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L'innovazione necessaria

(Italiano, Stati generali dell'Innovazione, UniversitĂ  La Sapienza, Roma, 26 Marzo 2006)

Il mio videodiscorso per gli Stati Generali dell'Innovazione in Italia, 28 marzo 2006. In vista delle elezioni politiche, decine di associazioni e di personalità si sono ritrovate per discutere del futuro dell'Italia e porre le proprie richieste al mondo politico. Questo è stato il mio contributo, che mandai via video dalla Nuova Zelanda.
Buonasera a tutti,

anche se non posso essere presente di persona, sono particolarmente lieto di potervi ugualmente salutare da Wellington, capitale della Nuova Zelanda, dove mi trovo per il meeting di ICANN. Mi occupo ormai da molti anni del coinvolgimento degli utenti nella governance di Internet, e vorrei quindi cominciare il mio intervento proprio da questo punto.

Internet, a differenza di tutti i tradizionali sistemi di telecomunicazione come la televisione e il telefono, riconosce agli utenti un ruolo fondamentale: quello di essere attivi anziché passivi; quello di potersi immediatamente trasformare in creatori di nuovi contenuti, di nuovi servizi e persino di nuove tecnologie. La maggior parte delle applicazioni che usiamo tutti i giorni in rete, a cominciare dal World Wide Web, non sono nate grazie agli investimenti dei governi, delle università o delle grandi multinazionali, ma grazie all'intuizione e alla dedizione di un singolo, che ha ideato e sviluppato una prima versione come hobby, a margine del proprio vero lavoro, ed è poi riuscito a coagulare su di essa la collaborazione aperta di centinaia di altre persone di tutto il mondo.

E' importante comprendere questo modello anche per capire perchè sia così importante il coinvolgimento diretto degli utenti, della società civile e degli individui, nella gestione della rete.

ICANN, per quanto concentrato su un tema molto specifico come la gestione dei nomi a dominio di primo livello, è stato il primo esperimento di governance globale basata sul cosiddetto modello multi-stakeholder. Con tutti i suoi fallimenti e le sue necessità di riforma, esso ha dimostrato che nuovi modelli di gestione sono possibili.

Le Nazioni Unite hanno recentemente approvato la creazione dell'Internet Governance Forum, la cui prima riunione si terrà ad Atene a fine ottobre; esso dovrebbe, auspicabilmente, riportare un modello di questo genere nell'alveo delle istituzioni internazionali tradizionali. Si tratta quindi potenzialmente di una svolta storica sia per rendere più aperta e democratica la governance della rete, sia per favorire la riforma dei modelli di governo del mondo ai massimi livelli. Per questo motivo ritengo fondamentale creare un canale diretto tra chi, come me, partecipa regolarmente a queste attività, ed i gruppi della società civile più attivi nel panorama nazionale, e specialmente quelli dal mondo della cooperazione, dell'università, dei media, e del software libero.

A maggior ragione questo tipo di organizzazione è necessaria a livello nazionale, dove l'attuale governo ha avuto il merito di iniziare una prima forma, per quanto saltuaria, di consultazione – il cosiddetto “tavolo Stanca”. E' necessario che il prossimo governo dimostri di saper comprendere ed espandere questa esperienza, portando a una consultazione regolare della società civile prima che qualsiasi provvedimento legislativo riguardante la rete e la tecnologia venga anche solo presentato.

E' quindi fondamentale, per tutte queste esigenze, che un momento di incontro come questo non si esaurisca ora né con le elezioni, ma sia il punto di partenza di una collaborazione strutturata tra soggetti diversi, basata sul rispetto delle differenze e sugli obiettivi comuni. Sarebbe un errore pensare a modelli rigidi e superati di rappresentanza diretta dei diversi soggetti; è più produttivo lavorare in rete, adottando sin da subito un modello di partecipazione aperto, slegato dalla presenza fisica, e basato sull'uso innovativo della rete, per creare campagne a “geometria variabile” che raccolgano attorno a specifici obiettivi chi di volta in volta intende impegnarsi per essi, allo stesso tempo mantenendo attiva una rete di contatti e di amicizia che renda l'attivazione di queste campagne immediata e semplice.

