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Archivio per la categoria 'VitaDaToro'


martedì 15 Novembre 2011, 18:50

Del Filadelfia e di piazza Grande Torino

So che a molti non piace il calcio, e lo considerano un passatempo per lobotomizzati e violenti. Spiace; in realtà nel mondo del calcio viene riflesso quello reale, e dunque c’è anche molto di buono.

Negli ultimi giorni, in particolare, si sono susseguite parecchie buone notizie relative alla comunità di spiriti che vive attorno alla squadra di calcio cittadina. Parliamo innanzi tutto della ricostruzione del Filadelfia, un pezzo di storia e di anima; la relativa fondazione, avendo (quasi) risolto le ultime formalità burocratiche relative all’adesione degli enti locali, ha pubblicato il bando del concorso di idee per il progetto del nuovo stadio. C’è stata un po’ di discussione relativamente al requisito, peraltro già in parte previsto nello statuto, di ricostruire la tribuna com’era una volta, il che parrebbe escludere progetti avveniristici ma suggestivi come questo. Comunque, se qualche architetto volesse cimentarsi col tema (la scadenza è il 10 febbraio 2012) è il benvenuto… raccomando soltanto di documentarsi su storia, mito e simboli dell’impianto.

Nel frattempo, il Museo del Grande Torino – che da qualche tempo si trova a Grugliasco, visto il disinteresse delle istituzioni cittadine – organizza una mostra sulla curva Maratona e sul leggendario tifo granata; l’ingresso è gratuito ma il museo, gestito da volontari, è aperto solo nel fine settimana. Naturalmente si potrebbe paragonare il numero di visitatori di questo piccolo museo autogestito con quello delle tante istituzioni culturali ampiamente foraggiate con fondi pubblici, ma oggi siamo buoni e non vogliamo infierire.

L’ultima notizia è che si è sostanzialmente concluso l’iter per la grande ristrutturazione toponomastica attorno agli stadi, un argomento che ha appassionato i calciofili torinesi per alcuni mesi. Infatti lo stadio Juventus, appena entrato in funzione al posto del vecchio Delle Alpi, si trova tuttora in una strada intitolata al Grande Torino; la società bianconera, pur riconoscendo il valore storico e culturale della squadra perita a Superga, ha suggerito che fosse più opportuno spostare tale intitolazione vicino allo stadio Olimpico, dove gioca il Toro, assegnando alla via del suo stadio un nome neutro tipo “viale Continassa”.

A quel punto si è inserito il PDL, che ha proposto invece di intitolarlo alle vittime dell’Heysel; la società bianconera però aveva già in programma di dedicare loro un monumento e un giardino nelle vicinanze dello stadio; e allora ci si è accordati per chiamare la strada corso Gaetano Scirea.

In queste dinamiche mi sono inserito anch’io, cogliendo al volo l’occasione per chiedere di intitolare piazza Grande Torino il tratto di strada antistante la curva Maratona, ossia il tratto pedonalizzato di corso Sebastopoli, riprendendo una proposta ampiamente circolata tra i tifosi negli scorsi anni, e sostenuta anche da una petizione con centinaia di firme.

piazza_grande_torino_544.png

Il problema era che un anno fa quel tratto era stato intitolato – anche se mai inaugurato – a Erminio Macario, che peraltro con lo stadio non aveva granché a che fare, anche qui dimostrando il solito spregio per le richieste della tifoseria granata. Il presidente del consiglio comunale è stato tuttavia così disponibile da attivarsi per concordare con la famiglia di Macario una nuova e più consona posizione, antistante al Teatro Ragazzi, e così, grazie anche al sostegno di tutta la maggioranza, alla fine abbiamo fatto contenti tutti: piazza Grande Torino davanti allo stadio Olimpico, corso Gaetano Scirea davanti allo stadio Juventus, piazzetta Erminio Macario davanti al Teatro Ragazzi. E per accontentare anche voi anticalciofili, dato che a Scirea in realtà era già stata intitolata una via a Mirafiori Sud e non la si poteva lasciare, si è deciso di cambiarle il nome in via Ludovico Geymonat, filosofo e scienziato. Più intellettuale di così…

So che adesso quelli a cui all’inizio non piaceva il calcio si saranno anche lamentando per la quantità di tempo dedicata a queste quisquilie – che però, lasciatemi dire, sono in grado di mobilitare fette di cittadinanza molto più consistenti di qualsiasi battaglia ambientalista o antispreco, e dunque è giusto che la politica si occupi anche di esse. La toponomastica è sempre argomento che scalda gli animi; per fortuna, almeno per un po’ non dovremmo occuparcene più.

