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Numero 10 - 20 Maggio 2003 (Martedì), 19:20
Dunque, occhèi. I marines non c'erano, per il momento è tutto tranquillo. Ma nonostante questo, il resto della storia iniziata ieri sulle principali corporation americane in materia di telecomunicazioni e loro controllo dovrà attendere ancora qualche giorno, per lasciare spazio alla solita, tragica storia di armi e di violenza.
La storia l'avrete sentita certamente, anche perchè ricapita ciclicamente; un tabaccaio (un gioielliere, un farmacista) solo in negozio di sera; un paio di giovani più o meno sbandati, più o meno drogati; una pistola; un morto. Alle volte, il morto è uno dei rapinatori; alle volte, il morto è il negoziante.
Tutto qui, dieci, massimo trenta secondi, un attimo, un flash. E' abbastanza pero' per creare strascichi infiniti: ore di assedio dei giornalisti, giorni di discussione tra la gente, mesi di ospedale per quelli che non ci sono restati secchi, anni di processi per i responsabili, dall'una o dall'altra parte.
Alla fine però la questione è sempre quella: e se dietro a quel bancone ci fossi io?
Allora, diciamo subito che a me non è mai piaciuta la retorica del povero diavolo che, reietto dalla società e dalle discriminazioni sociali, va a fare una rapina perchè è costretto dalle circostanze. Come dimostrano le migliaia di immigrati che invece di fare gli spacciatori vanno a spaccarsi il culo facendo i muratori e i facchini - cosa che i nostri bravi ragazzi disagiati non prendono nemmeno più in considerazione - una strada legale, volendo, si trova persino nei periodi di crisi.
In altre parole, so che farà effetto, ma resto convinto che uno che sceglie volontariamente di andare a fare una rapina, specialmente se con un'arma in tasca, sceglie anche volontariamente di prendersi i suoi bravi rischi. Incluso quello di farsi sparare. E che ci può essere pietà, ma non rispetto o tolleranza, per chi per primo sceglie di porsi al di fuori delle regole di convivenza civile al punto da mettere la vita di qualcun altro a rischio per denaro. Ed è vero che, come dicono le associazioni di categoria, parlare dalla poltrona è sempre facile, e che non sparare vuol dire molto spesso farsi ammazzare per due lire.
Però... in questo caso esiste anche un però. Perchè in questo caso, leggendo bene i racconti, scavando tra le raccolte di firme leghiste e le dichiarazioni ad effetto come "scenderemo in piazza se proveranno a processarlo", si scopre che non siamo di fronte al solito caso del negoziante che spara per primo per paura o per difesa. Stando ai racconti, si scopre che in questo caso il tabaccaio di Milano non si è accontentato di sparare ai rapinatori e metterli in fuga, ma è uscito fuori dal negozio, li ha inseguiti di corsa per duecento metri, e ha piazzato le sue pallottole nella schiena del rapinatore che fuggiva, per ucciderlo.
E allora, forse bisogna abituarsi a pensare che non tutte le rapine che finiscono in tragedia sono la solita rapina finita in tragedia, ma che, come in tutte le cose della vita e della legge, bisogna capire, distinguere, individuare le scelte personali. Magari sono scelte prese in un attimo; magari sono effetto dell'adrenalina o della rabbia. Ma se questo non è omicidio volontario - un assassinio, in altre parole - non si capisce cosa sia.
Musica di supporto: ovviamente The Bitter End dei Placebo. Che siano maledetti davvero o più probabilmente maledetti per finta commerciale, resta sempre un gran pezzo.
--vb.
<Commenti>
Attenzione: quanto segue potrebbe non essere vero. |
Simone Caldana
20 Maggio 20:15
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Io ho sempre pensato che se mi trovassi faccia a faccia con uno armato di coltello (coltello, eh, perche' pistola non c'e' storia) per la strada uno dei due non ne uscirebbe vivo.
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