Il piemontese: La pronuncia
Leggere il piemontese non è così difficile; l'unica parte che richiede un po' di tempo è abituarsi alla lettura corretta di o, ò e u, che vien più facile ai francesi. Difatti, la u in piemontese si pronuncia chiusa come in francese, e come nel suono tedesco ü. La o in piemontese si pronuncia come l'italiana u e come il dittongo francese ou; mentre il suono della o italiana e francese è rappresentato con ò.
Per capirci, la parola piemontese còl ("collo") si pronuncia con la o italiana; la parola piemontese col ("quello") si pronuncia con la u italiana; la parola piemontese cul ("parte posteriore del corpo che un gentiluomo non menzionerebbe in pubblico") si pronuncia con la u chiusa alla francese.
Come eccezione, la u si pronuncia come in italiano (e come la o piemontese) nel dittongo au e nei dittonghi ua, ue, ui, uò - tipicamente dopo q o g - a patto che siano dei veri dittonghi (cioè l'accento della parola non cada sulla u iniziale) o che la u non sia esplicitamente accentata.
Il dittongo eu deriva direttamente dal francese e si pronuncia come in tale lingua, cioè quasi come la u chiusa... per maggiori dettagli, chiedete a un francese o a un piemontese di pronunciare la parola feu, che significa "fuoco" in entrambe le lingue. Da notare però che altri dittonghi piemontesi non sono uguali al francese - ad esempio ai in piemontese si pronuncia come in italiano e non come in francese.
La vocale ë è una e muta, come la e francese o come il suono della i nella parola inglese sir (però accorciato e non strascicato).
Le altre vocali si pronunciano come in italiano; a voler essere precisi, la a aperta (con accento grave) tende alla o italiana, mentre la e aperta (con accento grave) tende alla a italiana; la e è solitamente aperta in sillabe che finiscono per consonante, mentre è solitamente chiusa se è a fine sillaba. Sono comunque sottigliezze, che peraltro vi verranno naturali se siete piemontofoni di base o se avete ascoltato a lungo Luciana Littizzetto.
La j non è consonantica come in francese, ma è semivocalica come nell'italiano ottocentesco: in pratica si pronuncia come una i un po' allungata, come quella nei dittonghi italiani che iniziano per i, o come la y della parola inglese yard.
Le consonanti si pronunciano di norma come in italiano; vedremo qui alcune eccezioni e note particolari, aggiungendo però che le regole appaiono molto più complesse di quello che sono in realtà, e chi è nato in Piemonte se la cava egregiamente nel leggerle anche solo andando a orecchio.
La c e la g si comportano come in italiano: davanti a e, ë e i sono dolci, ma diventano dure interponendo una h prima della vocale; davanti a a, o e u o a consonante sono dure. In più, si possono trovare a fine di parola, e in questo caso se sono dure si aggiunge una h (ossia la parola finisce per ch, gh, che sono sempre suoni duri) mentre se sono dolci si raddoppiano (ossia la parola finisce per cc, gg; ma si pronuncia comunque una c o g sola). In mezzo alle parole, le doppie c e g seguono le regole delle lettere semplici - dolci se seguite da e, ë e i, dure se seguite da a, o, u o consonante - ma diventano dolci davanti a consonante se separate da un trattino, come nell'imperativo mangg-lo ("mangialo").
La lettera n- rappresenta la "n faucale", una n lunga e pronunciata con la lingua contro il palato, un po' come il finale ing dei gerundi inglesi, o (meno precisamente) come la n nell'italiano panca, però allungata. Se siete piemontesi, pensate a parole come bon-a ("buona") o lun-a ("luna"): ecco, quella è la n-, ed ha un suono chiaramente diverso da quello della n. In piemontese, la n si pronuncia invece come la n italiana normale, con l'eccezione di quando è alla fine della parola, in cui è faucale (per indicare una n normale a fine parola la si raddoppia, scrivendo nn). La doppia n è normale se è a fine parola o se è preceduta da ë, altrimenti si pronuncia come una n faucale seguita da una n normale, e andrebbe più correttamente scritta n-n.
La lettera s si pronuncia sorda (come nell'italiano solo) o sonora (come nell'italiano rosa) più o meno secondo gli stessi criteri dell'italiano. In generale, la s è sorda, salvo essere sonora quando è seguita da b, d, g, l, m, n, r, v, quando è tra due vocali, o quando è tra una vocale e la fine della parola (ossia, a fine parola e preceduta da vocale). La doppia s è sempre sorda, e si pronuncia sempre come una s sola: è un accorgimento che si usa per rappresentare le eccezioni, ossia casi di s sorda in posizioni dove la regola ne prevederebbe una sonora (ad esempio basin, con la s sonora, vuol dire "bacetto", mentre bassin, che si pronuncia con una sola s sorda, vuol dire "bacinella"). Analogamente, in piemontese la lettera z, singola o doppia, corrisponde sempre a una s sonora (non esiste il suono della z italiana) e si usa dove la regola della s prevederebbe una pronuncia sorda.
La lettera s può essere seguita da un trattino per formare i gruppi s-c e s-g, dove il trattino segnala che la c o g, a differenza di quanto accade in italiano, non si unisce alla s. Per esempio, il verbo s-ciopare ("scoppiare") si pronuncia con una s sorda seguita da una c dolce, ossia in modo molto diverso dalla pronuncia delle stesse lettere nel termine italiano sci.
Infine, la lettera v è piuttosto particolare: in generale si pronuncia come in italiano, ma, causa derivazione dal latino, esiste un cospicuo numero di casi in cui si pronuncia come una u italiana, tendente quasi alla w di wash in inglese. Questi casi sono:
- quando la v è in mezzo alla parola e davanti a d, l, m, n, s, t, z, come in gavte ("togliti");
- quando la v segue a, o, u (ma non un dittongo) e precede una vocale qualsiasi, come in andova ("dove");
- quando la v è alla fine della parola ed è preceduta da vocale (ma non un dittongo), come in brav! ("bravo, sei arrivato fino in fondo!")
Tutto qui: semplice, vero? In realtà il modo migliore per imparare la pronuncia delle consonanti è praticare...