P.S. E sì, nonostante le due richieste due di intitolare una via o un giardino a Steve Jobs, abbiamo soprasseduto; resta vigente il mio commento, “lo faremo se in cambio Apple ci paga il wi-fi libero”.

[tags]toponomastica, calcio, toro, filadelfia, grande torino, museo granata, steve jobs[/tags]

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martedì 7 Giugno 2011, 11:00

Una cosa seria, una no

Il calcio, si sa, è una cosa grave ma non seria: basta vedere il Paolo Tramezzani (non a caso ex calciatore) che commenta l’evidente manovra del portiere che si è giocato la partita e deve far pareggiare gli avversari come “lo conosco, è un ragazzo professionista molto serio”.

La cosa seria dunque sta sugli spalti, e per questo vi giro l’appello che sta circolando tra i tifosi per una bimba granata di Milano rapita dal padre e portata in Tunisia: il problema è ottenere l’interessamento del Ministero degli Esteri, l’unico che può fare qualcosa, e il solo mezzo a disposizione di questi genitori è la pressione pubblica; chiedono dunque di inviare alla segreteria del ministro Frattini ( ministrofrattini.segreteria@cert.esteri.it ) una mail in cui si sollecita un intervento:

OGGETTO: RICHIESTA URGENTE VS. INTERVENTO – SEQUESTRO MINORE

PER FAVORE INTERVENITE URGENTEMENTE CON OGNI VOSTRO MEZZO PER RIPORTARE A CASA LA PICCOLA MARTINA DI CITTADINANZA ITALIANA DI SOLI 2 ANNI CHE E’ STATA SEQUESTRATA E PORTATA ILLEGALMENTE IN TUNISIA DAL PADRE BIOLOGICO. CONTATTO: Avvocato Lucio Levi – Albo di Como.

Nel frattempo, in campo, continuano le cose poco serie; diamo così il benvenuto al decimo allenatore dell’era Cairo, quindicesimo se si contano i ritorni, ovvero Giampiero Ventura. Siamo in grado di mostrarvi in esclusiva le immagini di come è stato selezionato il nuovo allenatore: godetevele.

[tags]toro, calcio, serie b, calcioscommesse, tramezzani, ventura, cairo, allenatori, rapimento[/tags]

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sabato 19 Marzo 2011, 22:12

Quando il Toro vince

C’è chi dice che anche oggi il Toro abbia perso; chi lo dice non ha capito bene cos’è il Toro. Per spiegarvelo almeno un pochino, devo prima raccontarvi la storia di Simone Stara.

Simone è un ultraseduto; ultrà e seduto, forse il più noto di Torino. E’ presidente onorario del Toro Club Tori Seduti, e se ancora non aveste capito vi raccomando, prima di continuare, di leggere una paginetta; è la storia di Simone raccontata da Simone stesso, una storia tanto semplice che avrebbe potuto capitare in sorte a chiunque di noi.

Una storia così è inevitabilmente una storia da Toro, e non solo nella passione per lo stadio, un ambiente dove società e forze dell’ordine generalmente non hanno la minima considerazione per le esigenze delle persone a mobilità ridotta, costringendo Simone e i suoi amici a lottare contro il mondo per avere la possibilità di stare in curva invece che nei distinti, o un parcheggio non situato a chilometri dall’ingresso; per non parlare delle trasferte della serie B, quasi sempre dirette verso stadi paleolitici dove gli altri tifosi li devono trasportare a braccia su per rampe di scale di cemento sbriciolato, nell’indifferenza di steward e poliziotti.

Simone lotta anche contro la sanità pubblica, contro la scelta di tagliare tutto a tutti per non toccare sprechi, privilegi e margini di guadagno di pochi. Forse Simone potrebbe ricominciare a camminare, se soltanto potesse avere accesso alle cure di cui ha bisogno; ma le cure costano molto e la sanità piemontese si rifiuta di pagargliele.

