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Archivio per la categoria 'NetGov’It'


domenica 29 Ottobre 2006, 09:29

IGF

Oggi sono in partenza per Atene, dove si sta per tenere l’Internet Governance Forum delle Nazioni Unite.

Si tratta di un nuovo “coso” di cui io sono stato uno degli inventori, quando facevo parte del WGIG, e a cui quindi tengo particolarmente. Deve essere per questo che sono un po’ deluso già in partenza, visto che l’originale idea di un forum aperto e auto-organizzato si è scontrata con la realtà dei rapporti di forza internazionali e con la scarsa voglia degli americani di permettere discussioni troppo sovversive, ragion per cui le sessioni aperte sono state sostituite da panel di esperti sufficientemente inoffensivi, e così via.

Cercherò comunque di bloggare qualcosa durante la settimana, anche per le persone (non molte, ma comunque neanche pochissime) che seguono questo genere di attività dall’Italia. Vista l’audience, cercherò di farlo anche in inglese, e a questo scopo ho aperto un blog sulla piattaforma collaborativa che è stata preparata da alcuni volenterosi. E poi, spero di essere online, anche se non ci sono ancora notizie sulla connettività in loco.

Pare comunque che i greci abbiano deciso di far partire le cose nel migliore dei modi: sembra che due giorni fa abbiano arrestato un blogger perchè nel suo aggregatore di feed era comparso un post altrui contenente un link a un sito, ospitato in America, che ironizzava su un famoso telepredicatore. Che i tunisini siano così naif da farsi questo genere di autogol non sorprende, ma che lo facciano i greci… indigna soltanto. Se la notizia sarà confermata, alla cerimonia di apertura di lunedì mattina, officiata dal Primo Ministro greco, potrebbe esserci un discreto casino.

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martedì 3 Ottobre 2006, 00:01

Big change, no change

Ovvero: cambiare tutto per non cambiare niente. Il governo americano deve essere andato a scuola dal suo storico alleato Andreotti, se per mantenere il controllo di ICANN di fronte alle crescenti pressioni internazionali ha scelto la più classica delle formule dorotee.

Con la fine di settembre scadeva l’ultima proroga dello storico “memorandum of understanding” tra ICANN e il governo americano, che, con il complemento di altri documenti, stabiliva che cosa ICANN dovesse fare, con tanto di elenco dettagliato di attività che l’organizzazione doveva realizzare entro la scadenza del contratto.

Da mesi ci si chiedeva cosa sarebbe successo di questo accordo: se è vero che al summit di Tunisi ci si era accordati per ricercare un “nuovo modello di cooperazione” e quindi un nuovo ruolo dei governi nel controllo degli identificatori unici della rete (nomi a dominio e indirizzi IP), in pratica entrambe le opzioni erano sgradite: rinnovare l’accordo avrebbe voluto dire ribadire il principio secondo cui era il governo americano a stabilire il piano di lavoro di ICANN, mentre lasciarlo scadere senza sostituirlo avrebbe lasciato ICANN sostanzialmente senza controllo.

E allora, che cosa si sono inventati? Semplice: via il memorandum of understanding, arriva il joint project agreement: il governo americano e ICANN, da pari a pari, si mettono d’accordo su cosa si debba fare. Formalmente è un passo avanti; in pratica cambia poco.

Del resto, due sono le cose che veramente stanno a cuore al governo americano: che i cambiamenti al file radice del DNS – il file che contiene l’elenco dei domini di primo livello, sia generici che nazionali, e stabilisce chi gestisce ognuno di essi – continuino a richiedere la sua approvazione, e che tutti i possessori di domini del mondo siano obbligati a identificarsi e pubblicare i propri dati nel Whois, in modo che le multinazionali della proprietà intellettuale possano molestarli con efficacia. La prima cosa è prevista da altri accordi che restano bellamente in vigore; la seconda è stata esplicitamente inserita (al punto 5 dell’allegato A) come una delle clausole obbligatorie e perentorie che ICANN deve rispettare, nonostante sia, ai sensi delle leggi sulla privacy di tutto il resto del mondo, completamente illegale, tanto che gli stessi organismi interni di ICANN stavano per approvare una riforma del sistema (pericolo scampato, penserà la RIAA).

