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Pessimismo strutturale
Numero 32 - 30 Agosto 2003 (Sabato), 13:41

Vecchio Commonwealth Oggi su fotoblòg

Vecchio Commonwealth

Molto inglese.

Sono sicuro che stavate aspettando con ansia il ritorno di questo blog, vero? Ammetto che sono tornato a casa già da un po', ma che, sebbene più volte abbia avuto idea di postare, alla fine non ho mai trovato la voglia o il tempo. Ufficialmente la causa è lavoro e altri impegni, anche se i maligni sostengono che la rarefazione dei post sul blog nell'ultimo paio di mesi sia direttamente collegata all'arrivo in casa mia di Dynasty Warriors 4.

Magari, prima o poi, vi racconterò delle mie vacanze, ma come argomento di questo post del rientro ho scelto il pessimismo. Non so quale sia la vostra sensazione, difatti, ma la mia è che il 2003, come già il 2002, sia per molti di noi uno degli anni più densi di pessimismo e frustrazione della storia.

Naturalmente la percezione di ciascuna persona riguardo all'umore medio della gente dipende molto dall'ambiente in cui si vive e si lavora; e quindi la mia percezione è resa particolarmente negativa dal fatto di lavorare con Internet e con le telecomunicazioni e dal vivere a Torino, che nonostante una vitalità spesso insospettata dai forestieri resta comunque una città in profondo cambiamento (si dice così per non dire crisi), e la capitale italiana del bicchiere mezzo vuoto.

Eppure, questo è quel che vedo guardandomi intorno. Nel mondo dell'informatica torinese, l'umore medio è nero; alcuni poli piccoli e grandi, dall'ex Cselt in giù, sono in fase di "ristrutturazione" o di trasferimento a Milano; quel poco di progetti che si vedono in giro sono di solito concentrati o sugli stabilimenti sempre più vuoti di Mirafiori, o sulle committenze pubbliche; e nell'ambiente si sente solo parlare di aziende in crisi e gente che cerca lavoro.

Nel frattempo, con una media pizza ormai in molti posti a 7-8 euro, e un hamburger al pub attorno ai 4, è indubbio che il potere di acquisto reale dei nostri conti in banca e dei nostri stipendi si sia ridotto e non di poco.

Ma se vi ho sottoposto queste considerazioni un po' qualunquiste è perchè voglio discutere del problema conseguente: si tratta di una situazione temporanea, legata ai normali cicli economici, o di una situazione strutturale?

Sicuramente l'economia ha i suoi alti e bassi, anche se le continue comunicazioni sulla ripresa imminente (è da inizio 2001 che la ripresa avverrà tra sei mesi) sembrano più fatte per tener tranquillo il popolo che per altro. Anche perchè, se questo è periodo di crisi per molti, è conseguentemente periodo di vacche grasse per altri, visto che l'aumento dei prezzi deve pur avere beneficiato qualcuno; e d'altra parte è proprio nei periodi di crisi che il potere contrattuale dei più forti - quelli che hanno i capitali per resistere e acquisire i concorrenti in difficoltà, o anche solo quelli che hanno ancora modo di offrire lavoro - è maggiore.

La verità, se mai, è che le nostre economie sono sempre più in difficoltà a reggere la competizione del resto del mondo; e che se per quanto riguarda industria e agricoltura il processo di spostamento nei paesi emergenti è già a buon punto, per i servizi, che spesso sono indicati come il nostro business del futuro, il processo è in realtà già iniziato; anche perchè l'accelerazione alla circolazione delle informazioni impressa da Internet rende anche il know-how più avanzato immediatamente disponibile in tutto il mondo.

A questo punto, quale possa essere nel lungo termine il vantaggio competitivo dei lavoratori dipendenti dell'Europa occidentale, tale da giustificare il loro costo del lavoro decine di volte superiore a quello degli omologhi cinesi o romeni, onestamente mi sfugge. Ma, dato che la quantità di risorse disponibili sul pianeta è fissa, non sarei tanto sicuro del fatto che l'equalizzazione del livello di vita medio possa avvenire verso l'alto. Il che, difatti, coincide con la progressiva riduzione del potere di acquisto reale che è diventata più evidente negli ultimi anni.