A questo punto, la storia di Simone si incrocia con la storia del Torino FD; una delle prime esperienze italiane di società calcistica per atleti disabili, naturalmente uniti anche dalla fede granata. Da poco più di un anno, questi ragazzi si realizzano nel calcio; e così è nata l’idea di un torneo benefico, con il coinvolgimento delle squadre per disabili di Barcellona, Chelsea e Monaco.

Il torneo è iniziato questa mattina, allo stadio Primo Nebiolo del Parco Ruffini; l’ingresso è a offerta libera e il ricavato andrà a finanziare le cure di Simone. Oggi il Torino FD ha vinto le prime due partite del girone; domani mattina si gioca l’ultima, e poi alle 15,30 la finale tra le prime due classificate… sperando in una vittoria finale dei granata!

C’è dunque anche un Toro che vince, ed è quello che importa veramente. Chi frequenta il calcio solo di striscio spesso non capisce perché gli siamo così attaccati, perché passiamo il tempo dietro a un mondo fatto apparentemente solo di miliardari in mutande, di mafie di ogni genere, di code e perquisizioni sotto il sole, di soldi in quantità disgustosa. Bene, ora forse lo sapete; è perché lo spettacolo vero nel calcio di oggi non è più sul campo, ma sugli spalti; è nei cuori delle persone per cui il calcio è soprattutto, nonostante tutto, una scusa per una fratellanza che dura una vita.

[tags]calcio, toro, serie b, disabili, ultras, simone stara, torino fd[/tags]

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sabato 5 Febbraio 2011, 23:43

Emiliano alzaci la sedia

Sui forum, si sa, bisogna dotarsi di un avatar – di una immagine che identifichi i propri messaggi. In genere io tendo a mettere la mia foto, non per narcisismo ma perché permette una delle operazioni più difficili, identificarsi quando ci si incrocia infine nella vita reale. Però ogni tanto una immagine simbolica ci sta, e ormai da parecchi mesi il mio avatar su Forzatoro.net, fabbricato da me medesimo ritagliando una foto di repertorio, è questo:

avatar_sedia.jpg

Se siete tifosi del Toro, sapete cos’è. Se non siete tifosi del Toro, vi devo spiegare che questa foto riassume e rappresenta la vita. E’ Emiliano Mondonico, allora allenatore del Toro, nella finale di ritorno della Coppa Uefa 1991-1992, ad Amsterdam contro l’Ajax; una partita stregata, in cui il Toro mancò di un soffio l’unica, epica, storica occasione di conquistare una coppa europea, colpendo pali e subendo torti e disgrazie di ogni genere.

All’ennesimo episodio sfortunato, dopo un rigore clamoroso e negato, Mondonico ebbe uno di quei lampi di genio che ti aprono le porte della storia: prese la sedia pieghevole su cui stava seduto (non le poltrone avveniristiche e griffate di oggi) e la sollevò sopra la testa, per dire che il destino era cinico e baro, ma lui comunque non avrebbe mollato; che si può arrivare a un passo dalla vittoria e venire beffati e rimandati all’inferno, ma che questo non è un motivo sufficiente per non continuare a provare.

Aspetteremo vent’anni, cinquanta, non importa: ognuno di noi prima o poi nella vita attende un ritorno ad Amsterdam. Lo attende il Toro, perso in un tunnel di progressivo disfacimento che non sembra avere fine. Anche Mondonico non è più tornato ad Amsterdam; ha proseguito un’onorata carriera in cui ha sempre e regolarmente fatto miracoli con squadre di provincia, assemblate con due soldi e tanto cuore. Anche all’Albinoleffe ha fatto benissimo, fino alla scorsa settimana, in cui improvvisamente ha annunciato un ritiro temporaneo per gravi motivi di salute.

