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La settimana
di Gabriele
Ferraris |
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25 aprile 2003
Maldicenze
Non fossimo strasicuri che è
una bufala, trasecoleremmo. Ma è una bufala. Non può
non esserlo. Una leggenda metropolitana. Però gira. Oh,
se gira. La raccontano tutti, in town. E allora ve la riferiamo
così come ci è arrivata. Dunque, la storia riguarderebbe
le «Olimpiadi della Cultura». Bisogna scegliere
la persona a cui affidare la direzione dell’impresa. Viene
bandito un concorso, i candidati mandano i curricula, i selezionatori
esaminano e soppesano. La scelta - senza «corsie preferenziali
per le eccellenze locali», come giustamente auspica Evelina
Christillin nel suo articolo a pagina 80 di questo «TorinoSette»
- cade per evidenti meriti su un operatore culturale torinese
esperto, noto e apprezzato.
Tutti contenti? Tutti, meno uno. Un alto esponente del governo
regionale - dicono gli informati - punta i piedi. No, no, no,
quello lì proprio non ce lo voglio. Ha forse scoperto
qualche orrendo segreto del nominando? Figurarsi; ben altri
sono i titolari degli orrendi segreti, in town. Soliti problemi
di «appartenenza», allora? Magari, almeno avrebbe
un senso. La voce pubblica avalla invece la tesi di un’«antipatia
personale» quanto meno stravagante. Com’è
come non è, l’alto esponente - riferiscono dal
palazzo - si mette di traverso proclamando che quella nomina
spetta a lui (a lui?). Per chetarlo, lo lasciano fare. E lui
si mette in cerca dell’uomo dei suoi sogni. Dove? A Milano,
ovvio.
La storia è talmente assurda che non meriterebbe una
riga, se non fosse che circola con molesta insistenza negli
ambienti della politica e dell'intellighenzia cittadine. Migliore
smentita non potrà avere, tuttavia, che dai fatti, quando
le Olimpiadi della Cultura verranno affidate al vincitore del
concorso; oppure, se si trova di meglio, a uno dei tanti uomini
e donne di cui scrivevamo un paio di settimane fa, capaci e
pronti a lavorare per il bene della loro, della nostra città.
O ancora, nel rispetto dell’italianità e internazionalità
dei Giochi, a un personaggio di chiara fama mondiale, un Nobel,
un Oscar o giù di lì. Comunque, non a qualche
bel tomo dell’advertising milanese.
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