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Archivio per il mese di Novembre 2007


venerdì 30 Novembre 2007, 15:19

Impatto su Pechino

Il viaggio per la Cina è devastante; perché è verso est, e quindi il corpo lo regge molto peggio, trovandosi a fare i conti con due giornate sostanzialmente fuse in una sola da 41 ore. Sull’aereo, complici le chiacchiere con i compagni di viaggio e la scomodità dell’economy, ho dormito a malapena un’ora; così oggi sono stato uno zombi, come peraltro anche gli altri. In più, il volo da Malpensa era in ritardo, e mentre noi abbiamo preso la coincidenza al pelo (ci hanno anzi aspettato per una decina di minuti) i nostri bagagli non ce l’hanno fatta; così li aspetteremo fino a domani sera.

Il primo impatto con Pechino – limitato peraltro all’aeroporto, ai quartieri universitari della zona nordovest e al Palazzo d’Estate – è stato comunque molto interessante. Tutto è enorme, ma la città non è affatto sovraffollata, sporca e caotica come le altre metropoli asiatiche che ho visto; i palazzi sono alti (20-30 piani sono la norma) ma distanziati, come torri che emergono da una piana coperta tutt’al più da piccole costruzioni a un piano solo, residui del passato che vengono via via sostituiti da vetro e acciaio o in subordine da muratura e piastrelle eleganti, collegate da strade a quattro o otto corsie ciascuna con isolati da mezzo chilometro l’uno. E il nostro albergo è praticamente un quartiere, con nove palazzine che ospitano almeno un migliaio di stanze di vari livelli di comfort.

Insomma, l’impressione è di ordine e benessere, anche se l’ordine esclude il traffico, dove si vedono grovigli di auto, bici e pedoni modello Nordafrica: è la prima volta che vedo una torma di bici attraversare tutte insieme in svolta a sinistra un gigantesco incrocio, e in mezzo alle bici si aggiungono svariati pedoni che attraversano in diagonale, usando le bici come scudo, e quindi correndo per rimanere insieme a loro; e in tutto ciò il colore del semaforo è sostanzialmente irrilevante, si va a clacson e portellate. L’ordine invece include una selva di telecamere, decine a ogni incrocio, appese sui palazzi, nei parchi, ovunque.

L’altra cosa che colpisce è che in giro si vedono solo giovani indaffarati che corrono a frotte; gli anziani sono pochissimi, e da nessuna parte c’è gente ferma a far niente; per quanto in qualsiasi negozio ci siano almeno cinque commessi per ciascun potenziale cliente, sono tutti attivi, dinamici, inarrestabili. Di conseguenza, l’assalto fastidioso di massa è la modalità commerciale comunemente usata con l’occidentale; un ragazzo di un negozietto di computer ci ha inseguiti per tre piani del centro commerciale, sempre dicendo “come on, sir, follow me, we good prices” (questo era già uno che parlava inglese benissimo). Mentre al Palazzo d’Estate una ragazza ci ha abbordati mentre scendevamo dal taxi, ha negoziato un quindici euro di onorario, e ci ha guidati in buon inglese per due ore di visita, con soddisfazione reciproca e quindi ulteriore mancia.

E’ peraltro vero che Pechino è la capitale imperiale, e vive da millenni di burocrazia; ce ne siamo resi conto compilando i moduli per il reclamo delle valigie, dove ci hanno chiesto informazioni chiaramente inutili – come il peso della valigia, la carta di imbarco del Milano-Francoforte, o il numero di carta Miles&More – semplicemente perché erano previste dal formulario statale. Certo, immagino che chi sgarra finisca male, per cui capisco anche il desiderio di essere ligi alla lettera. Eppure come si possa non solo tenere insieme una società di queste dimensioni, ma anche farla crescere al dieci per cento l’anno e oltre, coniugando una evidente ricchezza con la pace sociale e con disuguaglianze di classe che per ora mi sono sembrate nettamente inferiori alle nostre, è un mistero che merita di essere approfondito.

