Quando portavamo gli scarponi
Oggi, dopo il primo consiglio comunale del nuovo mandato, a tenere banco è la polemica tra il M5S torinese e i No Tav, legata a un’improvvida solidarietà alle forze dell’ordine, senza se e senza ma, espressa dal neo presidente del consiglio comunale Versaci. Io ne parlo ormai da ex, e inevitabilmente mi è venuta in mente questa foto.
Risale al 30 maggio 2011, il mio primo giorno di cinque anni fa nel palazzo comunale, il giorno in cui mi presentai con giacca, cravatta e gli scarponi sporchi del fango di Chiomonte. Perché uno – persino uno come me, che certo non può essere accusato di simpatie per i centri sociali e per chi attacca le forze dell’ordine per linea “politica” – può entrare nel palazzo senza per forza rinnegare chi è e da dove viene, senza nascondere la verità delle cose, la ragione e il torto che raramente stanno da una parte sola; e quando gli chiedono di parlare, senza venire meno al doveroso rispetto per le istituzioni e per chi le serve, ma senza nemmeno tacere i loro errori e le loro contraddizioni, può anche dire cose come quelle che dissi io nella prima seduta dello scorso consiglio, il 27 giugno 2011, e che riporto qui per futura memoria.
“Vorrei parlare anche di quanto è accaduto questa mattina, perché noi eravamo presenti (non solo noi, c’era anche il Consigliere Curto ed altri amministratori della Val di Susa). Il consistente drappello di amministratori locali non era lì per fare confusione, ma come forza di interposizione, cioè ci siamo messi tra i manifestanti, dietro, e la polizia che doveva arrivare dal davanti di queste barricate, cercando di far ragionare la gente per provare, perlomeno, a creare all’ultimo momento un minimo di dialogo ed evitare il peggio, che, poi, si è verificato puntualmente. Devo sottolineare che si è verificato puntualmente perché non vi è stata possibilità di dialogo da parte delle Forze dell’Ordine, nel senso che avevano l’ordine di entrare a qualunque costo e sgomberare tutto. Di conseguenza, non c’è stato modo di evitare quanto è accaduto, che non è stato soltanto lo scambio di “piacevolezze” di oggetti lanciati (sicuramente da entrambe le parti, tutto quello che volete), ma ho testimoniato personalmente il fatto di essermi trovato in un piazzale con circa 2.000 persone letteralmente bombardate di decine e decine di lacrimogeni e costrette a correre verso l’unico lato che gli era stato lasciato a disposizione, cioè quello dei monti, arrampicandosi in mezzo alle rocce e ai boschi; tra l’altro, il flusso di lacrimogeni è continuato anche dopo che il piazzale – che era l’obiettivo della liberazione, come è stata chiamata – era già stato liberato.
Quindi, a missione compiuta, le Forze dell’Ordine hanno ritenuto di dover continuare a spingere la gente contro le rocce e, ovviamente, ho visto persone farsi male, svenire, vomitare per i lacrimogeni e ragazzi con la testa spaccata; questi fatti sui giornali non sono stati pubblicati e non verranno pubblicati, per questo motivo le voglio dire in questa sede, e, ovviamente, ci saranno i video che circoleranno sulla rete e, anche in questo caso, ognuno vedrà quello che vuole vedere.
Come prendere questa situazione? Abbiamo cercato in tutti i modi di mettere un elemento di ragione in questa discussione, di razionalità di dati e di analisi, ma purtroppo non ci siamo riusciti. Siamo arrivati al punto in cui adesso in Val di Susa ci sono decine di migliaia di persone (non so se siano la maggioranza o la minoranza, ma comunque è sicuramente una parte molto consistente degli abitanti della Val di Susa) che non si sentono più cittadini italiani e che hanno vissuto l’arrivo dell’Esercito e della Polizia come un esercito straniero, accogliendoli cantando l’Inno nazionale e “Bella ciao”. Quindi, indipendentemente dal fatto che uno possa concordare o meno con questa visione, abbiamo una parte della popolazione del Piemonte che non si sente più parte di questo Stato e che reagirà di conseguenza, perché quello che vedete qui davanti è soltanto l’antipasto; non capisco come si possa continuare a pensare di costruire quest’opera con vent’anni di Intifada in Val di Susa, perché succederà esattamente questo. Questo è il bel risultato della politica piemontese degli ultimi vent’anni.
C’erano comunque numerosi amministratori ed esponenti politici in questa manifestazione e anche l’altra sera sono intervenuti esponenti di tre diversi movimenti politici, compreso il Segretario nazionale di Rifondazione Comunista, per cui non si può neanche dire che fosse una manifestazione di quattro gatti estremisti, anarchici od insurrezionalisti; è stata una manifestazione politica di un raggio discretamente ampio di forze, con idee anche diverse tra loro, che, alle quattro del mattino, è stata accolta con la violenza ed è stata dispersa con la violenza.
È questa la democrazia? Onestamente, oggi siamo venuti qui con l’idea di non partecipare a questo Consiglio Comunale, perché se questo è il modello di democrazia che vige, allora non ci sentiamo parte di questa democrazia. Dopodiché abbiamo fatto un ragionamento e, per senso di responsabilità verso le Istituzioni, siamo presenti e abbiamo fatto il nostro discorso. Siamo molto dispiaciuti dell’evoluzione che hanno preso le cose, ci dichiariamo indisponibili a gestire questa situazione, che non è più gestibile dal nostro punto di vista. Di conseguenza, non ci assumiamo la responsabilità delle conseguenze dell’azione che è stata fatta questa mattina, se ne assumerà le conseguenze il Sindaco e tutti gli altri politici che hanno scelto di percorrere questa via.”
Commenti disabilitati su Quando portavamo gli scarponi