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Archivio per il mese di Dicembre 2022


mercoledì 21 Dicembre 2022, 08:58

Su SPID e carta d’identità elettronica

Sul possibile pensionamento dello SPID ho letto tante cose, da chi pensa che sia solo una boutade per far parlare i giornali a chi è contento perché vuole che tutto sia sempre gestito dallo Stato. Credo dunque, da persona un po’ più addentro alle cose, di dovervi fornire alcuni elementi di riflessione.

Per prima cosa, l’idea di usare al posto di SPID la carta d’identità elettronica (CIE, dotata di chip digitale da leggere con un apposito dispositivo) non è nuova. Non ci siamo solo noi; il maggior sostenitore dell’idea è la Germania, dove SPID non esiste, ma che negli anni ha messo in piedi ripetuti e costosissimi progetti di identità digitale, tutti falliti. La Germania ha una CIE come la nostra: ha poche centinaia di migliaia di utenti e fa in un mese il numero di transazioni che SPID fa in due ore.

Il motivo è semplice: la CIE è molto più complicata da usare di un sistema basato sui cellulari, che non a caso è quello che usano tutte le piattaforme americane. Serve un cellulare moderno con lettore NFC (SPID funziona anche sul Nokia del nonno via SMS…), oppure un lettore da attaccare al computer; e serve un PIN, che la gente o si dimentica o si scrive. Poi, quando la perdi o scade, aspetti per mesi il nuovo documento e nel frattempo che fai? Se poi, come successo in Estonia, si scopre che il chip è fallato e insicuro e che le carte vanno bloccate in massa, di botto tutto il Paese resta senza identità digitale fin che non hai riemesso tutte le carte, mentre SPID si aggiorna al volo via software.

Tuttavia, pochi giorni fa Germania e Francia hanno imposto al Consiglio Europeo una posizione che renderebbe illegali i sistemi come SPID perché “insicuri”, in quanto il cellulare sarebbe craccabile più facilmente di un pezzo di plastica. È una stupidaggine, perché i sistemi di identità non vengono craccati informaticamente, ma corrompendo uno all’anagrafe di Roccacannuccia perché rilasci un documento falso, oppure facendo phishing delle credenziali; e a quel punto, il metodo di autenticazione è irrilevante, anzi, la CIE può essere rubata e usata fisicamente. Del resto, non risulta che SPID sia mai stato craccato per via informatica.

Ma allora, perché il governo italiano va dietro a questo trend e prova a distruggere l’unica esperienza di identità digitale che funziona davvero in tutta Europa, con quasi 35 milioni di utenti? La risposta io non la so, ma temo sia molto banale. Il PNRR prevede l’istituzione di una nuova mega software house di stato, partecipata da INPS, INAIL e ISTAT; due settimane fa, il governo Meloni ha nominato il suo amministratore delegato. Ma una software house deve pur avere qualcosa da fare, e quindi, cosa meglio di una commessa per fare un nuovo sistema di identità nazionale e migrare a esso tutti gli SPID già esistenti? Ci sono tutti i soldi del PNRR da spendere. E se non fossero loro a farla, comunque questa commessa la si può dare a qualche ente pubblico che piaccia, come il Poligrafico che già stampa le carte d’identità, magari con subappalto ad altre aziende che piacciano: rifare qualcosa che già esiste è un gran motivo per spendere soldi dei contribuenti.

In fondo, quello che dà fastidio di SPID è che è un sistema misto pubblico-privato, in cui, orrore, il cittadino può scegliere a chi far gestire la propria identità, magari cercando qualcuno che abbia un’app che funzioni meglio delle altre o che garantisca meglio la privacy. Perché invece non rimettere tutto in mano ai luminari che hanno prodotto siti come quelli dell’Agenzia delle Entrate e dell’INPS, fulgidi esempi di usabilità ed efficienza? Sicuramente, con il monopolio informatico pubblico, verrà fuori un sistema migliore.

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giovedì 8 Dicembre 2022, 13:57

Nippominchia e Giappone reale

Parliamo di Giappone? Condivido questa foto per farvi un piccolo discorso.

La foto viene dal post su Facebook di uno dei tanti italiani che vivono in Giappone o lavorano col Giappone da anni, e che quasi sempre si incazzano per il modo in cui da noi si parla di quella realtà. Perché? Perché l’Italia è piena di “nippominchia”, ossia di persone che conoscono il Giappone solo per aver letto i manga e guardato gli anime, o perché vanno a mangiare il sushi tutte le settimane (dai cinesi), senza esserci mai stati; tra queste ci sono anche molti giornalisti, e quindi è tale anche la descrizione che ne esce generalmente sui media. Si tratta di persone che adorano il Giappone acriticamente, che lo vedono come una terra promessa dove tutto è pulito, sicuro, efficiente e beneducato, dove le persone si vogliono bene e collaborano tutte insieme e dove si vive in pace e in armonia con la natura secondo tradizioni spirituali millenarie.