Nel frattempo, nonostante sia praticamente impossibile comunicare e si senta un po’ il rischio di rimanere persi da qualche parte, ho constatato come l’ambiente non sia affatto intimidente; sarà per la sensazione di sicurezza, sarà per il sorriso che quasi tutti ti mostrano, ma la tentazione di restare chiuso in albergo – che spesso ti assale in posti come gli Stati Uniti o il Brasile – qui proprio non c’è.
[tags]cina, pechino[/tags]

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giovedì 29 Novembre 2007, 11:07

Giovedì Cina

Scusate, sono di corsa e volevo soltanto salutare: c’è già sotto casa il mio socio che mi aspetta per andare a Malpensa, destinazione Pechino.

Lo so che è buffissimo, quando finalmente sei per qualche giorno a casa e vedi gli amici e ti dicono “vieni venerdì al cinema?” e tu devi rispondere “no mi spiace, sono in Cina”. So anche che è un privilegio poter viaggiare così tanto e pure con le spese quasi sempre pagate, una volta da uno per un motivo, una volta da un altro per un altro motivo. Però è pesantuccio lo stesso.

E così, non vedo l’ora di arrivare a Pechino e visitare questo posto misterioso, ammesso di riuscire a uscire senza perdersi, ma anche non vedo l’ora di tornare a Torino e riposarmi un po’, pensando anche ai fatti miei. Per poi dal 18 al 22 dicembre andare a Monaco di Baviera.

[tags]viaggi, cina, pechino[/tags]

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mercoledì 28 Novembre 2007, 17:46

Diritti e solidarietà

Oggi, mentre giravo in macchina, ho sentito per ben due volte su Radio Flash un servizio da una sala torinese, in cui si teneva la presentazione di un rapporto sull’immigrazione in Piemonte. Il corrispondente raccontava di come una cinquantina di immigrati-rifugiati (cioè provenienti da paesi in guerra) avessero occupato la sala e interrotto i lavori per ottenere che il Comune provvedesse a dare loro una casa.

Con un tono fortemente indignato, il giornalista della radio e un suo intervistato si lamentavano di come il diritto all’assistenza di questi immigrati fosse violato; e di come il Comune non volesse nemmeno discutere la questione, e di come lo stanziamento comunale per questa categoria di persone fosse stato solo di un milione e mezzo di euro, sufficiente appena per una soluzione temporanea, mentre queste persone, pur avendo avuto il permesso di soggiorno, non riescono a pagarsi una abitazione decente – tanto da occupare abusivamente una palazzina – perché trovano soltanto lavori interinali.

La questione è interessante per vari aspetti: stiamo parlando del diritto d’asilo, cioè di una prescrizione riconosciuta da decenni da varie convenzioni internazionali, secondo le quali chi proviene da una zona di guerra ha diritto a venire accolto (non può essere respinto alla frontiera) e assistito. Il problema è che negli ultimi anni il numero dei rifugiati è in forte crescita, non tanto perché siano in aumento le guerre, ma perché l’industrializzazione dell’emigrazione permette a molte più persone di arrivare fino in Italia a costi accettabili; e anche perché la stessa industria suggerisce ai suoi poveri clienti di dichiararsi alla frontiera come proveniente dal Darfur o dalla Somalia, e prova tu, davanti a un immigrato senza documenti, a capire se è vero. Peggio ancora se l’immigrato si dichiara perseguitato politico.

Per l’Italia poi, la situazione è ulteriormente complicata dal fatto che, da accordi europei, l’assistenza è di competenza del primo paese UE in cui il rifugiato sbarca, anche nel caso in cui poi si sia spostato clandestinamente altrove. Ovviamente le nostre frontiere di burro e brava gente sono l’approdo più battuto.

Si potrebbe discutere su dove possa arrivare questo diritto; comprende solo il permesso di soggiorno, o dovrebbe, come sosteneva l’intervistato, comprendere anche una casa e magari un lavoro stabile? Perché, in questo caso, la domanda seguente è ovvia: in una situazione in cui una percentuale consistente degli italiani sotto i quarant’anni non ha nè l’una nè l’altro, come si può pensare che l’Italia possa assistere a quei livelli tutta la popolazione in fuga dalle guerre di mezzo mondo?

Quello che colpiva nell’intervista era proprio questo: il parlare di diritti in modo totalmente avulso dalla realtà, come se il livello di realizzazione dei diritti (che è cosa diversa dal diritto in sè) non dovesse necessariamente scendere a patti con la società circostante e con la quantità di ricchezza disponibile nel sistema; al punto da giustificare persino il tentativo di imporne il soddisfacimento con la forza, occupando sale e palazzine.

