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Numero 71 - 12 Marzo 2004 (Venerdì), 9:45
A me piace viaggiare in treno. Questo non solo perchè il treno non mi richiede di guidare, non risente del meteo, è meno rischioso e permette di fare altro durante il viaggio, ma soprattutto perchè mi piace guardare fuori dal finestrino.
Di solito, quindi, mi apposto alla stazione verso le carrozze meno frequentate - a Porta Susa ormai conosco il centimetro esatto dove si ferma la porta della prima carrozza del treno per Milano, guasti permettendo - e cerco di appropriarmi del posto più desiderato, quello accanto al finestrino andando nella direzione del treno.
L'altra mattina, poi, ho avuto l'occasione di un vero e proprio viaggio indietro nel tempo, come spesso accade se si utilizzano le linee minori. Dovevo difatti andare a Casale Monferrato, e i settanta chilometri del percorso prevedevano un viaggio di un'ora e un quarto, di cui venti minuti scarsi sull'interregionale per Milano fino a Chivasso, e quasi un'ora per i quarantacinque chilometri da Chivasso a Casale.
Naturalmente fino a Chivasso c'è poco da raccontare, a parte il mio usuale ritardo nell'arrivare a Porta Susa (ho perso sia il 36 che l'1) per fortuna compensato dall'usuale ritardo di cinque minuti dell'interregionale partito da Porta Nuova (ma come fa un treno ad accumulare cinque minuti di ritardo in un percorso che ne dura sette?). Ma scesi a Chivasso - che un tempo era la città della Lancia, e ora è la città della Ventura - le cose cambiano.
Il treno locale su cui salgo è considerevolmente lungo - cinque carrozze - e anche rinnovato da poco. Però ben presto comincia ad emettere lo stesso, inconfondibile rumore dei treni di una volta, più o meno simile per tipo e intensità ad una macchina da caffè in azione. Del resto pare che la Chivasso - Casale sia stata l'ultima linea italiana ad utilizzare locomotive a vapore, ancora negli anni '70!
Partiamo in mezzo alla nebbia e a una pioggia sottile, e il paesaggio sembra svanire nel nulla, lasciando appena intendere le colline sullo sfondo oltre il Po. A Castelrosso il parcheggio della stazione - quattro auto piccole, più una di traverso davanti alle panchine - è pieno; e ci sono tre campanelle appese al muro, su cui qualcuno ha diligentemente segnato con un pennarello "Torino", "Milano" e "Casale".
Lì abbandoniamo la linea principale, e ci addentriamo per i campi della pianura vercellese. Il percorso è una lunga sequenza di villaggi e ex cittadine intervallate dai campi; non appena ci si avvicina a una di esse, tutto diventa cemento sgretolato e ricordi d'Ottocento, pur se con qualche vaga eccezione dovuta a qualche nuova fila di villette a schiera color rosa pallido.
A Verolengo la stazione è chiusa, e si leggono ancora scritte a vernice che devono risalire all'ultima guerra; entrando in stazione, il treno oltrepassa il Canale Cavour e poi passa così vicino ad un piccolo orto che verrebbe voglia di coglier le zucchine dal finestrino.
La ferrovia corre poi proprio accanto alla statale, che ho già percorso un buon numero di volte in macchina; eppure la prospettiva è molto diversa. A Borgo Revel la stazione non c'è nemmeno; solo una fermata in cemento tanto coperta di graffiti che lo stesso nome del paese è stato riportato in mezzo alle altre decorazioni da un graffitaro pietoso, perchè altrimenti nessuno avrebbe potuto sapere dove si fosse. Che poi, ad essere precisi, Borgo Revel non è nemmeno un paese, ma una frazione di Verolengo; e ad essere ancor più precisi, non si chiamerebbe nemmeno Borgo Revel, ma Calciavacca ("toponimo di incerta origine", precisa eufemisticamente il sito del comune di Verolengo), essendo poi stato rinominato dal Duce in onore di un famoso ammiraglio della prima guerra mondiale. Ad ogni modo, in mezzo a questo spettacolo stride una nuovissima bacheca in alluminio con l'insegna "Arrivi/Partenze", con cui a sua volta stride il fazzolettino giallo di dieci centimetri per dieci in essa contenuto, che è più che sufficiente a riportare tutti i treni che passano di là.
