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Archivio per il mese di Agosto 2013


venerdì 30 Agosto 2013, 15:41

Non si esce vivi dagli anni ’80

A fine luglio in molti hanno alzato più di un sopracciglio, quando Giusi La Ganga è entrato in consiglio comunale, da ventitreesimo classificato nelle liste del PD, sfruttando la nomina ad assessore del capogruppo Lo Russo, che ha così lasciato libero un posto in Sala Rossa. A me, il sopracciglio l’ha fatto alzare l’intervento in aula del Partito Democratico (potete leggere il verbale di tutta la discussione, sicuramente interessante), in cui il capogruppo ad interim Paolino ha parlato di pacificazione, di riconciliazione, di guardare avanti, e persino di rappresentare la tradizione socialista (non oso immaginare quale).

Per questo ho preso la parola e, su due piedi, ho detto le cose che sentite nel video: in particolare, che non può esserci pacificazione con la classe politica di Tangentopoli, e che chi ha una condanna del genere in giudicato, pur avendo saldato il conto con la giustizia, non dovrebbe più avere la possibilità di amministrare la cosa pubblica, e le forze politiche non lo dovrebbero candidare (come già fa il M5S).

Allo stesso tempo, la vera riflessione che vorrei suggerire è che forse La Ganga è una falsa pista rispetto alla sostanza, e cioé al fatto che la politica italiana non è mai veramente uscita dagli anni ’80. Ci hanno detto per vent’anni che la seconda repubblica era tutt’altra cosa rispetto alla prima; che nella prima c’erano le ideologie, c’era la DC sempre al governo e il PCI sempre all’opposizione, e invece nella seconda finalmente c’era il bipolarismo, l’alternanza al governo. Questa, però, è la superficie; la realtà è che i comportamenti della politica, i modi con cui essa si approccia alla gestione quotidiana della cosa pubblica, non sono mai cambiati.

Nella realtà, la politica di oggi ha mantenuto la stessa concezione del bene comune e dello Stato, come feudo e come mucca da mungere e su cui scaricare i costi del consenso, di trent’anni fa; l’ha solo svuotata delle scuse ideologiche e ricoperta invece di “tette e culi”, di lustrini del Drive In e di tecniche pubblicitarie e manipolatorie importate dagli Stati Uniti, con convinzione e attitudine se parliamo di Berlusconi, e con la frustrazione del ragazzino sfigato che fa lo snob ma sotto sotto invidia l’arroganza e il successo dell’altro se parliamo della dirigenza del centrosinistra.

Il problema è che il mondo è cambiato, e se gli anni ’80 erano periodo di vacche grasse, oggi la nostra incapacità di arrivare a una gestione onesta e moderna della cosa pubblica ci è letale. Eppure siamo sempre lì: mentre si tagliano il welfare e i servizi, si mandano avanti enormi progetti infrastrutturali spesso superflui o mal pensati, ma che permettono un grande giro di denari pubblici tra aziende amiche. Mentre si rischia di non avere i soldi per pagare gli stipendi, si assumono decine di migliaia di precari nella pubblica amministrazione; e son ben contento per chi legittimamente aspettava da anni una sistemazione e ora festeggia come fosse un miracolo (e poi ovviamente voterà i partiti che gli hanno dato il posto di lavoro), ma dove si è mai vista un’azienda sull’orlo del fallimento che assume ottantamila persone, e che fine fa un’azienda che affronta così la crisi?

E’ proprio l’idea di Stato che abbiamo noi che è sbagliata; uno Stato che nella nostra testa dovrebbe dare tutto senza chiedere niente, anche se nei fatti poi, esattamente all’opposto, ci offre una pressione fiscale esagerata in cambio di servizi scadenti. Sarebbe allora meglio puntare su uno Stato che mantenga strettamente nelle proprie mani la proprietà dei beni comuni e la gestione dei servizi fondamentali, ma che poi chieda il meno possibile e faccia il meno possibile, evitando di accumulare nelle mani della politica una parte preponderante dell’economia, della società e del denaro dell’Italia, il che, in Italia, sta alla base del suo potere di corrompere e di corrompersi.