La situazione economica generale è evidente a tutti; vero, ci saranno abusi e sprechi, ma non c’è dubbio che le risorse collettive per l’assistenza siano scarse e che, visto il già alto livello di tassazione, non potranno certo aumentare; si tratta di decidere come dividerle equamente tra tutti i diritti esistenti, sapendo che non sarà possibile soddisfarli tutti completamente per tutti.

Se è vero che un diritto è un diritto, è anche vero che in un momento del genere tutti – a maggior ragione chi ne parla sui media – dovrebbero avere senso della misura; e magari ricordarsi che anche per esercitare un proprio diritto – che però si basa sulla solidarietà altrui, in un luogo dove si è ospiti – invece di sbraitare e aggredire gli altri sarebbe gentile chiedere per favore, e ringraziare.

[tags]diritti, diritto d’asilo, assistenza, rifugiati, torino, radio flash[/tags]

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martedì 27 Novembre 2007, 23:32

Autostrade barotte

Anche oggi bloggo tardi, il che vuol dire che ho avuto una giornata pienissima. Comunque, tra le cose che ho fatto c’è stato anche il percorrere per la prima volta il tratto settentrionale della nuova autostrada Asti-Cuneo, da Asti ad Alba. Per il momento non si paga, ma sono già pronti gli spazi e i segnali per i caselli; come per la Torino-Pinerolo, appena l’opera sarà finita potranno cominciare a riscuotere.

Segnalo comunque un senso di ridicolo e di incredulità di fronte ai segnali. Voglio dire, già che possa esistere un cartello autostradale verde con indicato Cuneo – non è uno scherzo, esiste davvero! – lascia un po’ basiti; ma che l’uscita indichi Castagnito… Non me ne vogliano i castagnitesi (castagnitensi? castagnitini? castagnati?), ma non c’è un minimo criterio di decenza sui nomi dei paesi degni di avere un’uscita dell’autostrada? Già sulla Torino-Pinerolo, con l’uscita Frazione Gerbole di Volvera (distinta da quella di Volvera, sia ben chiaro), avevamo toccato il fondo; ma qui, complice l’odore di vacca, si comincia a scavare. A questo punto tanto valeva fare i cartelli direttamente in piemontese.

Comunque, posso confermare che le denunce sulla realizzazione dei lavori da parte del gruppo Gavio sono fondate; per esempio, l’imbocco del ponte sul Tanaro è stato fatto talmente male che, nel bel mezzo del rettilineo dell’autostrada, hanno dovuto piantare una serie progressiva di limiti di velocità modello avvicinamento al casello. Prima 110, poi 90, poi addirittura 70; in pratica, tocca piantare una inchiodata per nessun motivo apparente. Il problema è che la terra sotto l’approccio pare aver ceduto, creando una rampa parecchio inclinata; per cui prendendo l’imbocco del ponte ai normali 140-150 all’ora ci si esibirebbe in un salto tipo Hazzard. La velocità di 110 indicata dal limite dei 70 è il massimo che si possa fare senza spaccarsi un semiasse. Adesso vediamo se glielo fanno sistemare o se ce lo teniamo così.

[tags]autostrade, asti, cuneo, gavio[/tags]

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lunedì 26 Novembre 2007, 23:43

Ancora matrimoni

Oggi sono andato ad un inconsueto matrimonio feriale in quel di Borgone di Susa, uno dei paesi della media valle. Anche evitando accuratamente l’autostrada – uscendo cioè ad Avigliana ovest – per non pagare tre euro e quaranta per quindici chilometri di rettilineo, ci si arriva in mezz’ora; ed è stata una delle più belle mezz’ore degli ultimi tempi.

Infatti, dopo una settimana di pioggia, oggi il cielo era finalmente azzurro e luminoso, appena striato da qualche nuvola alta. Tutto ciò si rifletteva nel freddo intenso delle cime delle montagne già innevate, che mostravano interi versanti di neve bianca immacolata, che dissolvendosi poi nei boschi qualche centinaio di metri più in basso si specchiavano infine nei prati fangosi e giallini del fondovalle.