E il resto del mondo? Immagino che, volendo, anche gli altri governi del mondo potrebbero chiedere ad ICANN di fare un bel progetto insieme, e firmare il loro bell’accordino con cui baloccarsi. La verità, difatti, è che il potere di controllo esercitato da ICANN non deriva affatto dai soli accordi con il governo americano, o dalla sua struttura formale.

Deriva invece in gran parte dalla rete di relazioni interpersonali che c’è al suo interno e nelle altre organizzazioni che gestiscono la rete, da un management quasi tutto anglosassone, da quelle poche persone influenti che prendono le decisioni nei corridoi o davanti al buffet, e che appartengono tutte all’aristocrazia del grande business americano del settore (AT&T, Cisco, IBM, e le immancabili Google e Verisign, le centrali informative globali dell’America in rete).

E quindi, le forme cambiano per dare qualche contentino, se non proprio per darla un po’ a bere ai governi di mezzo mondo, un po’ gonzi e un po’ duri a comprendere il ventunesimo secolo, quello dove il controllo globale degli affari e dei flussi informativi determina un potere ben superiore a quello di qualsiasi legge nazionale o accordo diplomatico.

Ma finchè l’Europa non comincerà ad usare tecnologie e servizi propri, invece di quelli americani, resterà sempre la periferia dell’Impero.

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lunedì 2 Ottobre 2006, 11:34

E’ ora di farsi sentire

La notizia era già stata anticipata nelle scorse settimane in varie occasioni, ma ora è ufficiale: il governo italiano ha aperto una consultazione pubblica sui temi della società dell’informazione, dal diritto d’autore ai problemi dell’accesso a Internet, dallo spam alla diversità culturale.

Si tratta di uno dei risultati del recentemente costituito “Comitato consultivo sulla governance di Internet”, presieduto dal professor Rodotà, di cui faccio parte insieme ad altri sei esperti. Nato per volontà del ministro Nicolais e del sottosegretario Magnolfi, il comitato ha lo scopo di preparare la posizione italiana per il prossimo Internet Governance Forum delle Nazioni Unite, che si terrà ad Atene a fine ottobre.

Allo stesso tempo, abbiamo cercato di costruire un canale di comunicazione tra il governo e il “popolo della rete”, trasformando la prima esperienza del “tavolo Stanca” istituito dal governo precedente in qualcosa che potesse essere aperto a tutti gli utenti della rete, inclusi i singoli individui. E’ nata così l’idea di una consultazione pubblica online, che in Italia ha pochissimi precedenti: da oggi fino al 22 ottobre, partendo da questa pagina e seguendo il link “consultazione virtuale”, è possibile leggere le bozze della posizione italiana ed inviare commenti di qualsiasi genere. Si terrà comunque anche un incontro fisico, il 12 ottobre a Roma, per il quale è necessario registrarsi sul sito, e che sarà trasmesso in webcast in diretta.

Personalmente, l’obiettivo per cui ho spinto per questa apertura è molto chiaro: anche alla luce delle esperienze del passato, legge Urbani in testa, ritengo che i governi italiani di qualsiasi colore debbano prendere l’abitudine di ascoltare molto più attentamente la voce del pubblico, e in particolare di quegli individui e quelle associazioni attive sulla nostra rete che dispongono di idee, competenza specifica, esperienza e capacità di innovazione; tutte caratteristiche che troppo spesso mancano alle istituzioni italiane, rendendo ad esse così difficile gestire adeguatamente l’impatto sociale ed economico delle nuove tecnologie, e così facile cadere vittima della sindrome da “colazione con Bill Gates” – quella per cui la modernità è firmare accordi miliardari con le multinazionali in cambio di un comunicato stampa.

Finora, ci siamo trovati davanti ad interlocutori politici inusualmente aperti e liberi da questo genere di impostazione mentale; tuttavia, si sa, la politica segue il consenso. E’ per questo che è così importante che dalla rete venga un supporto vasto e rumoroso alla pratica di concertazione che stiamo tentando di mettere in piedi, e una opinione libera e indipendente su tutti i temi di Internet, con l’obiettivo di orientare la politica del nostro governo anche dopo Atene, e di segnare una svolta rispetto al quinquennio passato; una svolta a favore dei diritti degli individui, della privacy, della piccola impresa, degli standard aperti, dell’inclusione digitale, della lotta al digital divide, della condivisione della conoscenza, della protezione dei consumatori dell’ICT; in un’Italia che ristagna, una innovazione vera.

