Oggi, per una volta, parliamo di cose serie: volevo introdurvi al meraviglioso mondo del pay-per-click e del suo ultimo figliastro, il domain tasting.
Vi è mai successo di sbagliare a digitare un URL nel browser, o di provarne uno alla cieca? Molto spesso, invece di ricevere un errore, vi compare una pagina un po’ generica, e in genere ha sopra dei link. Si può trattare di una pagina di ricerca (ad esempio quella di MSN, che Internet Explorer mostra in automatico se il dominio che avete digitato non esiste), o di pura pubblicità , più o meno colorata e invadente; di solito si tratta di pagine generate in automatico.
Probabilmente, se vi è successo, vi sarete chiesti il perchè della fioritura di questo genere di pagine. La risposta è appunto il pay-per-click: perchè una parte non trascurabile degli utenti che arrivano lì sopra, spesso nemmeno capendo bene la differenza tra il sito che volevano vedere e quello che gli è arrivato, clicca su uno dei link che gli vengono presentati.
Questi link, a loro volta, sono generati da sistemi di advertising e contengono codici di affiliazione; il sito a cui portano si è impegnato a pagare un tot, anche solo qualche frazione di centesimo, per ogni utente che vi clicca sopra. Questa cifra viene raccolta da un provider di domain monetization, che a sua volta ne gira una parte al concessionario pubblicitario che trova i siti inserzionisti, se non è lui stesso; si trattiene la sua parte; e il resto va al proprietario del sito, che non deve fare nulla se non registrare un dominio inutile e affidarlo al suddetto monetizzatore.
Certo, direte voi, quanta gente mai andrà a digitare “yahii.com” invece di “yahoo.com“, e poi per giunta cliccherà su uno dei link? In percentuale, non molta, ma avete idea di quante persone usano Internet ogni giorno? (Oltre un miliardo.)
E così, sono presto nati i cosiddetti domainers, aziende che non fanno altro che registrare domini inutili e “metterli all’ingrasso” con un servizio di monetizzazione. Sono tutte potenziali miniere, non di pepite d’oro ma di briciole invisibili d’oro, che però messe insieme fanno un bel po’ di soldi. Già , perchè l’incasso è basso, spesso pochi dollari per dominio per anno, perchè se ne generasse di più ci sarebbe certamente qualcuno che registra quel nome per farci un sito vero; di solito si parla di domini che costano sei dollari l’anno (tariffa all’ingrosso da Verisign) e ne incassano tra i sette e i dieci. Basta però averne un milione…
A questo punto, però, si inserisce la competizione di mercato: come fare a trovare domini che siano liberi (impresa che, sotto .com – il TLD di gran lunga più usato – è praticamente impossibile per qualsiasi stringa sotto i dodici caratteri di lunghezza) ma che abbiano probabilità ragionevoli di venire digitati per sbaglio o a tentoni?
Beh, c’è un modo evidente: basta registrare i domini che scadono e non vengono rinnovati. Di sicuro in giro per la rete, nei motori di ricerca, in siti web, ci sono link a quei domini che sono ancora lì. Di sicuro ci sono persone, anche poche, che erano abituate a scrivere quel dominio nella propria barra degli indirizzi.
(In realtà , qui ho tagliato corto, perchè nel mondo reale, prima di quelli che comprano i domini scaduti per monetizzarli, ci sono quelli che li comprano per metterli all’asta, possibilmente al disperato ex proprietario che li ha persi per errore. Ma consideriamo solo i nomi troppo poco interessanti per essere messi all’asta.)
A questo punto, l’ingegno viene aguzzato dalla necessità : come fare ad assicurarsi il maggior numero di domini cancellati possibile? Beh, la data di scadenza di un dominio è pubblica; non lo è l’ora, ma basta accreditarsi per poche migliaia di euro come registrar (rivenditore di domini) – in modo da avere accesso diretto al registro, senza intermediari – e poi bombardare il registro di richieste, sperando di arrivare proprio nel momento in cui il dominio è stato appena cancellato.
Come risultato, si è arrivati, a fronte di una media di 20.000 domini .com scaduti e non rinnovati al giorno, a 120 milioni di richieste di loro registrazione al giorno, con una media di 6000 richieste al giorno per dominio. A questo punto, per ridurre il carico e il disturbo alle registrazioni “normali”, Verisign ha stabilito che tutti i domini scadono alle 14:00 EST, e le richieste si sono ridotte a 60 milioni, però tutte concentrate tra le 13:30 e le 15:30; molti registrar hanno reverse-ingegnerizzato l’algoritmo di cancellazione per stimare in quale preciso secondo un dato dominio verrà cancellato.
Siccome poi ogni registrar ha un tot prefissato di thread dedicati sul server di registrazione, per aumentare le probabilità si possono aprire nuovi registrar finti che si limitino a mandare richieste. Si stima che dei circa 600 registrar accreditati presso ICANN, 400 siano finte aziende create solo allo scopo di aumentare le probabilità di vincita dei domini cancellati.
Tutto questo è degenerato ulteriormente quando qualcuno si è accorto di una clausola delle regole di registrazione, che prevede che un dominio .com appena registrato possa venire cancellato dal registrar entro i primi cinque giorni, ricevendo indietro tutti i soldi. La clausola era stata introdotta per gestire errori, tipicamente casi di impazzimento del software automatico che invia le richieste di registrazione dal registrar al registro. Eppure, ai domainers offre una possibilità fondamentale: quello di registrare il dominio, tenere su la paginetta di link per cinque giorni, vedere quanti click genera, fare un rapido conto e capire se vale la pena di pagare i sei dollari per tenerlo per un anno: domain tasting, appunto.
A questo punto, potendo provare, si può anche andare oltre i domini scaduti: ad esempio, registrare tutte le stringhe di caratteri disponibili, o tutte le combinazioni di parole del dizionario, per vedere se si scopre qualcosa che la gente tende a scrivere di propria volontà più di frequente della media, e cercare subito di farci sopra dei soldi.
Come risultato, sul totale delle registrazioni di domini .com, ormai circa il 95% sono relative a prove che durano cinque giorni, mentre meno del 5% sono registrazioni vere. E se cercate di comprare un dominio .com, state attenti: è probabile che sia libero oggi, ma magari sparisca domani, per poi tornare disponibile la settimana prossima, facendovi impazzire.
E quindi, qui ad ICANN, si discute se tutto questo abbia senso, o se perlomeno non si possono trovare modi più efficienti di gestirlo, e regole più sensate… per quanto a questi americani l’idea stessa di avere delle regole dia fastidio; ed è tutto un fiorire di difesa della concorrenza e libertà di innovazione commerciale.
Ma a me questa cosa fa soprattutto pensare che l’economia occidentale ormai ha perso qualsiasi contatto con la realtà : va bene il passaggio all’era dell’informazione, ma qui mi sa che si sta passando direttamente all’era dell’economia robotizzata, in cui soldi veri passano di mano per eventi computerizzati che non hanno, nel mondo reale, alcun vero valore o significato.