Effettivamente in giornate così gloriose si capisce come sarebbe opportuno evitare di rovinare anche questa valle; peraltro la sindachessa che ha sposato i miei amici è notoriamente una delle pasionarie del movimento No Tav. Sono stato tentato di trollare, ad esempio indicando il portone del municipio ed esclamando ad alta voce “Ma quand’è già che tirano giù ‘ste quattro baracche per farci la ferrovia?” (tra l’altro la sala del municipio di Borgone ha un soffitto bellissimo). Ma era un giorno di festa, suvvia.

Il matrimonio è sempre un giorno rischioso per tutti; non è un caso che nei millenni l’umanità abbia imparato a stenderci sopra strati e strati di pittura irrigidente, a base di riti, giuramenti e comandamenti, per evitare che il naturale e contrastante desiderio biologico degli esseri umani (della donna di riprodursi con sicurezza, e dell’uomo di spargere il seme il più possibile) provochi l’autodistruzione della specie a forza di coltellate e ratti delle Sabine, o più prosaicamente scoppi di rabbia o di desiderio all’interno della cerimonia stessa. Oggi però è andata generalmente bene, non tanto per me (non avevo dubbi) quanto per un paio di altre persone che, insomma, hanno telefonato molto, fatto qualche passeggiata e preso in prestito bambini altrui, ma in generale sono state bene.

Il matrimonio in questione, poi, era mezzo russo; io avrei anche provato a simpatizzare su falci e martelli, ma la cravatta rosso-bianco-azzurra del padre della sposa mi ha subito suggerito che forse non era il caso. Anche il cibo non è stato utile, visto che gli italiani hanno snobbato il borsc, mentre i russi sono rimasti istintivamente schifati dalla carne all’albese (“cruda?”). Però abbiamo simpatizzato lo stesso, e poi il gruppo maschi giovani ha messo in piedi pure la banda con tanto di batteria e amplificazione, tra le imprecazioni del gruppo anziani e un po’ anche del gruppo giovani madri abbandonate coi pargoli dai giovani maschi.

Devo però aprire una parentesi per lanciare un appello a tutti coloro che mettono musica ai matrimoni: come canzone conclusiva della festa, non è affatto appropriato scegliere Can’t Help Falling In Love di Elvis Presley.

Certo, è un pezzo romanticissimo e pieno di melensaggini, oltre che molto famoso e rifatto un po’ da chiunque. Peccato però che la canzone di Elvis (che era tanto bellino e certamente un animale da palco, ma non precisamente un gran compositore) sia una scopiazzatura dalla romanza classica Plaisir d’amour, composta nel 1785 dal tedesco Jean-Paul Martini su una melodia e un ritornello che secondo alcuni risalgono addirittura al medioevo; questa ne è l’esecuzione anticlassica (non impostata), basata sull’orchestrazione del Berlioz (1859), che ne diede il Maestro in Come un cammello in una grondaia:

Audio clip: Adobe Flash Player (version 9 or above) is required to play this audio clip. Download the latest version here. You also need to have JavaScript enabled in your browser.

Purtroppo per i romantici, il testo originale di Jean Pierre de Florian è ben diverso:

Plaisir d’amour ne dure qu’un moment,
Chagrin d’amour dure toute la vie.

J’ai tout quitté pour l’ingrate Sylvie.
Elle me quitte et prend un autre amant.

Plaisir d’amour ne dure qu’un moment,
Chagrin d’amour dure toute la vie.

Tant que cette eau coulera doucement
Vers ce ruisseau qui borde la prairie,
Je t’aimerai, me répétait Sylvie,
L’eau coule encore, elle a changé pourtant.

Plaisir d’amour ne dure qu’un moment,
Chagrin d’amour dure toute la vie.

Suggerirei quindi che non è il caso… nè in termini di buoni suggerimenti aiuta il CD che avevo in macchina al ritorno, che ha tirato fuori People In Love degli Art Brut, che prima o poi meriteranno ancora un post a parte: People in love lie around and get fat / I didn’t want us to end up like that / To every girl that’s ever been with me: / I’ve got over you eventually.

Queste però sono soltanto alcune delle varie (per quanto non troppo) possibilità dei rapporti di coppia. Oggi in sala ce n’erano parecchie di migliori, e ciò costituiva una delle cose più piacevoli della festa; in fondo, al di là della cerimonia e del tentativo di instaurare vincoli, il punto più a favore del matrimonio è il sottolineare una fase bella della vita. A una certa età sappiamo già tutti che non sempre la vita è rose e fiori, e proprio per questo è bene evidenziare le parti che lo sono.