Con tutti i caveat e i limiti di una prima volta, la possibilità c’è: sta a tutti noi sfruttarla. La politica è un territorio spesso imprevedibile e legato a logiche difficili da contrastare, per cui nessuno può garantire che questa esperienza avrà risultati tangibili; eppure, vale la pena di provare a farsi sentire. In questo caso, bastano tre minuti, due click e una mail.

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martedì 19 Settembre 2006, 18:10

La Stampa libera

Stamattina ho assistito alla maggior parte di questo convegno, organizzato da La Stampa per annunciare la decisione di rilasciare sotto licenza Creative Commons i supplementi Tuttolibri e Tuttoscienze.

Innanzi tutto, la decisione è ottima; per i pochi che non li conoscono, si tratta di due supplementi che da una quindicina d’anni parlano rispettivamente di libri, musica, teatro e cultura in genere, e di scienza e tecnologia, ospitando interventi e articoli veramente di livello. Come confermato informalmente sul luogo, pare che la decisione riguardi non solo il futuro, ma anche tutti gli arretrati, che fino ad oggi La Stampa vendeva su appositi CD. Si tratta del primo caso in Europa, tra i quotidiani, e segna certamente una pietra miliare nella diffusione di questo tipo di modelli distributivi all’interno della carta stampata; complimenti quindi sia al team di Creative Commons Italia, che immagino abbia spinto l’idea, sia ai vari responsabili della Stampa.

Per quanto riguarda l’evento, io sono ovviamente arrivato in ritardo – volevo andare in bici, ma mi sono alzato troppo tardi, e poi parcheggiare in zona Castello del Valentino è stato comunque difficile. La sala del Castello è veramente eccezionale, merita andarci soltanto per l’atmosfera, con gli affreschi restaurati da poco e le finestre che danno sul Po!

Quando arrivo, sta parlando l’editore, John Elkann, persona di cui le conoscenze dirette mi dicono un gran bene, ma che ha un disperato bisogno di un corso di public speaking: in questo caso, vabbe’ che sono le nove e mezza, ma sta leggendo con aria assonnata un discorso prestampato, da un foglio tenuto a mano, alto e dritto in verticale, in modo quasi da coprire la faccia, con un mono-tono che, in termini culinari, equivarrebbe ad un bollito misto senza salse.

E’ decisamente più a proprio agio il direttore, Giulio Anselmi, che espone alcune considerazioni interessanti sull’intenzione della Stampa di costruire un ciclo di feedback tra il giornale stampato e il sito, chiedendo ai lettori di commentare sul sito articoli e notizie e riportandone poi sul giornale del giorno dopo un riassunto; pare che abbiano finalmente capito che non è affatto detto che Internet cannibalizzi i quotidiani, se i quotidiani non dormono.

Sul palco ci sono anche Carlo Olmo (preside di Architettura di cui ho buoni ricordi dai tempi in cui facevo il rappresentante al Poli), presumo in rappresentanza del Rettore Profumo, e Marco Ajmone Marsan, nientepopodimenoche il mio relatore della tesi di laurea, anche se presumo che fosse sul palco non a tale titolo ma in quanto Direttore dell’Istituto di Ingegneria dell’Informazione e altra roba (ci siamo capiti) del CNR, e al posto di Chiamparino. Ma quando arrivo hanno già parlato, mi spiace; ad ogni modo, tutto l’evento è filmato e distribuito liberamente qui.

Subito dopo, la moderatrice Anna Masera (con cui ho appena litigato in pubblico un paio di settimane fa, con gran rispetto s’intende) introduce il panel successivo. Il primo è Juan Carlos De Martin, professore del Poli e anima di Creative Commons in Italia, che fa una spiegazione eccellente, concisa ma chiara anche ai non addetti ai lavori, di cosa siano le licenze CC; la cosa lo appassiona e si vede. Segue Domenico Ioppolo, della Stampa; poi arriva il pezzo forte, cioè l’intervento di Stefano Rodotà.

