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Archivio per il mese di Gennaio 2025


venerdì 10 Gennaio 2025, 08:38

GTT horror

Ieri pomeriggio sono andato fino allo stadio di Venaria a fare un esame medico che richiedeva anestesia; non potendo guidare, ho deciso dunque di andarci in autobus. Certo, secondo Google Maps un viaggio di 12 minuti in auto avrebbe richiesto con GTT minimo tre quarti d’ora, ma io sono amante della sostenibilità, e dunque ho obbedito alle raccomandazioni e ho preso i mezzi pubblici. Mettetevi comodi: questo è uno spaccato dell’horror dei trasporti torinesi di oggi.

All’andata, esco per tempo; il piano è di prendere il 2 e poi il 72. Vado comunque fino in piazza Rivoli, perché la fermata del 2 sotto casa è stata abolita anni fa da una Lapietra qualunque, o forse dalla Lapietra vera, per “velocizzare il percorso” (poi ce ne sono due attaccate dai due lati di piazza Rivoli, ma vabbe’). Già che ci sono, scendo alle macchinette della metro a comprare il giornaliero scontato sulla BIP: quando due anni fa ho provato a comprarlo sul telefono dall’app ufficiale GTT, prima l’app si è presa i soldi da Satispay senza darmi niente, poi, pagando con carta, mi ha dato il biglietto; però, quando ho avvicinato il telefono al tornello della metro per aprirlo, l’app è crashata e il biglietto telematico si è rivelato inutilizzabile, e da allora non li compro più.

Dunque, la macchinetta funziona (ok), ho il mio giornaliero; allora voglio capire quando passa il 2, perché avrei l’alternativa di metro + 62. Apro dunque l’app GTT: mi chiede di attivare l’NFC per usare i biglietti. Io non ho biglietti da usare, voglio solo i passaggi in fermata; non importa. Se non attivo l’NFC, l’app mi sputa in faccia e si chiude da sola.

Così, attivo l’NFC, vado nell’infomobilità, e mi chiede il codice di quattro cifre della fermata (tutti li sappiamo a memoria), oppure il nome. Ora, trovandomi a cinquanta metri dalla fermata in questione, forse l’app potrebbe capire da sola che fermata voglio, ma no. Allora scrivo “Rivoli”, viene un elenco, scelgo la prima “Rivoli”, ma non è lei: è una fermata di emergenza usata solo per i bus sostitutivi della metro (logico metterla per prima, no?). Poi c’è “Rivoli sud”, ma non c’è “Rivoli nord”, che dovrebbe essere la mia. Scrivo per intero “Rivoli nord”: non compare niente. Alla fine, scrivendo “Rivoli” e scorrendo due schermate di roba che non c’entra niente, compare “Rivoli nord”. Ok, seleziono, e l’app GTT mi dice che non sa quando passano i bus GTT, ma posso vedere l’orario teorico. Ho capito: mi metto lì e aspetto.

Dopo un’attesa devo dire breve, arriva un 2: un pullman nuovissimo. Salgo dall’ultima porta in fondo, dove c’è scritto entrata; ma non c’è la timbratrice. Sta vicino all’uscita, in mezzo, separata da me da un grumo di ragazzini tutti con grossi zaini sulle spalle, che loro non si tolgono manco per sbaglio, né si spostano per far passare. Alla fine, a spintoni, riesco a timbrare e arrivo senza altri intoppi a Madonna di Campagna.

Scendo, vado ad aspettare il 72, anche quello arriva nuovo e dopo pochi minuti. Comincio a sentirmi malfidente ad aver subito pensato male. Stavolta però mi faccio furbo: salgo dalla porta centrale. Faccio per passare la BIP, e no: su questo bus, pur identico all’altro, la macchinetta era davanti alla porta posteriore, altrettanto irraggiungibile. Sbuffo e rinuncio a bippare, ma per il resto sembra a posto…

…fino al colpo di scena: alla svolta di corso Lombardia, l’autista imbocca corso Toscana invece di strada Altessano. Panico a bordo: abbiamo sbagliato bus? No, è l’autista che non sa dove andare e ha sbagliato strada. Arriva all’angolo di corso Cincinnato e fa scendere in mezzo alla strada la gente che protesta, poi fa per girare lì, ma come fai a fare quella curva con un bus di 18 metri? Così desiste e va fino in via Sansovino, gira lì, poi si ferma e grida: c’è qualcuno che vuol scendere qui? Nessuno scende, così va avanti, gira in strada Altessano, accosta subito lì col culo in mezzo a via Sansovino e fa scendere altra gente a caso, poi riparte e fa una ulteriore fermata cento metri dopo. Comunque, alla fine arrivo: tempo totale, 55 minuti.

Al ritorno, decido di cambiare strada: vado alla fermata del 62 in via Sansovino. Noto sulla palina un grosso QR code con scritto novità! Lo si può inquadrare per conoscere gli arrivi in tempo reale. Inquadro, apro l’URL, si apre una pagina che è identica a quella dell’app, e pure quella dice che il sito GTT non sa quando passano i bus GTT, ma posso leggere l’orario teorico. Nel frattempo arriva un 75, una signora sbuffa e fa: è quaranta minuti che aspetto il 62, non è possibile! Ok, capito: cambio di piano.

