Saluto degli studenti in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico 1996-97
(Italiano, Inaugurazione dell'anno accademico 1996-97, Politecnico di Torino, 8 Dicembre 1996)
Questo è stato probabilmente il discorso più importante della mia vita, almeno per i primi trent'anni. Fu tenuto l'8 dicembre 1996, in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico al Politecnico di Torino, alla presenza di varie autorità tra cui il Presidente del Consiglio Romano Prodi. Naturalmente, io non dormii per settimane - ma poi il discorso riuscì bene, e alla fine, mentre lo facevo, ebbi anche tutto il modo di osservare Prodi che faceva disegnini sul foglio e si grattava sbadigliando, invece di ascoltare.
Come ripicca, nel successivo incontro privatissimo nella sala presidenziale dell'Ateneo, tra Prodi, docenti e studenti, riuscimmo ad imboscare un amico, che ovviamente non era vestito da cerimonia. Quell'immagine - un lungo tavolo rettangolare, a capotavola da un lato Prodi, e dall'altro, esattamente di fronte, un perfetto sconosciuto con i capelli lunghi, il codino e una T-shirt a maniche corte - resta uno dei miei ricordi preferiti.
Quanto al discorso, ovviamente fu frutto di due mesi di trattative tra tutte le componenti politiche e apolitiche dei rappresentanti degli studenti, e quindi è un po' annacquato. Ma sono comunque convinto di aver detto delle cose interessanti.
Il mio compito è quello di portare, a nome di tutti gli studenti dell'Ateneo, l'augurio per il nuovo anno accademico; è tuttavia opportuno che questo augurio sia accompagnato da alcune riflessioni sulla realtà del luogo in cui trascorriamo gran parte delle nostre giornate.
L'Università ha oggi il compito fondamentale di formare quelle persone che presumibilmente andranno ad assumere posizioni di responsabilità nello Stato e nelle aziende. Proprio per questo è necessario che essa sia partecipe di un continuo scambio con l'esterno, e sappia non solo anticipare, ma anche provocare i cambiamenti nella società, attraverso i propri docenti e i propri laureati.
E’ facile osservare, partendo dalla nostra positiva realtà, come gran parte dell’Università italiana sia oggi un grande esamificio, una fabbrica di disoccupati, un’isola che spesso non comunica con l’esterno. Ma anche nel nostro Ateneo la formazione si riduce troppo spesso ad una semplice somma di corsi e di esami che soffocano l’esistenza dello studente, ed esso diviene un luogo triste, in cui la cultura, intesa come discussione, come cooperazione e scambio di conoscenza, come sensazione artistica, fatica a trovare spazio.
In generale, l’approccio italiano all’Università è quindi perdente, e rappresenterà a lungo termine un ostacolo insormontabile all’affermazione dei nostri laureati, che sempre più dovranno fronteggiare una competizione di livello europeo e mondiale. E' quindi necessario un impegno immediato per modificare una situazione stagnante, riformando l'Università e riducendo l’età di ingresso nel mondo del lavoro. A questo proposito, non possiamo non ricordare le promesse di rapida riduzione e progressiva eliminazione del servizio di leva, fatte proprio in questa sala da esponenti dell’attuale maggioranza prima delle ultime elezioni.
Un problema rilevante è quello del diritto allo studio, inteso non come la mera possibilità di accedere ad una struttura, ma come il diritto ad un rapporto con i docenti che educhi ad una apertura alla realtà in tutti i suoi aspetti, e anche come necessità di risorse, di efficienza, di funzionalità del sistema. Ci sembra qui necessario portare con forza l'esigenza di un rovesciamento di prospettiva: vorremmo che tutti avessero presente che l'Università esiste in funzione degli studenti, e non invece che gli studenti esistono in funzione dell'Università, come sembra pensare una percentuale non piccola dei dipendenti degli Atenei. Chi si iscrive all’Università contribuisce con finanze proprie al suo mantenimento, e per questo semplice atto diviene un cliente a cui deve essere garantito un servizio che soddisfi standard qualitativi ben precisi e verificabili a posteriori, in modo da poter intervenire là dove il rispetto degli standard non è garantito; e questo concetto, fortunatamente, nel nostro Ateneo è quasi completamente accettato.
