amministrazione globale dei domini Internet.
 
Ing. Bertola, come è evoluta e sta evolvendo la rete Internet oggi? In che direzione sta andando? Con l’affermarsi sulla scena di grandi corporation e di grandi interessi economici, rischia di perdere quel carattere di indipendenza ed in parte di anarchia che aveva all’origine?
 
Il rischio esiste ed è opportuno che gli utenti della rete diventino sempre più consapevoli ed attenti a ciò che viene fatto, sia in termini di leggi che in termini di scelte tecnologiche ed economiche proposte – talvolta imposte – al mercato. Allo stesso tempo, sono proprio gli utenti consapevoli a difendere egregiamente la rete da questi pericoli, alle volte mediante azioni di protesta pubblica, altre volte semplicemente sviluppando tecnologie e attività alternative a quelle dei grandi interessi: penso ad esempio al peer-to-peer, un paradigma che elimina qualsiasi forma di controllo centrale e permette agli utenti di accordarsi liberamente su cosa e come scambiare.
 
Allo stesso tempo, l'anarchia pura non è un modello sociale raccomandabile, perché di solito determina proprio la vittoria dei più forti, di quelli che hanno i mezzi per imporsi sugli altri. Credo che anche su Internet servano alcune regole fondamentali, ad esempio la “Carta dei Diritti” proposta da Rodotà e Cortiana; queste regole devono però essere tese a difendere le libertà dei singoli utenti, piuttosto che a imporre controlli e limitare le possibilità di azione sulla rete oltre il minimo necessario a garantire la convivenza pacifica di tutti.
 
In Italia si parla spesso di innovazione e del nostro ritardo rispetto ad altre nazioni straniere? Qual’è il suo punto di vista su questo dibattito?
 
Contrariamente a quello che spesso si dice, l'Italia innova parecchio in molti settori “liberi”, dove vi è la possibilità di sperimentare e dove non sono richiesti grandi contatti e capitali per provare qualcosa di nuovo; se mai fa fatica a trasformare le molte idee innovative in un successo industriale di lungo periodo, perchè l'ambiente circostante e la società in generale non sono favorevoli al cambiamento e anzi tendono troppo spesso a drenare le risorse produttive verso impieghi meno produttivi o del tutto clientelari.
 
Credo infatti che il problema dell'innovazione sia innanzi tutto sociale e solo secondariamente tecnologico. L'avvento di Internet e la globalizzazione hanno portato grandi cambiamenti sia nella tecnica che nell'economia, ma li hanno portati soprattutto nella società, nel modo in cui le persone interagiscono tra loro. Per poter innovare la tecnica e l'economia, e quindi creare ricchezza, è necessaria innanzi tutto una nuova società, in linea con i valori e con i meccanismi del resto del mondo e che privilegi la meritocrazia e l'iniziativa personale rispetto alla conservazione delle vecchie strutture del passato.
 
Secondo lei, quindi, per un’innovazione che funzioni è necessaria una società diversa, ma come immagina questa nuova società?
 
Non vi può essere cambiamento sociale senza ricambio generazionale. Basta osservare l'estero per rendersi conto di come la classe dirigente, nella politica come nelle imprese, sia quella dei quarantenni, al massimo dei cinquantenni. In Italia, un manager o un politico di cinquant'anni è considerato un giovane rampante, mentre il potere di indirizzare e gestire la società è in mano a persone magari di eccezionale valore ed esperienza, ma che non riescono nemmeno ad accendere un videoregistratore. Come si possa pensare che una classe dirigente che (con le opportune, significative eccezioni!) non conosce in prima persona i fenomeni che stanno accadendo li possa governare per il meglio è qualcosa che onestamente mi sfugge.
 
Il problema quindi è come permettere ai trentenni e ai quarantenni (anche ai ventenni, che su Internet sono spesso tra i maggiori innovatori, almeno per ciò che riguarda l'aspetto puramente tecnico) l'accesso a posizioni di responsabilità nelle aziende e nella politica purtroppo, in una società come quella italiana, dove l'individualismo è dato per scontato e dove la tradizione è di occupare una poltrona per mettervi radici, tutto questo richiede uno sforzo eccezionale. Probabilmente sarà necessario arrivare ad un punto di degrado economico e culturale talmente forte che il cambiamento avverrà per forza sarebbe però meglio se potesse avvenire tranquillamente e prima che la situazione sia troppo grave.
 