E a questo proposito, colgo l'occasione per ricordare a tutte le associazioni italiane la possibilità di accreditarsi, gratuitamente e velocemente, come “Strutture At-Large” presso ICANN ed essere così coinvolte nelle consultazioni e nella scelta dei rappresentanti della società civile al suo interno.

Io credo però che proprio dall'esperienza della società civile sia necessario portare nel mondo sociale e politico italiano il valore vero dell'innovazione.

In Italia, di solito si pensa, sbagliando, che innovazione voglia dire sostituire i computer alla carta nella pubblica amministrazione; o peggio, l'innovazione tecnologica è quella che serve ad imporre sul mercato servizi-trappola come i dialer o le suonerie dei cellulari, magari proposti con politiche commerciali corsare, e che hanno come unico risultato quello di rendere l'italiano medio diffidente verso la tecnologia stessa.

L'innovazione è invece innanzi tutto una questione sociale; così come la rete mette le persone sullo stesso livello, le costringe ad emergere, premia i migliori e i più veloci e punisce le inefficienze e le lentezze, così la nuova economia a rete presuppone una società moderna, meritocratica, efficiente, del tutto priva delle posizioni di privilegio. Senza di essa, magari avremo i computer negli uffici pubblici, ma certamente perderemo il treno dello sviluppo – l'unico che ci passa ancora davanti – legato alla nuova economia globale della conoscenza.

Specialmente nel settore tecnologico legato alla rete, vi è un problema di età: è un settore in cui gli innovatori hanno vent'anni, a trent'anni si è leader, a quarant'anni ci si ritira o si cambia mestiere. Pensare di gestire questo fenomeno con una classe dirigente e politica vecchia e provinciale, adusa a lavorare soprattutto per circoli di amicizie e favori personali, è una battaglia persa in partenza.

E allora, innovazione certamente non è una competizione elettorale in cui la scelta cade tra due candidati settantenni che hanno comandato l'Italia negli ultimi trent'anni.

Innovazione non è né lo sviluppo senza diritti dei call center, né i diritti senza sviluppo delle aziende costrette a scegliere tra farsi carico di una spesa sociale insostenibile ed emigrare all'estero; innovazione non è la libertà di licenziare senza contrappesi né la difesa ideologica, aprioristica, antistorica, di vecchi modelli di relazione sociale. Innovazione è cominciare finalmente a parlare in modo concreto di una nuova società, con nuovi diritti per nuovi lavoratori e nuovi doveri per nuovi cittadini, ma che siano una buona volta uguali per tutti, uomini e donne, giovani e vecchi.

Innovazione sarebbe avere finalmente un'economia di mercato, ma di mercato vero, libero dai centri di potere, dalle raccomandazioni, dagli amici degli amici; in cui i nostri giovani intraprendenti e connessi col mondo e con le nuove tecnologie abbiano davvero la possibilità di creare iniziative e sviluppo, e di occupare velocemente posizioni di responsabilità, senza dover portare borse per trent'anni, nelle grandi aziende così come nelle università.

Innovazione è una società che promuove lo sviluppo tramite la meritocrazia, e in cui un ragazzo romeno o senegalese possa venire da noi non solo a fare scarpe nelle botteghe del Veneto, ma anche a fare le scarpe a tutti quei nostri giovani firmati e cellularizzati – e purtroppo sono tantissimi – che credono di avere un diritto divino all'ultimo televisore al plasma, senza però essere disponibili a nessun sacrificio per ottenerlo.

Innovazione è riuscire a non cedere al cinismo, all'individualismo, all'egoismo, alla disillusione, sul piano pubblico e su quello personale, che caratterizzano questi anni privi di idee e di valori. Innovazione sarebbe avere finalmente, tutti insieme, una morale e un sogno in cui credere.

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