[tags]matrimonio, elvis, martini, battiato, art brut, borgone[/tags]

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domenica 25 Novembre 2007, 17:23

Oooooohh…

Eccola, finalmente in questi giorni è arrivata:

DSC01201s.JPG

Solo con Star Alliance quest’anno ho fatto oltre 120.000 miglia, senza contare un intercontinentale con Iberia e due con Air France/KLM, e così mi è arrivata la carta oro di Miles & More. Non è tanto questione dei voli gratis che potrò prendere con le miglia, ma di comodità: già con la carta business (argento) potevo accedere alle lounge, e quindi a cibo e bevande gratis, giornali, poltrone, docce, e uno spazio comodo dove trascorrere le due o tre ore di attesa che talvolta ti capitano. Con la carta oro, si può entrare in qualsiasi lounge Star Alliance con un accompagnatore e usufruire dei check-in di first class anche viaggiando in economy, per non parlare del fatto che ti garantiscono la possibilità di comprare un volo, purché in classe a prezzo pieno, fino a 48 ore prima della partenza anche se il volo è già pieno; in altre parole, buttano giù dall’aereo qualcuno che ha già comprato il biglietto pur di far posto a te.

Certo, ai miei amici ogni tanto arriva un bambino, mentre a me arriva la carta Senator di Lufthansa: dovrei trarne indicazioni?

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domenica 25 Novembre 2007, 09:11

C’è post@ per me

Spesso, tramite il modulo di contatto che c’è su questo sito, mi arrivano richieste, commenti e proposte di vario genere. Ogni tanto me ne arriva anche qualcuna che merita di essere pubblicata.

Ad esempio, stanotte alle due e mezza, Antonello mi scrive:

Oggetto: Richiesta informazioni commerciali

Scusi,
lo prende in culo?
Grazie.

cordialmente,
Antonello.

Caro Antonello, io cerco in tutti i modi di preservare la mia onorabilità e la mia eterosessualità; devo però ammettere che ultimamente mi è capitato spesso, senza preavviso, di ritrovarmi il posteriore dolorante. Sai, sono un italiano come tutti gli altri, e quindi me lo buttano in culo un po’ tutti: il governo, l’opposizione e il parlamento tutto; le aziende più varie e disparate; una discreta dose di conoscenti e falsi amici; persino l’economia internazionale, alle volte. In questi giorni ci si mette anche il tempo, a farmi cancellare tutta una serie di attività pianificate.

Bisogna però dire che, si sa, l’italiano è maestro nell’arte di arrangiarsi, e, dopo tutti questi anni in cui ci hanno inculato a sangue, spesso non ce ne accorgiamo neanche più.

[tags]inculate[/tags]

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sabato 24 Novembre 2007, 08:57

Bonus (2)

Mi riscrive LiberoWindInfostrada:

Novità! Piano tariffario Wind 4 per Ricaricabile

La nuova vantaggiosa tariffa, pensata per i professionisti ma attivabile anche dai privati, per parlare con tutti a 4 centesimi al minuto, con un costo mensile di 4 euro.
In più se attivi una ricaricabile Wind 4 entro il 3 febbraio 2008 ti basta effettuare una ricarica al mese e il costo mensile sarà GRATIS per un anno!

Lasciamo perdere il fatto che “gratis” in italiano significa “con costo pari a zero” e quindi può essere gratis un prodotto o un servizio, ma un “costo gratis” è un ossimoro. Ma se io devo effettuare ogni mese una ricarica (pagando, presumo), come fa il costo mensile ad essere zero?

[tags]wind, ricaricabile, pubblicità che tentano di rincoglionirti[/tags]

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venerdì 23 Novembre 2007, 18:03

Roby

Al numero quarantadue di via Challant, nel mezzo di una landa dimenticata da Dio e dagli uomini in cui nessuno a parte .mau. potrebbe riuscire a sopravvivere, sta il carrozziere affiliato all’azienda che mi noleggia la macchina.

Proprio di fronte a lui, sta Roby.

Roby è un palazzo basso e largo, come fosse una grossa officina, di mattoncini giallini anni sessanta. A un certo punto, sulla facciata dell’unico piano (il terreno), si apre una doppia porta, protetta dalla pioggia e dal sole da un aggetto di tende.