Qualche giorno fa Mondonico è stato operato, l’operazione è andata bene, ma la convalescenza è tutta da superare. E allora, in una di quelle cose che solo noi pazzi granata possiamo fare, un centinaio di tifosi questa mattina si è ritrovato al Fila, ognuno con una sedia pieghevole. Le abbiamo alzate e abbassate più volte cantando cori per lui. Le foto scattate gli saranno consegnate presto, e poi c’erano le telecamere e oggi le immagini hanno fatto il giro dei telegiornali sportivi, insieme ai cori e agli striscioni che tutto lo stadio gli ha dedicato durante la partita. Speriamo che gli diano forza; ci sembra il minimo, per una persona che tramite lo sport ha insegnato a migliaia di ragazzi, me compreso, a non rassegnarsi mai alla perfidia del destino.

mondosedia.jpg

(la foto, da Facebook, è dall’album di Mario Viretti)

[tags]toro, mondonico, albinoleffe, ajax, fila, sedia, destino[/tags]

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venerdì 21 Gennaio 2011, 22:43

Vogliamo il Filadelfia

Oggi pomeriggio, una delegazione di tifosi granata ha incontrato l’assessore allo Sport del Comune di Torino per discutere dell’atto costitutivo della Fondazione Filadelfia, che ormai da tre anni gli enti pubblici si sono impegnati a creare per gestire insieme al Torino FC e alle associazioni dei tifosi la ricostruzione del glorioso stadio Filadelfia – per i tifosi del Toro, semplicemente “il Fila”.

Non si tratta tanto di una questione di tifo, ma di storia: lo stadio Filadelfia è un monumento dello sport nazionale, essendo il campo di gioco del Grande Torino perito nella tragedia di Superga. E’ un luogo assolutamente speciale persino non essendoci più; e per questo vi posso rimandare a qualche articolo del passato, ma soprattutto invitarvi a farci un giro (molti torinesi nemmeno sanno dove sia).

Costruito nel 1926, usato fino al 1963 per la Serie A e fino al 1993 per le giovanili granata (qui un gol di Christian Vieri al Filadelfia), lo stadio viene abbattuto nel 1998 – a parte alcuni moncherini di tribuna – dopo anni di parole al vento e di degrado, con la promessa di ricostruire immediatamente un impianto moderno in cui ospitare allenamenti, giovanili, foresteria, sede e museo del Grande Torino. In realtà, l’area (semicentrale) fa immediatamente gola a speculazioni edilizie di vario genere: palazzine e supermercati.

Per oltre dieci anni i tifosi si organizzano per salvare il loro monumento: puliscono il terreno, tagliano le erbacce, lo mantengono dignitoso e allo stesso tempo combattono con petizioni e manifestazioni i tentativi di speculazione. Buona parte dei soldi per ricostruirlo ci sarebbero, in quanto prima del fallimento del Torino Calcio di Cimminelli era stata posta a garanzia della ricostruzione una fidejussione di 3,5 milioni di euro che il Comune ha potuto incassare; inoltre vi è un impegno della società Bennet a versare un milione di euro per urbanizzazione e viabilità dell’area, in cambio del supermercato costruito nell’isolato adiacente già da alcuni anni.

Nonostante il Comune sia prontissimo a spendere soldi o a offrire condizioni di favore per impianti ben meno utili o sentiti dalla popolazione, dall’Arena Rock (5 milioni di euro, mai usata per un concerto) al recentissimo “stadio del curling”, per il Filadelfia le cose non si sbloccano mai. Nel 2008 il Comune si impegna a costituire con altri enti pubblici, la società e i tifosi una fondazione ad hoc, per gestire la ricostruzione con i fondi suddetti; ma continuano ad apparire problemi burocratici di ogni genere.

Dopo tredici anni di buio e tre anni dall’ultima promessa, i tifosi si radunano sotto il Comune per chiedere che venga costituita la Fondazione Filadelfia prima che il consiglio comunale venga sciolto per le prossime elezioni. Qui sotto potete vedere com’è andata.

[tags]toro, stadio filadelfia, fila, comune, sport, calcio[/tags]

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lunedì 13 Dicembre 2010, 11:50

La manata

Se una immagine vale più di mille parole, poche immagini secondo me sono più efficaci per esemplificare lo stato attuale dell’Italia di quelle del gol di Biancolino grazie a cui il Cosenza ieri pomeriggio ha espugnato il campo del Foggia. Il portiere rossonero para facilmente un cross innocuo e si appresta a rinviare, quando l’attaccante del Cosenza, notando che l’arbitro si è girato ed è di schiena mentre riprende a correre verso il centro del campo, tira una manata al pallone che sta tra le braccia del portiere; il pallone finisce per terra e l’attaccante può così tranquillamente infilarlo in porta. L’arbitro era girato e non ha visto niente, vede solo la palla che entra in rete e convalida il gol.