La mia stima per il professore è nota, ma oggi sono assolutamente stupefatto: credo di essere una persona piuttosto addentro a questi temi e piuttosto avvezza alla riflessione innovativa per conto proprio, ma lui, in un intervento a braccio di mezz’oretta, riesce a darmi almeno una decina di spunti di riflessione e di connessioni interessanti. Ad esempio, è chiaro a tutti il problema del diritto all’oblio, ma il suo collegamento con l’importanza della facilità di pubblicazione libera creata da Internet, per cui invece di far cancellare o far rettificare si possono pubblicare in proprio informazioni aggiornate, è meno ovvio. Ed è davvero importante, come lui fa, far notare a questa platea di manager ed editori che il tema non è una contrapposizione ideologica tra chi vuole il diritto di condividere e chi vuole proteggere una proprietà, ma una discussione anche pratica su quale sia il modello distributivo che massimizza la creazione e la remunerazione dell’ingegno, in uno scenario di creazione di massa e immateriale. (Mi sono spiegato?)

Dopo Rodotà parte il coffee break, e quindi il momento delle chiacchiere; il break è lungo e quindi aggancio un po’ tutti, cominciando da Rodotà stesso (con cui devo organizzarmi per il nostro “comitato Nicolais, e già che ci sono gli dò la buona notizia: ad Atene si farà il workshop sulla Costituzione di Internet), e poi il giro dei libertari torinesi di Hipatia, fino a Pistoletto. Incrocio Andrea Glorioso con cui pianifichiamo un po’ di attività, e alla fine faccio anche a tempo a salutare i ragazzi dello streaming e pure Vittorio Pasteris. E riesco anche ad abboffarmi di paste secche! (La coda del caffè però risulta indomabile.)

Ho ancora mezz’oretta, che mi permette di ascoltare innanzi tutto Piero Bianucci, il direttore di Tuttoscienze e giornalista molto apprezzato, nonchè il promotore del primo sito della Stampa e, via via, di questa svolta di oggi. Prende la parola Pistoletto e ricorda una serie di punti importanti, fino a giungere alla sua concezione (che merita accurata riflessione) del “terzo paradiso”.

Poi tocca ad Angelo Raffaele Meo, che tira fuori le slide; saranno le stesse che ho già visto varie volte? Invece no, ce ne sono di nuove – memorabile quella con tre gigantesche morti nere con tanto di falce, con scritto sotto “liberalizzazione”, “privatizzazione” e “globalizzazione”, e con la conclusione “Questo mercato fa più morti della guerra” – e il discorso è ancora più convincente del solito; per quanto Meo sia un pelo troppo vetero-ideologico dal mio punto di vista, non solo non ho dubbi sulla sua conclusione – il sistema della proprietà intellettuale va ripensato – ma apprezzo la chiarezza con cui anticipa e vede certi fenomeni. Ottima la citazione del “fabbricatore personale”, un oggetto che potrebbe cambiare il mondo: mi fa venir voglia di lavorarci. L’intervento, insomma, è un successone, concluso da un lunghissimo applauso.

Sta per prendere la parola Marco Ricolfi, ma purtroppo devo fuggire per un appuntamento. Scappo e rinuncio al resto del convegno, anche se avrei volentieri preso la parola e dato il mio contributo con il mio classico intervento sul ruolo degli utenti (De Martin ha comunque già ricordato come dal 40 al 60 per cento degli utenti Internet, circa mezzo miliardo di persone, la usino anche per condividere propri contenuti).

Spero che prima o poi ci sarà una occasione di dibattere di questi temi in grande stile anche a Torino, ad esempio sul modello del WOS che si è svolto a Berlino in questo weekend; noto però con piacere che, anche grazie al tanto vituperato giornale cittadino, non siamo affatto così indietro come ci piace pensare. Anzi, chissà che, sull’onda di queste scelte, non sia proprio La Stampa a spingere la nascita di un altro evento di cartello a Torino.

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giovedì 10 Agosto 2006, 19:02

Il futuro di Internet

Ormai la notizia è uscita in giro e l’hanno riportata financo i blog degli amici, quindi per una volta mi tocca fare un post serio (non so nemmeno in che categoria metterlo).