Nessun politico, però, potrà mai fare questo; perché in termini elettorali sarebbe un suicidio, la medicina cattiva che alla lunga ti salva, ma nel breve fa veramente schifo. Per questo io spero che lo faccia il Movimento 5 Stelle, che è sempre partito dal principio di essere una medicina sgradevole e temporanea, senza avere alcuna aspirazione a restare al potere all’infinito (il giorno della fondazione, nell’ottobre 2009, Grillo disse “avremo avuto successo se ci saremo sciolti entro cinque anni”). Temo, però, che l’unica cosa che potrà (forse) cambiare l’idea e la pratica del rapporto tra gli italiani e la cosa pubblica è il fallimento, l’azzeramento forzato per disastro annunciato da lustri e nonostante ciò mai evitato; è che il nostro Stato riesca infine ad uscire dagli anni ’80, nell’unico modo in cui ne può uscire: morto.

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venerdì 2 Agosto 2013, 13:32

Inceneritore, la fiducia bruciata

Mercoledì è stata una nuova giornata di protesta e informazione contro l’inceneritore del Gerbido: il comitato torinese ha ospitato gli omologhi di Parma e Firenze per una conferenza stampa e un presidio in centro, con un piccolo corteo.

Questi mesi di prova dell’inceneritore sono stati difatti piuttosto tormentati. Da maggio l’impianto è in esercizio provvisorio: si accendono una ad una le tre linee del forno, scaldandole per qualche giorno col metano, e poi si prova a bruciare un po’ di rifiuti.

Peccato che già il 2 maggio si sia verificato un incidente, di cui noi vi avevamo già ampiamente dato conto: alla prima pioggia, l’acqua era finita direttamente sulle barre a media tensione elettrica che alimentavano l’impianto, causando un blackout generale. L’incidente era stato tenuto sotto silenzio, comunicandolo soltanto all’Arpa e alla Provincia, finché noi, sulla base di indiscrezioni, non avevamo presentato l’interpellanza che vedete nel post linkato; solo allora, un paio di settimane dopo, l’incidente era stato reso noto sui giornali.

Non solo, ma a fronte di dichiarazioni minimizzanti da parte di chi teoricamente dovrebbe controllare, si è poi scoperto non solo che l’incidente aveva provocato lo sforamento dei limiti di legge sugli inquinanti, anche se la legge permette sessanta ore di sforamento l’anno in caso di incidenti, ma che addirittura il sistema di monitoraggio dell’inquinamento interno all’inceneritore era anch’esso stato vittima del blackout e non aveva misurato niente (per questo è stata anche aperta una inchiesta dalla magistratura).

Abbiamo presentato una seconda interpellanza, che vedete nel video, per chiedere spiegazioni su come mai questo non ci fosse stato detto in risposta alla prima; a quanto pare, la comunicazione era stata tale che nessuno aveva realizzato il problema. Inoltre, solo insistendo abbiamo avuto indicazioni rassicuranti sulla domanda fondamentale, cioé se in caso di blackout che mette fuori uso i filtri elettrici funzionino almeno i filtri a manica successivi, per evitare di sparare tutto l’inquinamento in aria.

Tutto a posto? Nemmeno per idea, perché, finite le verifiche e le polemiche dopo il primo incidente, il 9 luglio l’impianto è stato riacceso… e nel tardo pomeriggio del 10 luglio si è verificato un secondo incidente. In pratica, appena hanno provato ad avviare la linea, il monitoraggio ha indicato che l’aria che usciva dai filtri era troppo inquinata, oltre i limiti di legge; hanno provato a risolvere il problema, ma non riuscendoci hanno dovuto spegnere tutto il giorno dopo.

Anche stavolta, ci è voluto un po’ per avere informazioni su cosa fosse davvero successo; il 24 luglio, la commissione ambiente del consiglio comunale si è recata al Gerbido per visitare nuovamente l’impianto e avere spiegazioni sul nuovo incidente.

L’impianto, visto da vicino, è veramente impressionante: si tratta di una gigantesca “sfabbrica”, che invece di produrre distrugge. Più ci si avvicina e più ci si rende conto con mano che spendere mezzo miliardo di euro e costruire impianti, palazzi, capannoni per distruggere tonnellate di roba, non di rado perfettamente riutilizzabile, è un’assurdità. Dalle foto non è facile rendersi conto delle dimensioni gigantesche; per esempio, questo è l’interno all’inizio delle linee, e sopra le teste, là su quelle discese rosse, scorrono i rifiuti verso la griglia dove bruceranno.