In campo è scattata la rissa (si vede anche nel servizio del TGR); tutti hanno chiesto a Biancolino di ammettere il fallo, ma lui ha risposto “chi, io? no no, tutto regolare”… salvo poi confessare a partita finita davanti ai giornalisti.

Molti commentatori sportivi hanno scritto che Biancolino “ha mestiere”, che è un “attaccante esperto”. Ma no: è semplicemente un ladro. Eppure anche i commenti della gente fanno cascare le braccia. Dal lato foggiano è un coro di “arbitraggio scandaloso”; eppure, è vero che ha sbagliato l’arbitro a fidarsi nel convalidare un gol che non aveva visto segnare, ma la colpa primaria non è dell’arbitro che deve far rispettare le regole, ma di chi le ha violate. Dal lato cosentino la partita viene riassunta così:

“Il Cosenza espugna lo Zaccheria e batte il Foggia per 1 a 2. con una doppietta di Biancolino, una delle quali contestate. Grande partita con tre occasioni da rete nitide per il Lupi mangiate al 15′ con Roselli, al 43′ Con Mazzeo, al 76′ con Mazzeo e al 93 con A. Fiore. contro l’unica del Foggia.”

A parte l’italiano un po’ così, una rete evidentemente irregolare diventa “contestata” (mai ammettere la colpa, in nessun caso) e comunque c’erano “tre occasioni da rete nitide”, come a dire che rubare un cellulare va bene se è un po’ che si provava a comprarlo senza riuscirci.

Non ci vuole una analisi di Rodotà (che pure, essendo la sua città, per il Cosenza tifa) per capire che il problema dell’Italia non è Berlusconi, ma il berlusconismo che ci è entrato nella testa, sdoganando quel carattere furbetto e arrogante che è sempre stato italico ma che una volta veniva controllato dalle convenzioni borghesi. Stiamo attenti, perché è dentro di noi, inculcato da un ventennio di disastro culturale, e cerca sempre disperatamente di uscire.

[tags]calcio, arbitro, foggia, cosenza, biancolino, furto, regole, berlusconi, rodotà[/tags]

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mercoledì 13 Ottobre 2010, 11:14

C’è amore in Europa

Penso che ormai sia chiaro che gli incidenti di ieri sera allo stadio di Genova (qui le immagini delle cariche nel piazzale di Marassi) hanno poco a che fare col calcio, e molto a che fare con la politica interna della Serbia, dove i nazionalisti all’opposizione cercano di far cadere il governo, favorevole all’integrazione nell’Unione Europea, destabilizzando lo Stato e rinfocolando l’odio etnico. Si potrebbe parlare quasi di “marcia su Genova”, come seguito degli scontri violentissimi con cui queste stesse persone tre giorni fa hanno cercato di impedire il gay pride di Belgrado. Ovviamente quanto successo ieri era ampiamente prevedibile e c’è da chiedersi come mai non sia stato prevenuto; la cosa più interessante per me però è stata leggere i commenti “dal basso” a questo video su Youtube, il primo pubblicato ieri sera.

Il sentimento di base è, ovviamente, quello di amore e amicizia per il popolo serbo:

SERBI DEL CAZZO AL ROGO!!!!!!!!!! FANCULO A TUTTA LA SERBIA E A TUTTI GLI EXTRACEE ROMPI CAZZO COME VOI!!!!!!!!!!!

Nessun Italiano si è cagato sotto porci comunisti schifosi!!!!! Dateci modo di scannare questi bastardi e vi assicuro che li affoghiamo nel loro sangue. P.s. Non hanno nessun diritto di essere di destra l’unica destra al mondo è quella italiana fascista!!!

hahahahhahaa a poveri pezzenti senza coglioni meno male che vi dobbiamo dimostrare un cazzo visto che ogni tanto qualche essere proveniente dal vostro Est Europa del cazzo lo togliamo di mezzo definitivamente, ladri magnaccia voi e succhiacazzi le vostre donne ma che campate a fare aveva ragione quel signore con i baffetti a bruciarvi…. A ZINGARI CORNUTI DATEVI IN CULO. Poi piangete sui TG io no cativo…io lavora io fame ma morite a merde.