Passato il doppio ponte sulla Dora Baltea - a proposito, i doppi ponti stradali/ferroviari italiani meriterebbero un libro - attraversiamo la zona più radioattiva d'Italia.
A Crescentino entriamo in uno snodo ferroviario che farebbe invidia a un capoluogo di provincia; c'è persino una torre in mattoni rossi con una porta che dà nel vuoto sopra i binari (forse ci caricavano i vagoni?). Peccato che sia tutto semiabbandonato... Salgono alcuni viaggiatori segnalando di non aver potuto timbrare il biglietto perchè qualcuno, in mancanza di meglio, deve aver passato la serata dando fuoco alla macchinetta.
A Fontanetto Po il viaggiatore viene accolto in paese dal cimitero, che sembra una città fortificata posta nel bel mezzo dei campi, con il retro delle cappelle a formare un muraglione che marca la fine del territorio dei vivi e l'inizio di quello dei morti. In stazione, a destra dei binari, c'è un deposito con tettoia, sommerso dalle erbe e dai rampicanti, le porte sfondate, alcune vecchie travi di legno buttate lì alla rinfusa.
La campagna, in compenso, è spettacolare, con il giallino dell'erba secca e il marrone del terreno arato di fresco che muoiono piano nella nebbia, appena tagliata dai fari di poche automobili. A Palazzolo Vercellese la stazione, chiusa come tutte le altre, ha gli infissi divelti e i vetri rotti. Su questa linea non hanno nemmeno messo i cartelli blu con i nomi dei paesi, quindi si può contare soltanto sulle grandi lettere arrugginite appese sulle vecchie stazioni in abbandono, quando l'immagine coordinata era questione di partite di mattoni anzichè di standard di marketing.
Anche Trino ha uno snodo ferroviario ancor più imponente di quello di Crescentino (questo lo dico per far incazzare i crescentinesi, ovviamente), con tre binari vivi, due o tre morti, un grande piazzale, e persino una piazza alberata davanti alla stazione, con regolamentare divieto di giocare a palla. Anche qui, però, è tutto in abbandono, probabilmente in quasi totale disuso da decenni. Del resto, avvisto sul muro di una casa subito prima della stazione i resti di una fantastica scritta "TIPOGRAFIA" che, a giudicare dal font, probabilmente risale ai primi anni del Novecento.
Potrei risparmiarvi Morano Po e Casale Popolo - in quest'ultima stazione il treno nemmeno ferma più. Siamo talmente in mezzo al nulla che al ritorno il treno ferma alla stazione di Balzola e io, che ho diligentemente annotato per voi tutte le stazioni, vengo preso dal dubbio di aver sbagliato treno, visto che all'andata non c'era traccia di consimile luogo; realizzo soltanto dopo che quella fermata all'andata che pareva tecnica, per dieci secondi in mezzo alla campagna, era in realtà la sosta alla stazione di Balzola, ma che essendo la stazione dall'altro lato del treno, non essendo salito nè sceso nessuno, e non essendoci dal mio lato assolutamente nulla che facesse pensare a una fermata o ad un paese, non me ne ero proprio accorto.
In quest'ultimo tratto sono però notevoli alcuni vecchi caselli in mattoni rossi, completamente diroccati, e presumibilmente eretti a guardia di passaggi a livello su strade di campagna che oggi non esistono nemmeno più. Degna di nota, subito prima della stazione di Casale, è anche l'insegna a vernice "Piume Arduino - Telefono 2640": mi chiedo da quanti decenni i numeri di telefono abbiano più di quattro cifre e le piume non siano più un prodotto comunemente venduto nei negozi. Ma una latta di vernice è un investimento inabbordabile?
In realtà, però, sono contento di poter ancora avere il privilegio di fare un viaggio nel tempo come questo - e perdipiù con un lieto fine! Casale, difatti, è una città a cui sono legato da ricordi brevi ma intensi, e da un certo numero di parenti. Potrebbe essere il prototipo della città vittima della fase postindustriale, ossia di quelle città della provincia nordoccidentale che erano tra i centri ricchi e propulsori dell'industria italiana tra fine Ottocento e inizio Novecento, e che sono via via rimaste tagliate fuori dalla nuova dimensione globale dell'economia, rimanendo congelate nelle ombre della loro passata epoca d'oro.
