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Numero 54 - 20 Dicembre 2003 (Sabato), 12:42
Perdonatemi, perchè il mese di dicembre è stato piuttosto parco di nuovi messaggi su questo blog; d'altra parte, si sa, dicembre è un mese frenetico per tutti, compreso chi non si lascia troppo prendere dalla frenesia regalizia come me. Cercherò di recuperare nei prossimi giorni, perchè cose da raccontare ce ne sarebbero tante, sia riguardo a Torino sotto Natale, sia riguardo al mio viaggio a Ginevra; e su questo cominceremo oggi.
Dunque, il WSIS è finito già da un po'; io sono riuscito a passarci un paio di giorni, ufficialmente accreditato da GLOCOM, un centro di ricerca di Tokyo, per parlare dell'impatto sociale delle nuove tecnologie cellulari. Nel frattempo ho potuto anche osservare un po' di "dietro le quinte", e in particolare seguire l'evoluzione della questione aperta da mesi: chi deve regolamentare Internet a livello internazionale, ICANN, ITU o qualcun altro?
Partiamo dalla fine, ossia dal risultato: questo è il testo che è finito nella versione definitiva della Dichiarazione di Principi, il principale prodotto del summit insieme al Piano di Azione.
In pratica, l'accordo si è raggiunto sul fatto di essere in disaccordo; per questo motivo, l'esito pratico è stato quello di chiedere a Kofi Annan, il santo protettore delle cause difficili, di mettere in piedi un gruppo di lavoro che coinvolga un po' tutti - governi, industria, società civile, ITU, ICANN e chiunque altro passi di lì - e che discuta di Internet governance fino alla seconda fase del summit (Tunisi 2005).
E' stato però raggiunto un risultato molto importante: viene riconosciuto chiaramente che Internet non può essere amministrata soltanto dai governi, ma deve essere gestita coinvolgendo sia il settore privato, sia la società civile, mediante il cosiddetto approccio "multi-stakeholder" o "tripartito", pena la distruzione del ciclo virtuoso che ha permesso a Internet di generare libertà e ricchezza.
Naturalmente, in questo approccio ci sono distinguo e finezze diplomatiche; naturalmente, è tutto da vedere se questa idea resterà sulla carta o verrà applicata veramente. Ma è la prima volta che un summit delle Nazioni Unite riconosce questo modello, aprendo la strada ad una innovazione nei sistemi di governance mondiali che potrebbe radicalmente cambiare la politica internazionale del futuro.
E' per questo che l'impatto del ritorno in Italia è stato per me un pelino deprimente. Appena rientrato da tutte queste alte discussioni su modelli di governance innovativi, mi sono trovato di fronte alla solita (proposta di) leggina, questa volta dal Ministero delle Attività Produttive, che cerca di mettere mano alle questioni di Internet governance nazionali - in primis, la gestione del .it - per portarle sotto il diretto ed esclusivo controllo di qualche burocrate di un ministero.
Questa proposta di legge contiene alcuni veri e propri obbrobri, come (art. 118) "può registrare un dominio solo chi è titolare di un qualche diritto su di esso" - presumibilmente, un corrispondente marchio registrato - e (art. 120.3.c) "non si possono registrare domini generici se ostacolano lo sviluppo di iniziative commerciali" - ossia, non si può registrare scuola.it per farci un sito di disegni di bambini delle elementari se qualcuno lo vuole usare per vendere libri di testo.
Ma soprattutto, questa proposta di legge istituirebbe una "Commissione per l'accesso all'INTERNET e alle altre reti telematiche", con la finalità non solo di regolamentare i
domini .it, ma anche di "promuovere le iniziative necessarie per dare luogo alla più ampia diffusione dell'utenza dell'INTERNET o di altre reti telematiche" (cioè, praticamente qualsiasi cosa), nonchè "garantire che la utilizzazione o la registrazione dei nomi a dominio non determini posizioni dominanti o pratiche restrittive della concorrenza" e "garantire la sicurezza della rete e la protezione del trattamento dei dati personali" (mai sentito parlare di Garante della Privacy e Autorità Garante della Concorrenza?).
Questa commissione sarebbe presieduta dal Ministero delle Attività Produttive e conterrebbe solo ed esclusivamente rappresentanti di vari Ministeri, della Presidenza del Consiglio e del CNR (non c'è dentro nemmeno il Parlamento). Al massimo, ci sarebbe un comitato consultivo di docenti universitari (che non mancano mai) e, bontà loro, di non meglio specificati "operatori e utenti".
Insomma, vedete l'ombra di governance tripartita? Di consultazione pubblica? Non sono nemmeno stati coinvolti gli altri ministeri (Comunicazione, Università, Innovazione) che si occupano di Internet, nè considerati gli anni di sforzi per creare meccanismi funzionanti; praticamente, Internet viene vista come un puro e semplice strumento di produzione industriale.
Inutile dire che, in rete, si sta già organizzando una vasta protesta contro questa proposta, che potrebbe andare da Confindustria fino alle associazioni di software libero.
Ma questo è piuttosto indicativo dell'approccio italiano a questo genere di cose, e di quanto molti (non tutti, per fortuna) dei nostri funzionari ministeriali, pur avendo magari messo la firma sotto alle dichiarazioni di Ginevra, siano ancora lontani anni luce dalle nuove sfide della società dell'informazione e dalla mentalità che permette di vincerle.
--vb.
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