Qualche settimana fa, mentre ero in ufficio, ho ricevuto una telefonata in diretta dal Senato dalla Repubblica: era il sottosegretario Beatrice Magnolfi che mi annunciava la nomina in un nuovo comitato, istituito dal ministro Nicolais, per discutere della posizione italiana al prossimo Internet Governance Forum delle Nazioni Unite, a fine ottobre ad Atene. Ovviamente la cosa mi ha fatto molto piacere; giusto per mettere le cose in chiaro, non si tratta di una posizione retribuita (anzi, mi pago io ogni volta l’assenza dal lavoro e il viaggio a Roma), ma si tratta comunque di un segno di grande stima e fiducia, derivante direi dai miei ruoli in ICANN e nei forum delle Nazioni Unite che parlano di Internet.

Il comitato è composto da persone che si sono occupate di questi temi, da Stefano Trumpy, che rappresenta il governo italiano in ICANN, a Matilde Ferraro, che ha rappresentato le ONG italiane al WSIS – solo per nominarne un paio. Include Fiorello Cortiana, che si è occupato di questi temi nello scorso Parlamento, ma anche Joy Marino, uno dei fondatori dell’industria Internet italiana. E’ presieduto da una persona eccezionale come Stefano Rodotà, colui che ha introdotto in Italia il tema dei diritti personali nella società dell’informazione, e che da tempo battaglia per la “Costituzione di Internet”; poterlo conoscere di persona è stato un gran piacere.

Ci siamo riuniti per la prima volta giovedì scorso, il che mi ha permesso di entrare per la prima volta nello studio di un ministro, in un bel palazzo rinascimentale in corso Vittorio Emanuele: e vai di salone chilometrico, legno pregiato, dipinti a tema epico e commessi alla porta. Il Ministro Nicolais, comunque, è stato molto gentile; ci ha accolti personalmente e ha partecipato alla prima parte della riunione, prima di fuggire per andare a pranzo a batter cassa da Padoa Schioppa; ha poi lasciato la riunione a Magnolfi.

L’argomento della riunione è stato come organizzare un processo per definire una posizione del governo italiano sui temi che saranno discussi ad Atene. I temi dell’IGF (definiti a Ginevra tramite un do ut des diplomatico teso a lasciar fuori qualsiasi questione veramente pericolosa, dal controllo americano su ICANN alla proprietà intellettuale) saranno quattro: libertà e apertura della rete, sicurezza e stabilità della rete, diversità e internazionalizzazione dei contenuti, e costi di accesso.

Per ciascuno di questi, sono state definite persone di riferimento (io, con Fiorello, mi occuperò del primo, che include anche la libertà di espressione, l’accessibilità del sapere e i diritti in genere) e ci siamo ripromessi di preparare una bozza per metà settembre; vogliamo inoltre organizzare, per metà ottobre, una consultazione pubblica, online ed offline, per permettere a chiunque di esprimere il proprio parere. A quest’ultima cosa io tengo molto: credo che potrebbe essere un’occasione per mettere il governo di fronte alle istanze che vengono dalla rete, su tutti i temi relativi a Internet, e quindi incoraggio tutti a prepararsi per tempo.

A fine riunione, io ho proposto che il Governo sponsorizzasse anche due workshop che vorrei organizzare ad Atene, anche se il tempo stringe (le proposte vanno inviate entro il 24 agosto); il primo sulla Costituzione di Internet, e il secondo sul trusted computing, una tecnologia che, dipendentemente dalla sua implementazione, vedo potenzialmente molto lesiva dei diritti delle persone e della natura stessa di Internet. Alla fine si è scelto di concentrarsi sul primo, per non disperdere le forze (devo dire che anche a livello internazionale l’interesse sul trusted computing è risultato scarso: probabilmente è un tema troppo tecnico per essere accolto dai diplomatici e dalle ONG, tipicamente di stampo sociale e cooperativo, che partecipano ai processi ONU).

Tornando a noi: per quanto mi riguarda, questa è soprattutto una occasione per portare all’attenzione del nostro governo un po’ dei problemi reali che leggiamo tutti i giorni sulle liste e sulle riviste della rete, e che mi preoccupano alquanto. In queste cose sono totalmente piemontese: non sono in grado di sfoggiare i salamelecchi e le adulazioni (ma nemmeno lo sgomitìo per farsi vedere) che usano in queste occasioni, e quindi nemmeno di “ammanicarmi” oltre quel che deriva naturalmente dalle cose che faccio. Se però il Governo ci darà modo di influenzare un po’ la sua politica in materia, allora ne sarà valsa la pena.