E' per questo che mi ha fatto particolarmente piacere scoprire che a Casale ha origine e sede una delle maggiori multinazionali europee del cemento. Tutto sommato, osservare il passato è importante, ma guardando al futuro con costanza e inventiva le possibilità ci sono.
E, nel viaggio di ritorno, l'anno era senza dubbio il 2004.
--vb.
<Commenti>
Attenzione: quanto segue potrebbe non essere vero. |
.mau.
12 Marzo 11:07
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a inizio anni '80 il telefono che avevamo a Usseglio aveva trecifre (758).
Ancora negli anni '90 i numeri a Viù avevano quattro cifre.
Ma tanto adesso c'è anche il prefisso obbligatorio.
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elena
12 Marzo 11:23
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ma ci sono le zucchine in questa stagione?
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Frank
12 Marzo 11:29
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Ma che ci vai a fare a Casale?
Cmq, sei fortunato, hai potuto ammirare il paesaggio, normalmente e' "oscurato" da una coltre nebbiosa cosi' densa, che cui gli autoctoni la tgliano a cubetti e si cotruiscono dei fantastici igloo.
Casale... ex capitale del cemento, quasi ex capitale del freddo (frigoriferi, banchi frigo, camion frigo). "Devota" a Carlo Alberto, che la adorava, a cui ha dedicato una statua equestre in piazza Mazzini (chiamata dai casalesi piazza del Cavallo). Basta, mi fermo.
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Dario
12 Marzo 11:32
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Cosi ad occhio direi che la stazione di Crescentino e' relativamente grossa "grazie" alla (ex-)presenza di mamma FIAT
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Frank
12 Marzo 12:00
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La teksid di Crescentino (ghisa) e' ancora Fiat. Quella di Carmagnola (allmunio) non piu'. Trino e' grossa perche' c'e' lo stabilimento Buzzi-Unicem attaccato.
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Simone Caldana
12 Marzo 14:33
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A Morano Po all'inizio dell'autunno fanno una bella festa di paese. Lunga la foglia, stretta la via dite la vostra che ho detto la mia.
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Frank
15 Marzo 9:39
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La Panissa!!!! A Morano sul Po fanno la Panissa!!!! Un risotto con fagioli, cotenna e salsicce cosi' spesso che si puo' usare tranquillamente come materiale per l'edilizia. Ah, ed anche le rane, che pero' sono specialita' di "du sturi" (Due Sture, 4 case tra le risaie).
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Simone Caldana
15 Marzo 12:11
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Si, la panissa me la ricordo. Non sono riuscito a finirla.
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D7
16 Marzo 9:27
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Un dettaglio: la stazione di Balzola che hai visto e' "Balzola Centrale" (1km dal paese...), per distinguerla da "Balzola Martinetta" (3km dal paese) sulla linea Casale-Vercelli. Comunque ora la gente dovrebbe capire perche' me ne sono andato da Casale Monferrato (abito in frazione Terranova)
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marco
27 Febbraio 21:15
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A trino vercellese è presente la biglietteria e anche il dirigente del movimento
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Umberto
8 Maggio 0:19
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Leggendo questa 'cronaca' di un viaggio sono tornato, con sincera emozione, a 36 anni fa. Infatti fui assunto nelle ferrovie giusto a Balzola Martinetta. Era la prima volta in vita mia che vedevo una risaia o piuttosto zanzare grandi come elicotteri da trasporto. Sono napoletano. Tuttavia conservo un ricordo dolcissimo di quei luoghi e di tutte le persone che ho conosciuto. Ricordo che al mattino transitava il rapido Genova-Biella (non ne ricordo più il numero).
Ricordo ancora che a in paese c'era una bellissima ragazza (Mariuccia?) la cui mamma gestiva una lavanderia... presso la quale portavo le mie camicie.
Grazie per avermi dato l'opportunità di tornare indietro nel tempo. Umberto
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aldo
6 Giugno 21:01
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Ho letto solo poche righe di questa pagina, in particolare quelle relative a Borgo Revel e mi sono fermato:
Ma chi e' l'autore di tante imprecisioni sul nome di questa borgata del Comune di Verolengo?
Aldo.
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Massimo
12 Settembre 14:02
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Piume Arduino e' un mio ricordo d'infanzia indelebile visto che abitavo in quella via e anch'io avevo il numero di telefono a 4 cifre.
Ti confermo che nel '72 sono andato da Casale a Torino con un locale a vapore.
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