Una società, dunque, più meritocratica che offra maggiore spazio decisionale ai giovani, ma quali altri elementi di diversità e di discontinuità con il passato dovrebbe avere la società di cui parla?
 
L'economia dell'innovazione, operando on line e in un mercato intrinsecamente globale, è significativamente diversa da quella a cui siamo abituati. La tradizionale struttura gerarchica della società, con il governo nazionale da una parte e la grande azienda dall'altra a dirigere e determinare rigidamente la vita professionale degli individui, lascia il posto a una struttura a rete, in cui le persone diventano imprenditrici di se stesse, in costante evoluzione professionale ma anche prive delle tradizionali certezze delle generazioni precedenti, all'interno di una galassia di microaziende che usano la rete allo stesso tempo per collaborare e per competere.
La risposta a questo cambiamento, specie da parte di società che non sono culturalmente preparate a comprenderlo, passa per tutti i gradi della reazione da shock, comprese la negazione, la rimozione, la protesta rabbiosa e la rassegnazione depressa, quella in cui si trovano attualmente gran parte degli italiani e in particolare le giovani generazioni. E' quindi innanzi tutto necessario analizzare e discutere cosa sta succedendo per spiegarlo chiaramente agli italiani, evitando sia il populismo demagogico che caratterizza buona parte del mondo politico italiano, sia la paura di dire cose troppo spiacevoli.
 
E per portare avanti un simile cambiamento da dove si dovrebbe partire?
 
Bisogna porsi urgentemente il problema di come devono essere ridisegnate le forme di assistenza e di interazione tra la collettività e l'individuo per quanto riguarda le garanzie sociali e il supporto allo sviluppo sociale ed economico, in modo da trasformare un grande problema in una grande opportunità.
 
Per quanto riguarda gli individui è necessario smettere di porre il problema del welfare come se fosse centrato sulla conservazione di diritti e meccanismi che sono stati pensati per altri tempi ed altri mondi la crisi del concetto di lavoro dipendente implica l'inutilità degli strumenti finalizzati alla protezione del lavoro dipendente, che si trasformano anzi nel pretesto per la conservazione assoluta di privilegi di casta. Bisogna invece discutere di quali debbano essere i nuovi diritti e i nuovi doveri dell'individuo in un modello di vita professionale così diverso, basato sul cambiamento continuo e sulla compatibilità con un sistema di mercato globale che non è più nella facoltà dello Stato italiano di modificare, almeno nel breve termine. Non ci sono solo aspetti negativi nella flessibilità, come peraltro la parte più attiva e preparata dei giovani italiani ha già capito, andare all'attacco per conquistarsi più spazio grazie al proprio lavoro e al proprio merito, invece di subire passivamente il cambiamento, è la chiave per la realizzazione professionale dell'individuo e quindi per la crescita della collettività.
 
Per quanto riguarda le aziende è necessario capire che la microimpresa a rete è un elemento di forte democrazia del sistema economico, antitetico al modello degli oligopoli e delle grandi imprese come potere forte in un mercato come quello dell'ICT, in cui gli investimenti monetari richiesti per lo sviluppo di nuovi prodotti sono quasi trascurabili e in cui il vero capitale è dato dal know-how e dalla capacità di innovare e anticipare la tecnologia, un tessuto economico basato sulla microimpresa è un asset vincente. Perchè questo possa accadere, tuttavia, è necessario che la collettività predisponga strumenti per combattere i problemi che le microimprese hanno e che sono più simili a quelli delle persone che a quelli delle grandi aziende. E' quindi necessario che il sistema “sociale” di supporto alle aziende si adegui alla dimensione e alla dinamicità di questi nuovi attori, trovando soluzioni specifiche per supportarne la crescita ed evitarne il soffocamento e garantendo un ambiente legislativo e regolatorio a misura di piccola impresa.

Quindi, sintetizzando, per creare un’innovazione che dia frutti è necessario cambiare la struttura sociale esistente ancorata su modelli non più attuali ed accoglierne una più al passo con i tempi?
 
Certamente: la crisi di identità e di prospettive in cui si trova l'Italia può essere superata, ma solo se si vince la paura di lasciarsi alle spalle le vecchie certezze, per costruirne collettivamente di nuove.

 

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