Tra gli obiettivi degli studenti, quindi, non vi deve essere quello di abbattere i numeri chiusi - che pure vanno ridisegnati - o di cancellare le tasse universitarie, ma quello di ottenere servizi certi in cambio del proprio denaro, del proprio impegno, e dei lunghi anni trascorsi negli Atenei. Vogliamo poter studiare in ambienti perlomeno dignitosi, e non invece ammassati nei sotterranei di strutture costruite per un quinto della loro attuale capienza; vogliamo essere trattati come persone, non solo dai docenti, ma anche e soprattutto nell'uso dei servizi e negli aspetti organizzativi. La drammatica carenza di spazi del nostro Ateneo, la costrizione a rispettare orari impossibili, rappresentano attualmente un pericoloso ostacolo alla qualità della formazione, e potranno essere risolti esclusivamente con una pronta attuazione del progetto di raddoppio, ormai indifferibile.
Non è tuttavia sufficiente stanziare le risorse: bisogna anche essere certi che esse possano essere utilizzate bene e in modo flessibile e tempestivo. E' quindi fondamentale attivare un processo di autonomia universitaria che permetta di valorizzare le specificità e le tradizioni culturali dei singoli Atenei e responsabilizzi le singole amministrazioni: autonomia come libertà di azione nell’affrontare i problemi, non come libertà di non affrontarli. Questo è infatti possibile attraverso una agilità nell’utilizzo delle risorse e una flessibilità negli impieghi delle spese che solo un’autonomia intelligente può garantire.
Gli Atenei devono quindi imparare a rendersi visibili, grazie alla qualità della formazione che riescono a fornire e di cui beneficerà la loro immagine, già oggi elemento qualificante nel mondo del privato. Ma è ora che anche nel pubblico impiego i laureati vengano giudicati per quello che sanno, piuttosto che per il titolo che possiedono: il valore legale del titolo di studio è oggi, invece che uno strumento di equità, un premio per chi non sa e non sopravviverebbe ad una competizione aperta.
E’ importante sottolineare che il compito dell’università non si esaurisce con il conseguimento della laurea, ma si completa con la possibilità concreta da parte del laureato di accedere con la dovuta competenza al mondo del lavoro. Questa competenza può essere ottenuta solamente attraverso un efficace rapporto con la realtà imprenditoriale fin dagli anni dell’Università. In tutto il mondo, la formazione universitaria comprende esperienze lavorative, stage, tirocini, che in Italia vengono spesso visti come un pericolo per una struttura mentale e organizzativa immobile e chiusa su se stessa; apprezziamo pertanto il lavoro svolto in tal senso nei diplomi universitari, in particolare con il progetto Campus, e in quei corsi di laurea che hanno recepito questa esigenza. E' difatti necessario modificare profondamente la struttura della formazione universitaria, limitando lo spazio dedicato ai corsi di tipo tradizionale, liberando energie per attività di tipo diversificato, e concedendo ai singoli Atenei gli strumenti per garantire un’evoluzione dell'offerta formativa in grado di soddisfare la domanda.
Il mondo del lavoro, più che persone abili nelle singole materie, richiede persone che sappiano presentarsi in pubblico, avere relazioni interpersonali, qualità che il nostro sistema scolastico ignora completamente. E' folle l'idea, peraltro molto diffusa, che il tempo non impegnato nello studio sia sprecato; invece, gli studenti devono essere spinti ad avere altre attività oltre allo studio, e gli Atenei devono diventare un punto vitale delle città che li ospitano, così come avviene in tutto il mondo, offrendo al loro interno anche strutture sportive, sale da musica, e permettendo una fruizione serale degli spazi. In tal senso ci fa piacere constatare il sostegno che questo Ateneo garantisce alla libertà di espressione culturale degli studenti; infatti, una formazione universitaria basata soltanto sulla conoscenza specifica è incompleta, e ci porterà ad avere laureati bravissimi e perfettamente incapaci di inserirsi nel mondo; e una ben triste e arida società del futuro.
Queste sono le nostre riflessioni, profuse nella certezza che non si possa cambiare l'Università senza il contributo di chi ci vive quotidianamente. In questo senso, chiediamo che non divenga realtà la proposta esclusione degli studenti dagli organi di governo universitario nazionale, giacchè possiamo testimoniare per esperienza diretta che la cogestione con gli studenti produce risultati decisamente apprezzabili.
Speriamo quindi che quest’anno in Italia venga dedicata un po’ più di attenzione al futuro dell’Università italiana; poichè esso coincide, e sarebbe grave se non lo fosse, con il futuro della società italiana.