La violenza
Come ormai sa tutta Italia, questa settimana sono stato processato dai media. Per aver lanciato un allarme sull’estensione della rabbia violenta contro le istituzioni, che chiunque può percepire da una qualsiasi conversazione per strada, sono stato accusato di fomentarla e di esserne contento; idem, ieri, per il professor Becchi. Da buona tradizione italica, difatti, il modo con cui lo Stato affronta i problemi è far finta che non esistano, almeno fin che non si arriva all’emergenza (una conclusione spesso voluta, dato che l’emergenza è una buona scusa per abolire controlli e garanzie e fare con la cosa pubblica ciò che si vuole). Eppure, bastava sapere l’italiano e leggere ciò che ho scritto.
La reazione scomposta dei media e dei partiti alle mie parole, comunque, dimostra non solo l’attitudine – ovvia e inevitabile in Italia, ma comunque riprovevole – a manipolare le parole degli avversari politici e mettergli in bocca cose che non hanno detto per poterli attaccare (e anche questa, per quanto verbale, è violenza), ma la spaventosa distanza tra i circoli della politica e dell’informazione nazionale e la realtà dell’Italia di oggi. Probabilmente queste persone non escono mai dalle auto blu, dai salotti e dagli studi televisivi, perché basta prendere l’autobus o fare due passi in un mercato o aprire un qualsiasi spazio di discussione politica in rete per toccare con mano ciò che io ho riportato. Le reazioni scandalizzate non risolvono la situazione, anzi la peggiorano, perché la radice della rabbia è proprio la sensazione di essere esclusi e non ascoltati dalle istituzioni.
A nessuno fa piacere essere sputtanato a reti unificate e a livello nazionale per qualcosa che non si pensa e non si è detto, specialmente dopo aver dedicato anni della propria vita al bene comune. Peraltro io ho imparato a ignorare i media; chi mi conosce sa come sono e certamente sa che non ho la minima simpatia per la violenza, né sarei in grado di praticarla. Mi ha fatto piacere la solidarietà o perlomeno la comprensione giunta da centinaia di cittadini e da ambienti anche ben lontani dal Movimento, da Nuova Società a esponenti di SEL e della sinistra passando per alcuni giornalisti dell’Espresso, e ovviamente quella di esponenti a cinque stelle di mezza Italia, come Alessandro Di Battista e Stefano Camisasso. Mi è spiaciuto un po’ per il silenzio quasi completo del resto del Movimento torinese, ma non mi aspettavo altro.
Tuttavia, pur capendo il desiderio di non farsi trascinare in polemiche strumentali, la controversa dissociazione di ieri (dei parlamentari da Becchi) mette in evidenza una timidezza dei vertici del Movimento che trovo preoccupante. Difatti, il Movimento 5 Stelle è l’alternativa democratica alla rabbia di piazza; quelli che più spesso fanno riferimenti violenti non sono gli elettori convinti del Movimento, ma quelli che ci credono poco, o più ancora quella metà o quasi degli italiani che non crede più nella politica, Movimento compreso, che non va più a votare e che non crede a una soluzione istituzionale della crisi. Guai se anche il Movimento cominciasse a non avere più empatia verso la rabbia degli italiani, a non comprenderla e non farla propria, calmandola e trasformandola in protesta istituzionale: vorrebbe dire perdere altri italiani alla dialettica democratica.
La violenza è sbagliata verso chiunque e non ha mai risolto niente, non va tollerata e non va nemmeno giustificata. Va però capita, nella sua forma moderna e spaventosa che non è più la violenza di massa, ovvero un terrorismo organizzato e controllato ideologicamente che può essere individuato e infiltrato, ma la violenza di moltitudine, ovvero una grande quantità di individui che agiscono da soli in maniera imprevedibile e incontrollabile. L’unica soluzione è eliminare le cause prime della rabbia, che non sono le parole violente – altrimenti a forza di fucili di Bossi saremmo già nel caos da vent’anni – ma le difficoltà economiche della crisi, che portano milioni di italiani alla disperazione.
E dunque, cari governanti, invece di indignarvi e di rafforzarvi le scorte, trovate i soldi per garantire a tutti gli italiani almeno la sopravvivenza; risparmiateli, prendeteli a prestito, stampateli, non importa, basta che li tiriate fuori qui e subito; perché nessun ordine sociale è mai sopravvissuto a lungo alla fame dei propri cittadini.