Io però li attendo al varco: in particolare, va bene Atene, ma ho tutte le intenzioni di cominciare a parlare appena possibile di revisione della legge Urbani, di privacy, diritto d’autore, trusted computing, di diritti dei consumatori dei pessimi servizi ICT nostrani, del digital divide interno, e così via. Questo è un esperimento che potrebbe finire a ottobre, o potrebbe essere la base per un processo più ampio e più stabile, veramente innovativo per l’Italia, di concertazione multi-stakeholder delle politiche sull’ICT, che porterebbe anche esiti migliori per le istanze del “popolo della rete”. Credo quindi che sia il caso di provare tutti assieme a farlo funzionare.

Nel frattempo, compatibilmente con la scarsa connettività che tutti noi abbiamo ad agosto, la mia email (vb [a] bertola.eu.org) è a disposizione per chiunque voglia presentare suggerimenti o pareri.

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martedì 27 Giugno 2006, 15:47

L’economia robotizzata

Oggi, per una volta, parliamo di cose serie: volevo introdurvi al meraviglioso mondo del pay-per-click e del suo ultimo figliastro, il domain tasting.

Vi è mai successo di sbagliare a digitare un URL nel browser, o di provarne uno alla cieca? Molto spesso, invece di ricevere un errore, vi compare una pagina un po’ generica, e in genere ha sopra dei link. Si può trattare di una pagina di ricerca (ad esempio quella di MSN, che Internet Explorer mostra in automatico se il dominio che avete digitato non esiste), o di pura pubblicità, più o meno colorata e invadente; di solito si tratta di pagine generate in automatico.

Probabilmente, se vi è successo, vi sarete chiesti il perchè della fioritura di questo genere di pagine. La risposta è appunto il pay-per-click: perchè una parte non trascurabile degli utenti che arrivano lì sopra, spesso nemmeno capendo bene la differenza tra il sito che volevano vedere e quello che gli è arrivato, clicca su uno dei link che gli vengono presentati.

Questi link, a loro volta, sono generati da sistemi di advertising e contengono codici di affiliazione; il sito a cui portano si è impegnato a pagare un tot, anche solo qualche frazione di centesimo, per ogni utente che vi clicca sopra. Questa cifra viene raccolta da un provider di domain monetization, che a sua volta ne gira una parte al concessionario pubblicitario che trova i siti inserzionisti, se non è lui stesso; si trattiene la sua parte; e il resto va al proprietario del sito, che non deve fare nulla se non registrare un dominio inutile e affidarlo al suddetto monetizzatore.

Certo, direte voi, quanta gente mai andrà a digitare “yahii.com” invece di “yahoo.com“, e poi per giunta cliccherà su uno dei link? In percentuale, non molta, ma avete idea di quante persone usano Internet ogni giorno? (Oltre un miliardo.)

E così, sono presto nati i cosiddetti domainers, aziende che non fanno altro che registrare domini inutili e “metterli all’ingrasso” con un servizio di monetizzazione. Sono tutte potenziali miniere, non di pepite d’oro ma di briciole invisibili d’oro, che però messe insieme fanno un bel po’ di soldi. Già, perchè l’incasso è basso, spesso pochi dollari per dominio per anno, perchè se ne generasse di più ci sarebbe certamente qualcuno che registra quel nome per farci un sito vero; di solito si parla di domini che costano sei dollari l’anno (tariffa all’ingrosso da Verisign) e ne incassano tra i sette e i dieci. Basta però averne un milione…

A questo punto, però, si inserisce la competizione di mercato: come fare a trovare domini che siano liberi (impresa che, sotto .com – il TLD di gran lunga più usato – è praticamente impossibile per qualsiasi stringa sotto i dodici caratteri di lunghezza) ma che abbiano probabilità ragionevoli di venire digitati per sbaglio o a tentoni?

Beh, c’è un modo evidente: basta registrare i domini che scadono e non vengono rinnovati. Di sicuro in giro per la rete, nei motori di ricerca, in siti web, ci sono link a quei domini che sono ancora lì. Di sicuro ci sono persone, anche poche, che erano abituate a scrivere quel dominio nella propria barra degli indirizzi.

(In realtà, qui ho tagliato corto, perchè nel mondo reale, prima di quelli che comprano i domini scaduti per monetizzarli, ci sono quelli che li comprano per metterli all’asta, possibilmente al disperato ex proprietario che li ha persi per errore. Ma consideriamo solo i nomi troppo poco interessanti per essere messi all’asta.)