Questa, invece, in tutto il suo nauseante splendore, è la fossa dei rifiuti; ognuna di quelle aperture sulla destra è grande come un camion, e lì i camion, fino a dieci in parallelo, si susseguiranno per scaricare i rifiuti; la fossa può contenere fino a seimila tonnellate di immondizia, pari a tre-quattro giorni di funzionamento.

Durante questa visita, abbiamo avuto una spiegazione dettagliata dell’incidente del 10-11 luglio. In pratica, accanto al filtro a maniche – che è il secondo stadio di filtraggio dei fumi – è stato costruito un condotto di bypass, di diversi metri di larghezza, perché se la temperatura del fumo per qualche problema fosse troppo alta il filtro a manica (che costa alcuni milioni di euro) si danneggerebbe; dunque esiste una paratia di lamiera che, se aperta, devia i fumi attorno al filtro invece che dentro, proteggendo l’impianto ma scaricando l’inquinamento nell’aria.

Il problema è che questa paratia di lamiera, nuova di pacca, appena messa in funzione si è deformata e ha lasciato un bel buco di alcuni centimetri di altezza per diversi metri di larghezza, tramite quale è passata una parte del fumo e dei reagenti usati nei filtri, i quali, aggirando il filtro a manica, sono arrivati fino all’uscita senza essere filtrati e hanno dunque reso l’aria inquinata.

In più, quando poi – a impianto fermo – sono andati ad aprire il bypass, anche a causa della differenza di pressione dell’aria, le scorie solide che si erano fermate nel condotto sono venute giù di botto; e dunque, in una parte dell’impianto, era in corso una bella attività di pulizia e raccolta scorie e polveri all’interno dei sacchi (aperti) che poi saranno in qualche modo smaltiti.

Anche in questo caso è in corso un’inchiesta della magistratura, in particolare sulle modalità di spegnimento dell’impianto che sono state diverse dalla procedura prevista, anche se TRM sostiene di averlo fatto per ridurre l’inquinamento prodotto (sarà la magistratura a valutare). Inoltre, TRM ha deciso di saldare la lamiera e chiudere completamente il bypass, anche perché il filtro a manica risulterebbe più resistente del previsto alle eventuali alte temperature, risolvendo alla radice il problema; ora prosegue il test delle altre linee, in attesa di capire se la soluzione adottata è gradita alla Provincia, responsabile del controllo.

Resta la questione di fondo: quanto ci si può fidare di un impianto che continua a registrare problemi? Se da una parte è normale che durante il collaudo non tutto funzioni al primo colpo, certo questi episodi non tranquillizzano sulla solidità e sulla corretta costruzione dell’impianto, appaltato a cooperative rosse (Coopsette e Unieco) politicamente amiche ma dalla situazione economica precaria e che certo non avevano soldi da sprecare.

Ma poi, quello che preoccupa è la mancanza di trasparenza, sono le mezze verità e le informazioni che arrivano per approssimazioni successive, dopo settimane di insistenza in ogni sede, mentre TRM – società ormai sotto il controllo privato di Iren – invece di spiegare pubblicamente e tempestivamente ogni cosa minaccia velatamente di denuncia chi chiede chiarimenti o riporta le voci dei tanti cittadini che segnalano, anche a noi, puzze, odori e fumi misteriosi provenienti dall’inceneritore. Questo dovrebbe preoccupare chiunque, compresi i sostenitori dell’incenerimento dei rifiuti e gli stessi politici che hanno voluto questo impianto.

Nel frattempo, noi continuiamo la nostra attività di controllo a vantaggio della salute di tutti, in attesa che chi ci governa rinsavisca e decida di adottare politiche di trattamento dei rifiuti adatte al ventunesimo secolo, e non risalenti agli anni ’70. Molti a Torino ancora non sanno che la nocività degli inceneritori è provata, che ci sono tecnologie alternative, che il mondo si orienta verso i “rifiuti zero”, che le norme europee tra breve metteranno fuorilegge l’idea stessa di bruciare materiale potenzialmente riciclabile. Spacciano il fuoco per modernità, quando la vera modernità sarebbe non sprecare più niente.

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