Attraverso di corsa via Sansovino e prendo al volo un 72: anche questo è nuovo. Certo, il display a bordo non ha idea di dove siamo e non annuncia le fermate, però in compenso manda pubblicità contro l’omofobia (ah, ok, allora tutto a posto).

Scendo in corso Potenza e vado alla fermata del 2: non provo nemmeno più a scoprire quando arriverà. Tuttavia, dal cellulare, scopro che nelle carte comunali il 2 è stato ribattezzato Bus Rapid Transit, per giustificare le telecamere sulle preferenziali a difesa dello spazio necessario per far passare due o tre autobus all’ora se va bene. Concordo: mi pare appropriato riciclare la terminologia delle città americane, in modo da farci capire qual è il modello culturale di riferimento, quello in cui i trasporti pubblici sono solo per immigrati e barboni. Infatti, aspetto cinque, dieci, quindici minuti: nessuna traccia del 2. Però arriva l’ennesimo tram 9, nuovissimo e vuoto. Sai che c’è? Secondo cambio di piano.

Salgo sul 9, pensando di andare in piazza Bernini a prendere la metro. Mi faccio un giro tortuoso ma ameno tra landmark torinesi, tipo lo spaccio di mutande Alpina e il paninaro Mister Mimmo Number One, e andrebbe tutto bene, se non fosse che il tipo seduto davanti a me puzza di verdura marcia e si sarà fatto l’ultima doccia l’anno scorso. Anche per questo motivo, quando all’incrocio con via Cibrario vedo apparire un 13, cambio il piano per la terza volta e scendo lì.

Il 13 è nostalgia: è il solito tram grigio anni ’80, con il linoleum a bugne per terra e gente appesa pure ai finestrini, tra cui un ragazzino che mi spintona per arrivare a sedersi prima di me. Finalmente mi sento tranquillo: è vecchio, è brutto, ma va avanti senza pretese, e fa pure la fermata sotto casa, che pure quella era stata abolita da una Lapietra qualunque, ma per fortuna poi l’hanno rimessa. Arrivo a casa dopo un’ora abbondante di giro turistico.

Alla fine sono qui, sul divano, ho perso ore dietro a GTT, e nulla mi toglie dalla testa questa morale di fondo: puoi anche spendere fantastiliardi (non tuoi, dei cittadini) per comprare bus e tram nuovissimi, ma è uno spreco inutile se non sei in grado di mantenerli e farli circolare decentemente. Il degrado progressivo ed evidente non è solo questione di impoverimento delle casse pubbliche, perché i soldi alla fine sono saltati fuori. Il degrado progressivo ed evidente è dovuto a una somma di piccole mancanze che tutte insieme diventano devastanti, e le piccole mancanze derivano dalle piccole incurie e dai piccoli menefreghismi; e dunque resto qui, con la sensazione che il vero problema sia che a tutti quelli che ci lavorano, dal ministro dei trasporti fino all’ultimo dipendente di GTT, di offrire un servizio non dico di eccellenza ma almeno decentemente affidabile non possa fregare di meno.

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giovedì 9 Gennaio 2025, 10:19

Guai agli standard troppo accessibili

Ogni tanto, nel mondo super-specialistico degli standard ICT, succedono fatti clamorosi che nessuno conosce, ma che hanno un impatto potenzialmente importante. Per esempio, si è da poco saputo di una causa piuttosto particolare: ISO e IEC, le due maggiori organizzazioni di standardizzazione tecnica a livello mondiale, hanno denunciato la Commissione Europea, pare (le carte sono segrete) per violazione del copyright.

Il motivo è semplice: qualche mese fa, una sentenza europea ha stabilito che, se uno standard tecnico è incluso o citato in una norma di legge, la Commissione Europea è tenuta a fornirne l’intero testo in risposta alle richieste di accesso agli atti. Infatti, se una legge obbliga uno sviluppatore di software o un fabbricante di qualunque tipo di prodotto a rispettare un determinato standard, quello standard assume valore di legge, quindi dovrebbe essere liberamente e gratuitamente disponibile come qualunque testo di legge. E così, da allora, la Commissione Europea ha iniziato a fare.

Tuttavia, ISO e molte organizzazioni simili mantengono il proprio staff e i propri uffici con le entrate ottenute vendendo gli standard. Dovete certificarvi ISO 27001, lo standard sulle buone pratiche di cibersicurezza? Bene, se volete semplicemente leggere la norma a cui vi dovete attenere, dovete comprare il PDF da ISO per circa 140 euro; ma siccome poi ogni norma punta ad altre, il prezzo totale sale rapidamente. Così, per ISO il fatto che l’Europa distribuisca gratis i suoi standard è una minaccia mortale: di qui la causa per violazione del copyright.

Per chi viene dal mondo di Internet e dell’open source, è ISO a essere assurda: da sempre, IETF, W3C e simili distribuiscono gli standard gratuitamente, e il processo di standardizzazione è interamente gestito da volontari e da un piccolo staff pagato con fondi donati (l’IETF è mantenuta da ISOC, che è mantenuta da PIR, che incassa i soldi delle registrazioni dei domini .org). Ad ogni modo, l’esito di questa causa potrà determinare molto della futura direzione di questo settore.

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