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Una vacanza fuori dal Comune |
Numero 91 - 10 Settembre 2005 (Sabato), 14:28
Vi sarete chiesti com'è che, per tre settimane, sono improvvisamente sparito da questo blog. Magari avrete anche pensato che, finalmente, mi fossi deciso ad andare in vacanza. In realtà, una specie di vacanza c'è stata: un giorno sono uscito dall'ufficio, sono andato a fare un salto nella piazza davanti al Municipio di Torino, e non l'ho più abbandonata per due settimane. E' per questo che, a buon diritto, posso dire di aver fatto una vacanza fuori dal Comune.
Chi non l'ha seguita probabilmente non ha ben capito che cosa è successo in queste due settimane di battaglia per il Toro. Gli sarà sembrata la solita storia di perdigiorno, di teppisti calcistici, di politici in cerca di esposizione, di pastette affaristico-mafiose e di scandali facili; e certamente avrà pensato che c'è ben altro da fare in città.
Per chi l'ha vissuta dall'interno, invece, è stata una telenovela appassionante e imperdibile, piena di colpi di scena, simbolica dell'eterna lotta tra il bene e il male. Comincia mercoledì 17 agosto con la discesa in campo di Urbano Cairo; prosegue giovedì 18 con la richiesta dei "traghettatori" del Lodo Petrucci, che avevano salvato il Toro dall'estinzione dieci giorni prima, di conservare il 20% da dedicare ad azionariato popolare, richiesta respinta; venerdì 19, con la conferenza stampa in cui i lodisti Marengo e Rodda, in un bar Norman pieno all'inverosimile, annunciano di stare per vendere il 100% della squadra a Cairo, scatena la festa dei tifosi.
La telenovela prosegue sabato 20, quando le parti si incontrano per firmare le carte, e all'ora di cena e senza preavviso la trattativa salta; Cairo scopre che i lodisti, negli ultimi giorni, hanno sottoscritto ben 46 contratti di dipendenti e giocatori, mentre lui vorrebbe scegliersi staff e squadra da zero. Cairo ha poi raccontato di come, tornato a casa incazzato nero, la cena con il suo già assunto allenatore De Biasi e con suo padre, il massimo tifoso granata di casa, gli abbia fatto pian piano ritornare la fiducia. E così, domenica 21, mentre La Stampa spara a zero in prima pagina su Cairo definendolo un berlusconiano in cerca di pubblicità sulla pelle del Toro, Chiamparino telefona a Cairo e a Marengo e li prega di ricominciare a trattare, dando disponibilità a mediare per risolvere il problema.
Ritorna un po' di fiducia, pochi ci credono, e invece lunedì 22 succede il miracolo: alle 17,50, di fronte ai giornalisti e alla folla assiepata sotto gli uffici dell'assessore Peveraro, sul lato sinistro della piazza del Municipio, scende l'addetto stampa del Toro lodista e comunica che la trattativa è ufficialmente conclusa con successo; il Comune assumerà 11 dipendenti dei 46, e Cairo ha accettato di tenersi gli altri. Le agenzie battono, i telegiornali annunciano, il popolo festeggia, ma succede il primo colpo di scena: un quarto d'ora dopo, il vecchio tifoso Bellino esce in lacrime, e si capisce piano piano che sta saltando tutto.
La gente, me compreso, grazie a un tam tam di sms e di Internet si raduna in piazza, infuriata; Cairo appare sul balcone cercando di calmarla; alla fine si scopre che il misconosciuto ciociaro Luca Giovannone, ras di Alleanza Nazionale in un paesino ciociaro e proprietario di una agenzia che tratta infermiere rumene da importare alle Molinette, e fino ad allora sempre presente ed annuente, ha tirato fuori all'ultimo secondo una carta che gli garantisce un diritto di opzione sul 51% del Toro, e ha dichiarato che, dopo una telefonata a certi misteriosi finanziatori romani, non vende più.
