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Numero 79 - 25 Aprile 2004 (Domenica), 14:05
Oggi è il cinquantanovesimo anniversario della Liberazione, una festività che a me, onestamente, è sempre sembrata un po' troppo pomposa e superata, magari non nei valori, ma nei modi.
Ma è un anniversario particolare, perchè, forse senza nemmeno averlo bene capito, ci siamo trovati nel bel mezzo di una guerra, quella con l'Iraq. Sì, possiamo fingere di essere lì solo come "difensori della pace", ma in realtà non c'è alcun dubbio che siamo anche noi una potenza occupante, con i nostri soldati lì a difendere la "autorità provvisoria" messa in piedi dalla nostra alleanza, e a difendere se stessi dalle "braccia aperte" con cui gli abitanti del luogo li hanno accolti. E poi, forse non tutti sanno che da un paio di mesi l'Italia ha persino ottenuto in dono dagli americani il governatorato di una provincia irachena, nel più puro stile coloniale.
E allora sarebbe forse il caso di lasciar stare tutti quei bei discorsi sulla pacificazione e sull'importanza di dimenticare e perdonare, di fronte all'evidenza del vero prodotto di questa guerra: la destabilizzazione non solo dell'equilibrio politico e militare del mondo, ma anche dell'equilibrio interiore dei nostri cuori.
Questa è la conseguenza forse meno evidente ma sicuramente più pesante che deriva da questa guerra insensata: l'incomprensione strisciante e l'odio sommesso che piano piano intere parti del mondo covano e coltivano verso l'Occidente, con gli Stati Uniti in testa, ma anche con gli altri paesi che partecipano, l'Italia tra i primi.
E allora i fatti veramente preoccupanti non sono nemmeno gli ordinari rapporti di guerra, di vittime civili e militari. Sono invece fatti come questo, che i giornali hanno riportato in un angolo e poi hanno preferito dimenticare il prima possibile.
Per chi non avesse letto i dettagli qualche giorno fa, quel che è successo in pratica è che agenti delle Nazioni Unite in servizio insieme in Serbia, alcuni giordani, altri americani, hanno cominciato a discutere della guerra in Iraq e del rapporto tra gli americani e il mondo arabo; e la discussione è stata talmente serena che presto i caschi blu americani e quelli giordani hanno cominciato a spararsi reciprocamente addosso, causando tre morti e undici feriti, tutti agenti ONU.
Del resto, non più tardi di stamattina pare che la guerra nel cuore abbia fatto altre vittime, quando gli americani scampati a una esplosione non hanno trovato di meglio da fare che scendere dal veicolo e sparare su quattro bambini che passavano di là.
Stante che la notizia deve essere ancora confermata, essa dimostra che purtroppo non è vero che per gli americani l'Iraq sta diventando un nuovo Vietnam. Invece, è vero che per gli americani l'Iraq sta diventando la loro Palestina, con una guerra di rappresaglie strada per strada tra carri armati e bambini armati di pietre, in puro stile Sharon.
E il problema è che, se questo succederà definitivamente, ci sarà dentro tutto il mondo, e lascerà ferite e odii che solo molti decenni potranno riuscire ad appianare. E ci saremo pienamente dentro anche noi.
--vb.
<Commenti>
Attenzione: quanto segue potrebbe non essere vero. |
sciasbat
26 Aprile 0:12
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Riguardo ai quattro bambi non me la sento di criminalizzare i soldati: quando ti trovi in territorio ostile, allo scoperto, chiunque s'avvicina è un potenziale pericolo.
Un po' invece è Vietnam, anche se sostieni il contrario: mi sembra che lo spirito con cui siano partiti fosse lo stesso (ben descritto in We Were Soldiers), spirito secondo cui credono di poter radere tutto al suolo senza resistenza. Poi quando si trovano là scoprono che è un po' più duro del previsto...
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26 Aprile 16:53
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Ci odiavano gia' prima, vedi 11 Settembre
noi ce ne accorgiamo solo ora
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fagoffi
29 Aprile 15:09
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Personalmente penso questo: invadere un paese e TENERLO non è MAI stato facile, meno che mai oggi. Troppo difficile da controllare, troppe perdite, troppi casini, troppa gente contro.
Evidentemente qualcuno pensa ancora di poterlo fare senza troppi danni collaterali.
Sarà possibile? Penso di no.
Spero di sbagliarmi...
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