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Numero 60 - 11 Gennaio 2004 (Domenica), 13:19
La mia idea iniziale era quella di fare un post a proposito di Atrium Torino, i due nuovi capannoni in Piazza Solferino che promettono di rimpiazzare il palazzo di Piazza San Giovanni in cima alla lista degli scempi edilizi della città - almeno, questa è l'impressione estetico/urbanistica che ho avuto quando li ho visti per la prima volta sotto Natale.
Siccome però noi torinesi, come diceva il mio ex capo, siamo sempre mugugnanti e negativi per principio, ho deciso di dare una chance all'iniziativa e di rimandare il giudizio a dopo una visita più accurata; e nel frattempo, ho deciso di condividere con voi alcune riflessioni più generali.
Premetto che negli scorsi anni ho avuto modo di conoscere personalmente e abbastanza da vicino alcune delle teste pensanti che controllano la nostra città, da Zich a Verri, e si tratta di persone sicuramente eccezionali; e delle altre, a partire dal trio Castellani - Bresso - Ghigo, ho sempre sentito parlare in termini altrettanto lusinghieri.
La loro strategia per garantire un prospero futuro alla città, ridimensionata per forza l'industria dell'auto (che, al di là di ogni considerazione sui vertici Fiat, è in forte e inevitabile declino in tutti i paesi occidentali), è basata su una riconversione verso due grandi settori - cultura/turismo e nuove tecnologie - accompagnata dal rovesciamento di uno storico punto debole del nostro territorio, la sua incapacità di fare sistema e di "vendersi" in modo adeguato e moderno, sia verso l'esterno, sia nei confronti dei propri stessi cittadini.
La strategia è, probabilmente, il meglio che si poteva fare; e però, proprio la mia esperienza (o sarà solo un classico mugugno alla torinese?) mi dice che ha alcuni problemi, e che non sta funzionando appieno.
Perchè, sì, adesso la nostra città ha un marketing fantastico, ha preso le Olimpiadi e le sta usando per farsi conoscere nel mondo, comunica con i cittadini, ha nuovi musei, nuove attività culturali, una scena musicale vivissima, un sacco di feste in piazza e vita notturna che a ripensare a vent'anni fa sembra incredibile; è, ed è sempre più, una città meravigliosa in cui vivere, in cui spendere le proprie ore al di fuori del lavoro.
Il problemuccio, però, è che c'è sempre meno lavoro con cui guadagnarsi i soldi da spendere nel resto del tempo.
La lista di aziende, fuori dal settore dell'auto, che, senza essere in particolare crisi, negli ultimi anni hanno chiuso o ridimensionato la sede torinese, in termini di posti di lavoro e di importanza, è infinita: da Telecom Italia a SEAT, dalla RAI a Italtel, fino a tante medie e piccole imprese che non fanno notizia. Banca CRT è diventata un pezzo di un gruppo con la testa a Bologna - a Torino resterà solo il private banking (meglio di niente, per carità, ma non certo un settore di massa). In Tilab il gioco più gettonato è "cosa succederà alla prossima riorganizzazione". Persino enti totalmente pubblici come l'ENEA vorrebbero chiudere.
Molte di queste aziende stanno proprio in quei settori tecnologici che, in teoria, dovrebbero crescere e garantire un futuro alla città. (Vogliamo aggiungerci il triste caso Vitaminic, prima venduta da Chiamparino come salvatrice della patria, e dopo nemmeno due anni spostata altrove nell'indifferenza generale?) Ormai, i neolaureati - specialmente quelli più qualificati - devono quasi certamente mettere in conto uno spostamento a Milano per trovare un lavoro decente.
Insomma, la mia sensazione è che in realtà siamo una Torinolat, una città con un enorme buco economico che cresce lontano dagli occhi di tutti, e si ingrandisce per mille rivoli, per mille aziendine e aziendone che, nel silenzio generale, chiudono e vanno non solo in Lituania, ma a Milano, a Parma, a Bologna, a Treviso; e che viene temporaneamente coperto da tutto questo marketing che abbiamo imparato benissimo a farci, che parla di Olimpiadi e di futuri meravigliosi, che organizza feste e padiglioni dove spiegare ancora una volta quanto siamo turistici e tecnologici, ma che prima o poi non riuscirà più a coprire l'evidenza, nè a darci da mangiare.
E' la globalizzazione? No, il vero dramma è che non è soltanto quella, altrimenti le aziende andrebbero in India, ma non a Parma; altrimenti chiuderebbero i privati, ma non enti pubblici o aziende parapolitiche come Telecom e RAI.
Io, sulle radici di questo fenomeno, ho alcune ipotesi; ma, per non tediarvi oltre, le posterò domani.
--vb.
<Commenti>
Attenzione: quanto segue potrebbe non essere vero. |
Simone Caldana
11 Gennaio 13:51
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questa storia di un post a traino di quello dopo ti ha un po' preso la mano. E non sei Salgari (se dimagrisci pero' potresti passare per Sandokan)
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mf
12 Gennaio 15:51
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A proposito di Lituania, la International Rectifier era anche stata premiata nel 2001 con il Premio Greenfield Piemonte dal nostro amato sindaco (che ormai mi fa un po' pena, poveretto) perche' "stava realizzando significativi investimenti a Torino e in Piemonte". L'annuncio in pompa magna si ritrovare a quest'indirizzo:
http://www.comune.torino.it/internationalnews /numero8/ita/greenfield.htm
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mf
12 Gennaio 16:35
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Il fatto che le nuove tecnologie e le telecomunicazioni molto probabilmente non sarebbero stati settori di grande rilancio per l'area piemontese (e Torinese in particolare) lo si poteva purtroppo capire gia' molti anni fa con due avvenimenti: il primo la fine che stava facendo il gruppo Olivetti/Omnitel, il secondo la decisione di privilegiare Napoli per la sede dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (http://www.agcom.it/).
Non che a Torino e provincia non si possa notare una certa vivacita' nel settore informatico - telecomunicazioni, il problema e' che tale settore sembra gia' avere, nella nostra regione, il fiato corto; la cosa penso sia dovuta anche al fatto che dove stentano a rimanere presenti forti realta' industriali, bancarie ecc. e' difficile prevedere che crescano al traino forti realta' legate ai servizi tecnologici e telematici.
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Bertu
13 Gennaio 1:16
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Non credo la Lituania abbia un lungo futuro, dato che ormai e' possedimento UE. La zona offshore la' non durera' a lungo e il paese ha le frontiere periodicamente bloccate dagli agricoltori incazzati, oddio, non che in Polonia vada meglio, anzi. A Torino, vedendola da fuori, mi sentirei di dire solo che il consumo di armi crescera' parecchio e che la citta' ha le sovrastutture produttive necessarie allo scopo. C'e' gia' FIAT Avio (anche se e' una briciola) e di sicuro quelle sono produzioni non traslocabili oltreconfine, tantomeno vicino a noi russi, per evidenti questioni di sicurezza. Con la nascita degli eserciti europei forse varrebbe la pena di pensarci. Certo bisogna mettere un calmiere agli acquisti in USA, ma con le litigate recenti in casa NATO magari si puo' anche.
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Bertu
13 Gennaio 1:17
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POst scriptum. Certo che poi occorre anche una barriera normativa che vi protegga dalle sistematiche rapine lombarde.
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