La reazione è scomposta; pare che persino i giornalisti abbiano cominciato a insultare il Giovannone, dentro gli uffici del Comune. Quando scende, da una porta secondaria, trova una ventina di tifosi appostati: sufficienti a spaccare un vetro del taxi a sprangate e a fare un po' di danni in piazza IV Marzo.
Poi scende Cairo, ed è bagno di folla: la gente lo abbraccia, gli grida di non mollare, un tifoso in crisi isterica si mette a piangere e lui lo abbraccia dicendo "sono uno di voi". Sicuramente ha studiato da vicino le videocassette di Berlusconi (di cui, negli anni Novanta, fu assistente personale); e però comunica emozioni che non possono essere falsificate, e, dagli occhi, una intelligenza fuori dal comune. Cairo va a casa e la folla si autoconvoca in assemblea permanente, anche perchè venerdì è la scadenza per iscriversi al campionato.
Martedì 23 è il giorno della mia prima contestazione calcistica: al mattino alle 9 (facciamo 9,30, maledetta tangenziale) mi presento a Giaveno per bloccare l'allenamento della squadra. Arrivo aspettandomi un po' d'azione e folle oceaniche, e trovo altri sette tifosi su una panchina, guardati a vista da undici uomini della Digos (di cui uno, mitico, con la felpa del Toro, il cappellino del Toro, il marsupio e quattro giornali sotto il braccio, in mezzo agli altri dieci: travestimento perfetto). Scherzando, aspettiamo altri tre per organizzare una partita... Comunque, un po' di gente arriva, e a forza di minacce gridate attraverso la recinzione, dopo un tempestoso colloquio col terzo portiere Alberto "Jimmy" Fontana (tifosissimo, poveretto), l'allenamento non si fa.
Esaltato dalla vittoria, dopo un salto in ufficio torno in piazza per il pomeriggio di attesa, mentre in Comune Sindaco e lodisti si riuniscono per cercare una soluzione. All'ora di cena scende uno degli ultras che fanno da ambasciatori e dice di stare calmi e zitti; si scoprirà poi che tre ore stanno venendo spese per convincere il signor Giovannone a venire in Municipio, mentre lui si rifiuta temendo di essere picchiato (in Municipio?).
Alla fine Giovannone arriva, e sotto parte la contestazione organizzata dagli ultras; un paio di fumogeni e, soprattutto, un sacco di cori minacciosi. Le finestre del Comune sono aperte, e da sopra gli infiltrati invitano a fare più casino: Giovannone si spaventa ma non cede (pare perchè il famoso socio romano gli abbia intimato di non farlo). Certo, è una contestazione sabauda - tutte le volte che arriva il 4 i cori si fermano, la gente si sposta, fa passare il tram e poi riprende come se nulla fosse - ma fa impressione. Alla fine, per accomodare la folla, il ciociaro firma un pezzo di carta che non vuol dire nulla, ma che viene sventolato ai tifosi sottostanti come se fosse un atto di vendita; e così la folla festeggia e se ne va, dandosi appuntamento all'indomani per la conclusione.
Mercoledì 24 è un giorno di potenziale festa; la gente è in piazza e aspetta la comunicazione ufficiale, sulla base di un accordo che lascerebbe a Giovannone l'1.8%, pari ai ben 180'000 euro da lui investiti nel Toro, a fronte dei 10 milioni che dovrebbe mettere Cairo come capitale (più altri 15-20 per tutto il resto). A metà pomeriggio Cairo, sempre chiuso negli uffici di Peveraro, chiede alla piazza di dargli una bandiera; e tutti pensano che sia fatta, e che a minuti si festeggi.