La realtà, naturalmente, non è proprio così. Vivere in Giappone da giapponesi è, per i nostri standard di dolce vita, terrificante. Già da ragazzo, la scuola ti impegna dal mattino al tardo pomeriggio, e la sera fai i compiti; quando lavori, facilmente finisci a essere un ingranaggio di un’azienda medio-grande e a uscire dall’ufficio a sera inoltrata, non di rado anche nel fine settimana. La cultura collettivista non ha soltanto vantaggi; l’individualità, la creatività non trovano posto, perché conformarsi è la norma e “il chiodo che sporge va preso a martellate”.

Esprimere e realizzare se stessi è difficile, e non parliamo di sentimenti: il Giappone è uno dei Paesi in cui l’età del primo bacio o del primo rapporto è più alta, spesso ben oltre la maggiore età; e i tassi di suicidio sono oltre il triplo dell’Italia. In più, viverci da italiani è anche peggio; nel momento in cui non sei più turista ma residente, ci si aspetta che tu ti conformi esattamente a tutte le loro usanze, linguistiche, burocratiche e comportamentali; altrimenti sarai sempre trattato come un diverso, se non proprio con razzismo.

Per questo, la sola parola “manga” è sufficiente a fare incazzare quasi tutti gli italiani in Giappone. Non solo: fa incazzare anche molti giapponesi che si sentono stereotipati, e a cui dà fastidio, girando all’estero, essere visti come gli abitanti di una terra popolata esclusivamente da onde energetiche, samurai, spiriti e arti marziali, esattamente come a noi dà fastidio sentirci dire “sole pasta pizza mafia”; e che sanno che il mondo fantastico dei manga ha un lato oscuro e inquietante, quello di essere la valvola mentale di sfogo per una realtà spesso pesante e insopportabile.

Sempre per questo, anche le immagini condivise ossessivamente sui social dello spogliatoio pulito della nazionale giapponese hanno indispettito molti; come Antonio, l’autore del post, che risponde con la foto di uno dei tanti impiegati che escono tardi dall’ufficio, vanno a ubriacarsi coi colleghi (una delle poche forme di socialità previste) e poi svengono e passano la notte distesi sul pavimento della metropolitana.

Si tratta di stereotipi, nell’uno e nell’altro senso; come tutti i luoghi comuni, hanno la realtà dentro ma non dobbiamo restarne prigionieri. Il Giappone è assolutamente un posto da visitare, e ha una cultura che oggi è senz’altro più interessante e più in linea coi tempi di quella anglosassone. Bisogna soltanto evitare di confondere la realtà con la fantasia; bisogna distinguere sempre tra il Giappone magico e fantastico proposto dalla sua industria mediatica e tecnologica e il Giappone reale, che è, come è la vita, molto più complesso e pieno di chiaroscuri.

Una volta capito quello, godiamoci pure i manga, e i video musicali cantati da ologrammi, e il sushi anche a colazione se volete; ma con consapevolezza.

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mercoledì 7 Dicembre 2022, 13:29

Quando i moderatori di Facebook dovrebbero andare a ballare in Puglia

Questo aggiornamento di stato è stato censurato da Facebook per “violazione degli standard della community”; naturalmente non ti dicono in cosa, ma suppongo che sia per la metafora di tagliare le dita, che dal tono generale del testo mi pare evidente essere una metafora, ma per Facebook no. Quindi, lo pubblico qui.

Sono a Malpensa, sul bus per Torino, in attesa della partenza, e c’è l’autista che inganna il tempo guardando qualcosa sul cellulare, e io temevo fosse la partita, e invece no, è molto peggio: è un film natalizio americano che ha dei dialoghi tremendi, e non solo per i livelli di glucosio da ricovero, ma proprio per la scelta delle parole e delle frasi, perché tutti parlano come nella pubblicità del Glen Grant degli anni ’80, e sono doppiati in quel modo, con l’enfasi di Michele l’intenditore, e – mio dio, lui le ha appena detto “sei straordinariamente bella stasera”, no dico, chi direbbe mai una frase così nella vita reale? Ma basta, tagliate le dita agli sceneggiatori, e anche – no, mamma, il colpo di scena adesso è che lui non andava malvagiamente via a Natale per fare carriera, ma per aiutare “una ong di un orfanotrofio in Nigeria”, che fino a un attimo prima non esisteva, alla faccia della prefigurazione e di ogni principio di base delle sceneggiature, ma basta, basta, bruciategli il cellulare o scendo, che non lo reggo più.

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