Che razza da eliminare, questi nascono proprio cani…. L’est europa andrebbe cancellato, tanto so tutti uguali se ne salva 1 su 10 schifosi.

torna a casa tua stronzo , in italia non c’è posto per voi, il mio sentimento per la serbia è come il sentimento che aveva hitler per gli ebrei , serbi tutti nei forni

Riaprite auschwitz per sti cazzo di zingari serbi, voterò anche il berlusca se serve

CACCIA AL BERSAGLIO CON LO ZINGARO BASTARDO! (due “mi piace”)

QUEL COGLIONE CHE POI FACEVA IL SALUTO ROMANO!!!!!!!!!!!!!!! SE SI RIVOLTAVA ADOLF DALLA TOMBA LO BRUCIAVA VIVO!!!!!!!!!!!!!!!!! CHISSA I MEDIA DELLA TV TEDESCA QUANDO VEDEVANO QUEL VIDEO COME SE LA RIDEVANO QUANDO VEDEVANO QUELL’HANDICAPATO FACENDO IL SALUTO ROMANO POI FAI IL SALUTO ROMANO CONTRO GLI ITALIANI?????? CHE POPOLAZIONE COMICA IL SERBO SONO IO SERBO RAZZA INFERIORE CHE SONO RAZZISTA CON TE NON TU CON ME!!!!!!!!!!!!!!!!!

la razza serba una razza di bastardi tutti figli della stessa puttana

Alcuni si spingono poi ad approfondire il vero problema della giornata: dove sono gli ultrà genovesi? Nelle logiche ultrà, ieri i supporter di Genoa e Sampdoria hanno fatto una figura di merda gigantesca: non esiste che una tifoseria ospite di qualsiasi genere venga a “spadroneggiare” nel tuo stadio e nella tua città. Infatti, durante la serata, un centinaio di ultrà delle due squadre, messe da parte le rivalità, si sono radunati davanti allo stadio in attesa dei serbi, finché la Digos non li ha fatti andar via. Dunque ci sono decine di commenti come questi:

bastardi rom del cazzo!se questa partita si fosse giocata al massimino di catania li avremmo massacrati a sti 4 pagliacci.

al nord italia questi fanno il cazzo che vogliono…sarebbero scesi da roma in giù non dico che le prendevano ma almeno gli si teneva testa

VERGOGNA! LO STADIO MARASSI LASCIATO IN MANO AGLI ZINGARI SLAVI….VERGOGNA! DOVE CAZZO STANNO GLI ULTRAS GENOVESI…DOVE CAZZO STANNO…

STE MERDE… SOLO LE LAME SOLO LE LAME SOLO LE LAME I SERBI SOLO CON LE LAME A ROMA NON FACEVANO TANTO I CAZZONI STE MERDE!!!

A NAPOLI SI DIREBBE..I SERBI HANNO FATTO I GALLI N’COPP A MUNNNEZZA! CIOE’ HANNO FATTO CASINO IN UN POSTO TUTTO SOMMATO TRANQUILLO DOVE C’ERANO PERSONE PERBENE E CIVILI……..MA UNA COSA LA DEVO DIRE SE QUELLI LI ERANO A NAPOLI ERANO PROPRIO A CONTATTO CON LA CURVA A, CHE SIGNIFICA CAMORRA E DELINQUENZA E LI CI SCAPPAVANO TANTI MORTI SAREBBERO CORSI A PIEDI IN SERBIA….ANZI A NUOTO!

Questi commenti sono insomma sulla falsariga di “genovesi codardi che non avete difeso il suolo patrio, a Roma / Napoli / Bari / Catania noi li avremmo menati e accoltellati senza tante storie”.

Seguono poi, in misura minore, i commenti di esaltazione per lo spirito libero dei tifosi serbi:

Grande lezione serba di come vanno affrontati i poliziotti,perchè quando un’italiano di 55 anni che paga le tasse protesta con un manifesto in mano,e un fischietto in bocca,la pula il fischietto glielo fa ingoiare e il manifesto glielo ficca in quel posto a suon di manganellate.I serbi hanno ottenuto la loro tanto biasimata sospensione della partita in 2 ore,mentre noi in mesi e mesi di proteste,abbiamo preso solo mazzate.

Onore alla serbia,almeno hanno le palle;qua siamo invasi da parassiti che portano al degrado e nessuno si ribella,la violenza fa pure bene al calcio!