Lì sopra, sul muro, è attaccata una insegna orizzontale di neon azzurri e rosa, che occhieggia la strada e dice: ROBY.

Sulle tende verdine che proteggono la porta, c’è scritto in un bel corsivo dorato: Roby Roby Roby.

E accanto alla porta, che è di legno ed elegante come quella di un albergo londinese, c’è una targa di ottone lucido con su scritto: Roby.

Davanti a Roby, c’è parcheggiato un furgone – un vecchio Fiat rosso – con le porte posteriori coperte da due grandi scritte ROBY. Ma sotto la prima c’è scritto anche “cena con”.

Non c’è assolutamente null’altro, sull’esterno di Roby. Nessuna indicazione di cosa sia e cosa ci si faccia, ad eccezione di una targa di plastica sbiaditissima, con sopra, a malapena leggibile, scritto “International Police Association – Delegazione Regionale Piemonte”.

Il che non aiuta a capire, anzi infittisce il mistero, su cosa diavolo sia veramente Roby.

[tags]roby[/tags]

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giovedì 22 Novembre 2007, 19:43

La legge a casaccio

Da tempo, spinto anche dai salaci commenti di vari amici (“ma come, leggi ancora quella roba?”), sono tentato di smettere di leggere La Stampa; peraltro l’abbonato è mia mamma, e io recupero il giornale da casa sua solo un giorno ogni tanto. Solo negli ultimi giorni si è visto di tutto, da una intervista totalmente sdraiata di Minzolini a Berlusconi a un mitico articolo di cinque colonne in cronaca sul processo agli ultras arrestati per il derby, che raccontava la rava e la fava riuscendo a non dire mai a quale squadra appartenessero i suddetti.

Tuttavia, la pagina di oggi di Maria Corbi è di quelle che ti riconciliano col giornalismo: il lungo racconto dell’abbattimento di uno dei campi nomadi di Tor di Quinto, visto da uno dei bambini del campo. Certo, l’approccio era un pelino patetico, da libro Cuore, con tanto di lettera al Presidente della Repubblica; eppure è servito a svegliare le coscienze – o perlomeno l’ufficio stampa di Veltroni – su come le forze dell’ordine stiano affrontando la “emergenza rom”.

Che è poi lo stesso con cui stanno affrontando la “emergenza ultras”: generalizzando, e reprimendo a caso.

Succede così che, senza preavviso, le ruspe si presentino in una favela di romeni in cui non è nemmeno detto che i rom ci siano, e tirino giù la baracca di Sorin, undici anni, in Italia da due, studente di prima media con ottimi voti. Non vive lì perché vuol fare l’alternativo o perché deve nascondere la refurtiva di scippi e furti con scasso; vive lì perché la mamma fa le pulizie a 500 euro al mese, e il padre fa il muratore quando trova. A Roma, le case costano dal mezzo miliardo in su, anche in estrema periferia; tre romeni, con meno di mille euro al mese e nessun vecchio ipergarantito a sovvenzionare, dove possono vivere?

Eppure, lo Stato italiano spedisce le ruspe a tirargli giù la baracca, con quel poco che hanno chiuso dentro, perché nemmeno gli danno il tempo di portarlo via. La scena di un ragazzo che rovista tra le macerie per cercare il libro di storia, che domani ha il compito, è raccapricciante. Sarà anche enfatizzata apposta, ma è raccapricciante lo stesso, per un paese che ha il problema di promuovere l’integrazione per non esplodere.

Come sempre, da noi si aspetta fino a quando proprio la situazione non è più tollerabile, e poi, sull’ondata di sdegno, si manganella a casaccio, cercando il rimedio raffazzonato dell’ultimo minuto per superare l’esame dell’opinione pubblica. Si colpiscono cento per educarne uno, insomma. L’ovvio risultato è quello di spingere i novantanove nella stessa casella dell’uno, e di far loro riflettere sul come il rigare diritto, il distinguersi dai ladri o dai violenti, in Italia non serva a nulla.

E di far pensare a noi come l’incompetenza e la protervia regnino sovrane tra chi dovrebbe mantenere l’ordine e la legge – gli elementi base di una comunità civile – e invece lo fa selettivamente, di solito contro i deboli, e comunque solo quando serve a raccogliere l’applauso dell’audience elettorale.

[tags]sicurezza, tor di quinto, rom, veltroni, sorin, la stampa, corbi[/tags]

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