Però io non sono un esperto del ramo, quindi potrei semplicemente aver sparato un bel po' di stupidaggini; potrebbe semplicemente essere un momento di cattivo umore collettivo che si risolverà con una immissione di denaro nel sistema e con il ritorno del buon umore collettivo. Non è che c'è tra voi un economista che possa confutare queste idee?


--vb.

<< Buongiorno vacanzaSei stato ottimizzato >>

<Commenti>

Attenzione: quanto segue potrebbe non essere vero.
Simone Caldana
30 Agosto
18:58
se c'e' e' disoccupato, vista la sua incompetenza :(
 
NMF
31 Agosto
12:07
L'economia è bella perchè tutti possono aver ragione su tutto.

Analizzare il problema con ottica di lungo periodo è corretto in quanto è nel lungo periodo che si fondano le basi di un positivo ciclo di crescita, tuttavia c'è l'esigenza di analizzare anche il breve periodo: l'hamburger a 4 euro te lo paghi ora.

Il problema che sta alla base di questi rincari non è per via del costo della manodopera, (ricordo alcuni dati che davano il costo del prodotto agricolo in alcuni casi addirittura in diminuzione), ma per una serie di rincari che si aggiungono mano a mano che la merce raggiunge il consumatore.

E ciò non ha nulla a che fare con il vantaggio competitivo dei lavoratori, ma in alcuni cattivi comportamenti lungo la filiera: abbassare il livello del reddito a livelli rumeni non serve (almeno a breve), bisogna aumentare l'efficienza distributiva.

Come?
Con i servizi che ci stiamo facendo soffiare da sotto il naso perchè siamo ancora chocati dallo sboom della New Economy e ci stiamo chiudendo a riccio invece di tirar fuori gli artigli.
 
Captain Nemo
31 Agosto
12:11
Il problema Italia è la mancanza di grandi industrie. Le Partecipazioni Statali hanno foraggiato per anni l'Italia intera, per cui nessuno si è preoccupato di creare una industria competitiva, in grado di reggere la concorrenza mondiale.
Quando la cornucopia statale è stata chiusa, tutto si è sfasciato. Quelle che erano grandi industrie si sono trovate con un esubero di personale anche del 200%, e quando il governo le ha "messe sul mercato", sono state fatte a coriandoli dai gruppi staranieri più interessati ad acquisire i clienti ed i brevetti che ad altro.
In questo aggiungiamoci che Torino non ha mai avuto altre industrie oltre la Fiat...
Il potere d'acquisto dei nostri salari è legato anche alle attività industriali: se mancano o sono scadenti, e non ci sono alternative, inevitabilmente si finisce come l'Argentina...
Come precauzione viaggio sempre con il passaporto in tasca... non si sa mai...
 
.mau.
4 Settembre
9:36
Interessante, l'"esubero del 200% del personale". Mi ricorda il titolo di un libro di A.K.Dewdney, "200% of nothing".
 
FRANK
5 Settembre
11:16
L'italia come sitema paese ha deciso di riqualificarsi verso il basso, mettendosi in diretta concorrenza con i paesi emergenti: Cina, europa dell'Est, India.
E' una scelta che prescinde dal colore di chi governa; dx e sx fanno lo stesso gioco.
Non sono neanche scelte europee. Si potrebbe pensare che la CE faccia scelte del tipo: questo paese sara' il baluardo delle nuove tecnologie, quest'altro deve controbattere le imprese cinesi che producono scarpe.
Nella CE ogni paese adotta politiche economiche autonome. Quindi la scelta e' della classe dirigente di quel paese.
Essere un paese di serie A o di serie B (rigorosamente a 24 squadre) implica avere politici (di tutti i colori) di serie A o di serie B.
Noi siamo in serie B dal 1900. Torino ormai e' in eccellenza.
 


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