A questo punto appare un serbo (per correttezza, ce ne sono anche altri che si sono scusati e vergognati) e reagisce così:

ITALIA DI MERDAAA!!!!!!!SIETE TUTTI FIGLI DI PUTTANA,CAGASOTTO,DITE TANTO CHE SIAMO ZINGARI E BISOGNEREBBE AMMAZZARLI,…DAI VEDIAMO SE AVETE I COGLIONI,SAPETE SOLTANTO PARLA FOTTUTI ROTTI IN CULO,SCHIAVI DI BERLUSCONI E DI QUESTO STATO DI MERDA,L’UNICA COSA CHE SAPETE FARE è MANGIARE LA PASTA E LA PIZZA,SIETE UN POPOLO DI SCHIAVI E DI CAGASOTTO,DI FRONTE HA UNA CAZZATA DEL GENERE TUTTI A DIRE DI STERMINARE DI AMMAZZARE,E QUANDO C’E QUALCOSA DI SERIO TUTTI INDIFFERENTI…. NEANCHE 200 ULTRAS SERBI,IL POPOLO ITALIANO SI è CAGATO NEI PANTALONI!!!MERDACCIE ANDATE A MANGIARE LA PASTA!!!SRBIJA ZAUVEK….JEBEM VAS VASU SMRDIVU MAJKU ITALIJANSKU!!!SVI ITALIANI STE PEDERI….SIETE TUTTI ITALIANI FINOCCHI DI MERDA!!!KOSOVO JE SRBIJA!!!cccc

Ma non è da solo, perché nel frattempo sono arrivati anche gli albanesi d’Italia a mettere in chiaro alcune cosette:

tu leone di tastiera all andata dai con tutta napoli a belgrado ke vi rispediscono a carne mascinata in nelalvostra discarica….il vero bastone per loro sono solo i albanesi perche non li metono mai nell grupo insieme questa di stasera era una risposta ai tifosi albanesi che hanno manifestato allo stadio di tirana albania etnica che cancella dalla fachia della terra la serbia.li bruchia perche la albania si sta fachendo grande..fuck gypsys serbs IL LOVE ALBANIANS

sollo noi albanesi conosciamo le bugie di questi zingari sollo noi riusciamo a farli abbassare la testa . ci hanno fregatto una volta , mai piu!

si certo i serbi sonno forti ,pericolosi,non conoscono la paura, non sapette cosa hanno fatto in guerra, io lo so cosa hanno fatto ,hanno ucciso donne, bambini ,vecchi a migliaia e gente che non si aspettava pugnalate alle spalle, ma quando si scontravano con l’UCK i serbi avevan i pantaloni bagnati perche sappevano che li avremo squartati da vivi come poi hanno fatto .

Per concludere, a un certo punto – dopo che è stato spiegato che il gesto delle tre dita fatto dai serbi si riferisce alla trinità e a “Dio, patria e zar, e non vuol certo dire “perdiamo tre a zero a tavolino” come hanno sostenuto i preparatissimi commentatori della Rai; e dato che nessuno ha capito che “zar” è il titolo onorifico dei re slavi di qualsiasi nazionalità e non vuol dire che i serbi amerebbero stare sotto i russi – arriva anche un povero russo e si dissocia:

Russia no centra con Serbia ignorante!fili bastardi sono tuoi no fili di mia Santa Madre Russia no permetere piu di parlare di Russia con Serbi per noi Russi Serbia puo brucciare domani noi siamo stanco soportare problemi di vostri Paesi.no potete parlare male di Russia anche in cosa che no centra Russi.basta

Che dire: l’integrazione europea ha un grande futuro.

P.S. Nel frattempo, fatemi esprimere la mia solidarietà al povero ciclista protagonista di una delle scene più buffe degli ultimi anni. Lui, però, non si sarà divertito.

[tags]calcio, ultras, nazionale, italia, serbia, marassi, genova, albania, russia, razzismo, fascismo, integrazione[/tags]

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martedì 21 Settembre 2010, 16:21

Brutti e cattivi

Nonostante le due vittorie consecutive, la contestazione a Urbano Cairo non si placa e anzi aumenta. Allo stadio sono sempre di più i tifosi che espongono sciarpe e bandiere color nero-oro, in ricordo dei primissimi colori sociali del Toro, come segno di attaccamento alle radici e disconoscimento dell’attuale gestione della società, e come invito a Cairo ad andarsene. E poi, dopo che qualche settimana fa un atto simile era avvenuto davanti alla sede sociale di via Arcivescovado, nella notte di domenica ignoti hanno imbrattato il portone e fatto esplodere un petardo davanti alla sede della Cairo Communications di corso Magenta 55 a Milano.