Invece... spuntano nuovi problemi, pare che Giovannone, chiuso chissà dove (si scoprirà poi che è nello studio dell'onorevole Armosino di Forza Italia, in corso Matteotti 3), faccia storie, che abbia chiesto di vedere tutti i contratti dei giocatori (fatti dai suoi soci...), che però paiono misteriosamente introvabili; li ha il direttore sportivo (nominato dai suoi soci...) Padovano, ex centravanti della Juve dagli amici definito "il centralinista della GEA"; la GEA è la società dei figli di Cragnotti, Moggi, Geronzi, Tanzi e De Mita che controlla il calcio italiano. Ma Padovano ha il cellulare spento ed è introvabile, come del resto Giovannone, che è scappato da corso Matteotti per andare "fuori Torino" (Milano? Roma?). Perdipiù, verso mezzanotte si scopre che i lodisti stanno per acquistare cinque giocatori dalla Lazio, per altri 6 milioni di euro di ingaggi annui sul groppone, il che farebbe probabilmente scappare Cairo.
A questo punto, la folla è imbufalita. Le voci scorrono incontrollate: che dietro ci sia Moggi, che ci siano Giraudo e la Juve che mirano al Comunale, che ci sia De Laurentiis che vuole eliminare il Toro per far ripescare il Napoli in B, che ci sia Lotito, presidente della Lazio, che vuole sgravarsi dei suddetti contratti a costo zero, che ci siano Mezzaroma e altri immobiliaristi romani, anche loro interessati al Comunale. In effetti, il Comunale è un grosso business; non solo è uno stadio olimpico, ma attorno ci si potranno costruire parecchie attività commerciali, in una zona semicentrale di Torino.
Per calmare la folla, accade una scena surreale; alle due e quindici del mattino, Cairo e Chiamparino scendono dagli uffici e si mettono in piedi sulla panchina di pietra che sta in un angolo della piazza, accanto al bar. Davanti, duecento persone profondamente infuriate, ma zitte e ordinatamente sedute per terra. I due comunicano che Giovannone è sparito ma che la trattativa andrà avanti e loro non cedono, e, per favore, di andare a casa. La folla obbedisce, senza incidenti; ed è un miracolo tutto sabaudo.
Giovedì 25, però, la tensione è ormai impossibile da sopportare. Al mattino, sotto il Comune, viene annunciato che la prevista assemblea della società - che deve approvare alcune misure tecniche necessarie per l'iscrizione - si aprirà ma verrà ritardata di 24 ore, andando proprio a ridosso della scadenza. Marengo, che secondo la piazza se non è in malafede è almeno un gran picio, scende per andare ad aprire l'assemblea e si becca insulti, un uovo e un calcio nel culo.
Poi tutti in massa si spostano sotto l'ufficio del notaio Marocco, in corso Re Umberto angolo corso Matteotti, dove si svolge l'assemblea (sono stato suo cliente, e la situazione è quindi piuttosto buffa...). La gente, spontaneamente, blocca il traffico. Molti sono convinti che dietro ci siano Moggi e Giraudo (autori dell'incauta dichiarazione, pochi giorni prima, "a Torino due squadre sono troppe") e vorrebbero andare, poco più in là, a bruciare la sede della Juve.
Poi, il colpo di scena: si sparge la voce che Giovannone è stato individuato all'hotel Campanile di Moncalieri. Vado a casa a posare la bici, prendo la macchina, arrivo lì per le 15 - nel deserto della zona industriale tra Moncalieri e Trofarello.
La scena che mi si presenta è di guerriglia; arrivo proprio mentre gruppi di ultras corrono su per le scale di sicurezza, entrano nell'albergo, e poi ne escono inseguiti dai poliziotti. Si ristabilisce una calma tesissima; pare che Giovannone abbia provocato la folla dicendo a un ultras, in un incontro negoziatore poco prima, di essere "omo de strada" e "venite qua che ve meno": o un manipolatore con infinito pelo sullo stomaco, o un pazzo. Di conseguenza, gli ultras hanno fatto irruzione e spaccato mezzo albergo per cercarlo; Giovannone è stato salvato chiudendolo nel caveau blindato del direttore.
