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Numero 96 - 4 Ottobre 2005 (Martedì), 10:18
La scorsa settimana ero a Ginevra, alle Nazioni Unite, dove si è svolta l'ultima riunione preparatoria per il Summit Mondiale sulla Società dell'Informazione, che si terrà a Tunisi a metà novembre. Si trattava della riunione decisiva, quella in cui si doveva trovare un accordo tra gli Stati Uniti e il resto del mondo per internazionalizzare la rete, con il rischio che la rete globale si spacchi in due o tre tronconi se l'accordo non si trova; e in cui si dovevano concordare i principi e i metodi per bilanciare sicurezza e diritti umani, privacy e attività economiche, libertà di espressione e controllo dei governi, nonchè gli strumenti organizzativi ed economici per diffondere le ICT nei paesi del terzo mondo.
E' stata una riunione frenetica e ricca di colpi di scena, in cui sono emersi i problemi della globalizzazione, i conflitti politici latenti tra le varie parti del mondo, le diversità culturali e politiche; in cui l'Europa, a sorpresa, si è avvicinata alla Cina e all'Iran mettendosi contro gli americani, in cui i dissidenti tunisini sono stati minacciati dagli agenti del governo di Ben Ali persino dentro il palazzo, e in cui la difficile convivenza tra un processo diplomatico intergovernativo e la comunità globale di Internet è arrivata quasi al punto di rottura. Un evento ricco di notizie e di ricadute, di cui un buon giornale dovrebbe parlare, insomma.
Difatti, giovedì e venerdì mattina c'erano articoli su questi argomenti sull'International Herald Tribune, sul New York Times, sul Financial Times, oltre che su testate online come The Register e Heise. In Italia, ne ha parlato solo Punto Informatico. Sui nostri giornali, nemmeno un trafiletto: troppo impegnati con i gossip e le scazzottate verbali dei nostri politici.
Il problema è che l'Italia è un paese che, nell'era della società globale, si parla addosso guardandosi allo specchio. Terrorizzato dalla globalizzazione come un alce che fissa i fari del camion che sta per investirlo, eppure del tutto incapace di muoversi, di provare a fare qualcosa.
Bene, direte voi, se i giornali non ne parlano, se la massa degli italiani non ne sa nulla, almeno chi ci governa avrà degli specialisti e dei piani per gestire la situazione.
Allora, se volete la prova, questo è il programma di governo di Romano Prodi. (Quello di Silvio Berlusconi, ammesso che sia davvero lui il candidato dell'altra coalizione, non è ancora pervenuto.) Un programma lungo e dettagliato, che, stampato, prende sedici pagine.
Ebbene, provate a cercare la parola "Internet": non c'è. C'è una sola menzione delle "tecnologie della comunicazione e dell'informazione": nel capitolo introduttivo, dove si dice che le ICT sono una delle quattro cause fondamentali della globalizzazione. Poi però, quando si passa a descrivere il programma, non vengono più menzionate: saranno anche una causa fondamentale, ma, apparentemente, Prodi non ha la minima idea di che farsene o come gestirle, a parte il "completamento della rete telematica a larga banda", in fondo al paragrafo dedicato ai trasporti (!).
Nessuna notizia su grandi temi come la privacy, la proprietà intellettuale, il software libero, l'alfabetizzazione informatica, il digital divide, la libertà di espressione in rete, l'e-commerce, nè sugli eventuali piani per sviluppare il settore industriale dei media e delle ICT, con tutti i suoi problemi di concorrenza mancata, di qualità del lavoro, di competitività internazionale, di ricerca e innovazione continua: non pervenuti. Gli unici due settori menzionati come produttori di tecnologia sono l'energia e, incredibile, la sanità pubblica. Questo programma, insomma, avrebbe potuto essere utilizzato tale e quale per le elezioni del 1980.
So che per fortuna, nello schieramento di Prodi, ci sono politici molto attivi su questi temi; e non dubito che entrambi gli schieramenti avranno tempo per rimediare e farci conoscere i propri programmi a proposito. Ma trovo spaventoso che nel 2005 per la gran parte della nostra classe dirigente, politica o imprenditoriale che sia, ICT voglia dire essenzialmente call center e suonerie dei cellulari; e che invece di porre la società dell'informazione al centro dei nostri piani per il futuro, ci si ostini ad ignorarla per continuare le solite eterne discussioni su settori per definizione in perdita, come la scuola e la sanità, o su settori industriali indifendibili, come la metalmeccanica o il tessile di massa. Senza capire che se non c'è crescita economica nei settori innovativi e ad alto contenuto tecnologico non ci sono nemmeno i soldi per mantenere tutto il resto.
Insomma, è come se chi ci dirige pensasse che l'Italia possa essere un'isola al di fuori dei grandi cambiamenti della società mondiale, e li guardasse con la puzza sotto il naso o con paura, come un problema anzichè come una opportunità, o con il fastidio per doversi confrontare con uno scenario del tutto nuovo. Purtroppo, nella società globalizzata, le isole non esistono più. Speriamo per noi che non lo scoprano troppo tardi.
--vb.
<Commenti>
Attenzione: quanto segue potrebbe non essere vero. |
.mau.
4 Ottobre 11:34
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lo sappiamo che vuoi trovarti il posto da spin doctor per l'ICT!
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Frank
7 Ottobre 15:35
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I'ICT è stato abbandonato da questo paese anni addietro, quando si è deciso che si poteva chiudere l'unica azienda italiana nota a livello mondiale in questo settore: Olivetti. Ah, sì, il tronchetto ha sbandierato ai 4 venti che la farà rinascere...
La classi politica/dirigente/imprenditoriale italiane sono mediocri, ottuse, clientelari e pensano solamente al proprio tornaconto. I politici, di qualsiasi colore, non hanno nessun contatto con la realtà . La maggior parte degli imprenditori investe i proprio guadagni in beni di lusso invece che nella propria azienda. Valgono solo le conoscenze, non le capacità , sia nel pubblico che nel privato.
Non produciamo niente di ICT, importiamo, integriamo ed installiamo.
Scusa lo sfogo, vb :)
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rumenta
12 Ottobre 0:43
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la verità è che di internet e della banda larga non frega niente a nessuno... tranne quando si tratta di incassare le prebende dell'industria per blindare la rete (urbani) o limitare la libertà di espressione che ne è la caratteristica (legge sull'editoria).
per carità , il tutto ovviamente per la nostra "sicurezza".....
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Piero
12 Ottobre 1:41
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Basta con questi politici attempati. E' ora di mandarli a stendere, tirarci su le maniche e prendere noi in mano il timone della barca.
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bonni
19 Ottobre 18:20
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allora?!? ma parlate per dare aria...?! qs governo ha preso provvedimenti in tutti i campi che menziona vittorio. TUTTI. allora, malafede o ignoranza?
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Pinco Pallino
6 Novembre 11:34
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Il prof. Prodi ovviamente nominerà un ministro per questo settore che a sua volta si affiderà a dei tecnici. Le università italiane abbondano di esperti, ricercatori seri che, sebbene abbiano uno stipendio ignobile, dimostrano la profondità delle loro conoscenze pubblicano ad alto livello, anzichè fare chiacchiere come chi prende 10 volte il loro stipendio per sedersi su una sedia.
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