A questo punto, l’ingegno viene aguzzato dalla necessità: come fare ad assicurarsi il maggior numero di domini cancellati possibile? Beh, la data di scadenza di un dominio è pubblica; non lo è l’ora, ma basta accreditarsi per poche migliaia di euro come registrar (rivenditore di domini) – in modo da avere accesso diretto al registro, senza intermediari – e poi bombardare il registro di richieste, sperando di arrivare proprio nel momento in cui il dominio è stato appena cancellato.

Come risultato, si è arrivati, a fronte di una media di 20.000 domini .com scaduti e non rinnovati al giorno, a 120 milioni di richieste di loro registrazione al giorno, con una media di 6000 richieste al giorno per dominio. A questo punto, per ridurre il carico e il disturbo alle registrazioni “normali”, Verisign ha stabilito che tutti i domini scadono alle 14:00 EST, e le richieste si sono ridotte a 60 milioni, però tutte concentrate tra le 13:30 e le 15:30; molti registrar hanno reverse-ingegnerizzato l’algoritmo di cancellazione per stimare in quale preciso secondo un dato dominio verrà cancellato.

Siccome poi ogni registrar ha un tot prefissato di thread dedicati sul server di registrazione, per aumentare le probabilità si possono aprire nuovi registrar finti che si limitino a mandare richieste. Si stima che dei circa 600 registrar accreditati presso ICANN, 400 siano finte aziende create solo allo scopo di aumentare le probabilità di vincita dei domini cancellati.

Tutto questo è degenerato ulteriormente quando qualcuno si è accorto di una clausola delle regole di registrazione, che prevede che un dominio .com appena registrato possa venire cancellato dal registrar entro i primi cinque giorni, ricevendo indietro tutti i soldi. La clausola era stata introdotta per gestire errori, tipicamente casi di impazzimento del software automatico che invia le richieste di registrazione dal registrar al registro. Eppure, ai domainers offre una possibilità fondamentale: quello di registrare il dominio, tenere su la paginetta di link per cinque giorni, vedere quanti click genera, fare un rapido conto e capire se vale la pena di pagare i sei dollari per tenerlo per un anno: domain tasting, appunto.

A questo punto, potendo provare, si può anche andare oltre i domini scaduti: ad esempio, registrare tutte le stringhe di caratteri disponibili, o tutte le combinazioni di parole del dizionario, per vedere se si scopre qualcosa che la gente tende a scrivere di propria volontà più di frequente della media, e cercare subito di farci sopra dei soldi.

Come risultato, sul totale delle registrazioni di domini .com, ormai circa il 95% sono relative a prove che durano cinque giorni, mentre meno del 5% sono registrazioni vere. E se cercate di comprare un dominio .com, state attenti: è probabile che sia libero oggi, ma magari sparisca domani, per poi tornare disponibile la settimana prossima, facendovi impazzire.

E quindi, qui ad ICANN, si discute se tutto questo abbia senso, o se perlomeno non si possono trovare modi più efficienti di gestirlo, e regole più sensate… per quanto a questi americani l’idea stessa di avere delle regole dia fastidio; ed è tutto un fiorire di difesa della concorrenza e libertà di innovazione commerciale.

Ma a me questa cosa fa soprattutto pensare che l’economia occidentale ormai ha perso qualsiasi contatto con la realtà: va bene il passaggio all’era dell’informazione, ma qui mi sa che si sta passando direttamente all’era dell’economia robotizzata, in cui soldi veri passano di mano per eventi computerizzati che non hanno, nel mondo reale, alcun vero valore o significato.

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venerdì 21 Aprile 2006, 19:14

Tra il dire e il fare

Pare che Assoprovider, l’associazione dei piccoli ISP affiliata a Confcommercio, abbia presentato un ricorso al TAR contro la disposizione dei Monopoli di Stato che impone ai provider di filtrare l’accesso a determinati siti web, e precisamente a quelli di scommesse situati all’estero e che sfuggono alla tassazione e alla regolamentazione italiana.

E’ interessante notare che in tanti tra i difensori della libertà di espressione e della rete globale, me compreso, ci siamo scandalizzati a gran voce; ma gli unici che si sono mossi per davvero sono quelli che ci rischiano sghèi e conseguenze penali.

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