Arrivano notizie che dovrebbero calmare la tensione, come che la scrittura privata di Giovannone sarebbe invalida per via di alcuni vizi formali, o che un gruppo di tifosi abbia denunciato il ciociaro per tentata estorsione ai danni del Toro e della città; la folla però, dopo cinquanta giorni di vicende legali e colpi di scena, è totalmente fuori controllo, e si accanisce sulla Mercedes di Padovano (scappato di corsa per i campi ore prima) che viene ridotta a un rottame.
Alla fine, mentre il prefetto rientra da Bolzano con un apposito volo militare, viene detto che Giovannone sarà prelevato da una volante per motivi di ordine pubblico e portato in Prefettura, in piazza Castello, dove sarà costretto a trattare. La folla non apprezza, pone come condizione che alcuni tifosi vadano in macchina con lui, perchè non scappi; entra un ultras a trattare la cosa.
L'attesa è infinita, punteggiata da telefonate di Cairo ai giornalisti e agli ultras per avvertire che se viene torto un capello a Giovannone lui si ritira, e solo verso l'ora di cena la situazione si scioglie: escono gli ultras, fanno radunare tutti davanti al portone, e spiegano che Giovannone sarà portato in Prefettura, e di recarsi tutti lì sotto; in quel momento, approfittando del diversivo, la polizia fa scappare Giovannone dal retro. Grida e urla, la tensione si alza ancora, alcuni nella folla accusano gli ultras di tradimento; si crea una infinita colonna di auto da Moncalieri al centro di Torino.
La serata è tragica: la folla schiumante di rabbia arriva sotto la Prefettura, dove viene annunciato di recarsi sotto il Municipio per un annuncio del sindaco; tutti si spostano, ma il Municipio è chiuso e non c'è nessuno. Tutto sembra perduto, ormai la piazza grida al complotto, dà agli ultras (peraltro spariti nel frattempo) dei venduti, è infuriata con tutto e tutti. Alla prima bottiglia rotta la polizia si schiera, alla seconda carica tutto e tutti, non solo i violenti ma anche i tanti studenti, impiegati e pensionati che affollavano la piazza, schiumanti solo dell'atavico mugugno torinese. Via Garibaldi per mezz'ora sembra l'Iraq, con lacrimogeni, un paio di vetrine rotte, panchine e fioriere travolte da uno tsunami di braccia e di furia repressa. Poi tutto si calma, dopo la tempesta.
Venerdì 26 è un giorno confuso, in cui pochi hanno ancora fiducia. In piazza non c'è quasi più nessuno. Nel tardo pomeriggio arriva la notizia che l'assemblea ha messo in piedi un congegno per vedere le carte di Giovannone: se ha davvero i soldi per comprare il Toro, dovrà versarli entro la mezzanotte di mercoledì 31: cinque milioni e centomila euro in contanti, e il Toro sarà suo. Solo se questo non avverrà, Cairo potrà rientrare in gioco. La sera, Giovannone parla in TV ed arriva la rivelazione: signori, quest'uomo deve andare in analisi; completamente fuori dalla realtà, dice che "alla fine i tifosi mi ameranno e grideranno forza Toro e viva Giovannone", come un qualsiasi complessato alle prese con improbabili fantasie di rivincita.
Nel weekend stacco, vado in montagna a ubriacarmi con gli amici, visto che ogni tanto, oltre a quelle del Toro, devo anche sfogare le mie tristezze personali. Eppure, grazie a fonti nuove, si capisce che sì, Giovannone è quel che è, ma dietro ha veramente Lotito e forse altri "furbetti del quartierino". Gli ultras e altri gruppi organizzati, divisi nei punti di vista e nei postumi dell'assalto all'albergo, annunciano un clamoroso autoscioglimento. La situazione pare perduta, e i primi giorni della settimana passano in uno stato di rassegnato pessimismo.
Mercoledì 31 è il giorno della verità: sin dal pomeriggio, sebbene in Municipio non ci sia nessuno, una folla si raccoglie lì sotto per condividere la gioia o il dolore della fine di questa vicenda. Si spargono voci incontrollate sul luogo dove il commercialista di Giovannone dovrebbe consegnare l'assegno: Ceres e Salice d'Ulzio vengono setacciate alla ricerca delle case di montagna di Marengo. Alla fine, nella piazza, si sparge la voce che, di fronte a Cairo, si è aperta una trattativa dell'ultimo secondo; pare ad Asti, ma poi negano, ma poi non si sa.
Insomma, alla fine il miracolo insperato è annunciato alla folla da Silvia Vada di ItaliaUno!, che compare in piazza dicendo liberamente che stanno arrivando i telegiornali, perchè Cairo ha comprato il Toro. Attimi di confusione, ma la notizia viene presto confermata: Cairo e Giovannone sono a Fiumicino e stanno trattando, mentre nel solito studio di corso Matteotti i legali di Giovannone sarebbero pronti con l'assegno se la trattativa fallisse. Ma la trattativa non fallisce (dopo, voci di piazza parleranno di un milione di euro in una valigetta, chissà) ed è festa. In realtà, Cairo non ha comunque ancora comprato il Toro per via di tutti i tempi tecnici, ma nessuno ha il coraggio di dirlo alla folla: dopo un lungo scaricabarile, all'una passata il segretario del sindaco si prende la responsabilità di annunciare alla folla, mentendo, che "Cairo è il nuovo presidente del Torino".
Nel frattempo, nella notte, si scoprono i retroscena: e in particolare che il vero elemento risolutore sarebbe stato che Cairo, lunedì sera, è andato a cena con Galliani, che ha fatto una telefonatina a Lotito intimandogli di desistere. A quel punto Giovannone, rimasto solo e certo non in grado di reggere economicamente, non ha potuto che trattare.
Venerdì 2 settembre è il giorno dell'apoteosi: presso gli uffici di Peveraro, Cairo e i lodisti passano il pomeriggio a firmare 53 pagine di contratto per vendere il Toro. Seguirebbe la conferenza stampa, ma Cairo non ce la fa a non mettersi a saltare con la folla al grido di "chi non salta bianconero è", nel delirio generale.
Durante la conferenza Cairo è un fiume in piena, e scopriamo altri gustosi retroscena, come, a trattativa chiusa e alle 23,50 di mercoledì, la telefonata di Peveraro che avverte Cairo che il commercialista di Giovannone avrebbe presentato ugualmente l'assegno comprando così il Toro; dieci minuti di panico, seguiti da altra telefonata di Peveraro che spiega di aver fatto loro uno scherzo. Io, fossi in Cairo, mi sarei assicurato di stroncargli la carriera. E però, io - che mi sono infilato in conferenza al seguito dello staff ufficiale di Toronews - ho ancora la soddisfazione di stringere la mano a Cairo, Trombetta (direttore generale) e De Biasi (allenatore), e di aiutarli a digitare un messaggio in diretta sul nostro forum (grazie al cellulare e al portatile del magico Maurizio, uno dei nuovi amici di queste settimane).
Morale: Cairo scrive al computer con un dito solo, e ha chiesto a me come si faceva il punto esclamativo. Ne sono assolutamente orgoglioso.
Il resto lo sapete: in sette giorni abbiamo comprato più giocatori che in sette anni, e non ricordavo nemmeno più la sensazione di leggere che il Toro ha tirato fuori dei soldi per acquistare un giocatore forte, invece di prendere a costo zero il primo svincolato o plusvalente disponibile. Oggi l'esordio; con questi tempi e questa preparazione, già non perdere sarebbe molto. Ma, comunque vada, sarà un successo.
--vb.
<Commenti>
Attenzione: quanto segue potrebbe non essere vero. |
Simone Caldana
11 Settembre 4:41
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Non fosse che ho smesso col calcio e che mia madre mi metterebbe il sale nella macedonia potrei anche mettermi a tifare Toro.
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.mau.
15 Settembre 10:30
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ma sei almeno riuscito a regalarti un posticino nell'organigramma del Toro, anche se non pagato?
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