Vi è, in un certo senso, una coincidenza e insieme una concorrenza di azione tra due gruppi diversi: gli ultras con i petardi, i tifosi organizzati con i colori allo stadio. Non si sa dunque se l’atto di domenica sia stato un complemento o piuttosto una risposta alla crescente riuscita della protesta nero-oro, che viene da quei forum verso cui gli ultrà hanno sempre avuto un rapporto di scarsa fiducia, perché visti come ricettacolo di “leoni da tastiera” e di moralisti da strapazzo.

Anche ieri, comunque, i moralisti si sono fatti vivi, specialmente sul forum più favorevole a Cairo (per qualche forma di autoselezione, i forum si sono col tempo divisi; a grandi linee, su Forzatoro i tifosi più indipendenti e critici, su Toronews i residui adoratori di Urbano). E anche ieri sono partiti i pipponi, le dissociazioni, le critiche. Bisogna dire che sono partiti da una minoranza – anzi c’erano tanti tifosi che si lamentavano “tutto qui?” – ma sono partiti.

So che tirare un paragone tra questa vicenda e le contestazioni a Schifani non piacerà a molti: perché sono molti che criticano quelli che “scendono in piazza solo per una squadra di calcio” (ma ognuno sarà libero di scegliersi le proprie cause?). In realtà, la contestazione a Cairo è anche, esplicitamente, una contestazione al sistema (indipendente dai risultati calcistici, come dimostra la scelta dei tempi).

Cairo è il tipico presidente da pay-tv; un fenomeno mediatico basato sulle promesse mai mantenute e sulla manipolazione attenta della comunicazione. Cairo è il calcio moderno, quello in cui i conti sono finanziari prima che sportivi, quello in cui i campionati sono asserviti alle televisioni, dominati dalle stesse tre squadre e completati sempre più spesso da squadre-carneadi di ultraprovincia, inconsistenti e prive di tifosi, che hanno il solo merito di avere un patron dalle tasche profonde e con un paio d’anni di consenso pubblico da comprarsi. E’ il calcio sfibrato e virtualizzato da anni di politiche apparentemente assurde e invece mirate proprio a questo.

Capirete che sentire dunque parlare in questo caso degli ultrà “violenti, brutti e cattivi” lascia perplessi… intanto perché violenza non è stata, dato che al massimo si è scheggiato un portone. E poi, perché sembra che l’unico ruolo concesso al cittadino italiano pare essere quello di chinarsi e subire all’infinito, senza mai alzare la voce, limitandosi al massimo a qualche sfilata di piazza subito e completamente ignorata. E’ un messaggio che i tromboni di regime ripetono all’infinito e non per caso, ed è triste vedere quanti gli vadano dietro, confondendo la non-violenza con la mancanza di dignità e di coraggio nell’affermare le proprie idee, anche a costo di pagarne conseguenze economiche, legali e sociali in termini di ritorsioni (che da noi non mancano mai).

Che ciò avvenga per il calcio può far deprimere, e anche giustamente, chi si sbatte spesso da solo per cause più meritorie; ma preferisco comunque chi va a lasciare la sua scritta sul portone, anche per il pallone, a chi non solo subisce, ma critica pure chi ha il coraggio di contestare.

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lunedì 23 Agosto 2010, 16:24

Il calcio che dice basta

Stasera inizia per il Toro l’ennesima stagione in Serie B, dopo il disastro di quella scorsa, che ha visto il secondo peggior piazzamento di sempre nella storia centenaria del Torino.

Ovviamente io ci sarò, e ovviamente senza abbonamento; con un biglietto comprato l’altro giorno in Val d’Aosta, nell’unico punto vendita di tutta la regione, con due euro di diritto di prevendita da aggiungere ai dieci del biglietto.

Spero che non vi stiate chiedendo perché, dopo molti anni, non ho rinnovato l’abbonamento: dovreste già saperlo. I telegiornali sono pieni dei comunicati trionfali di Maroni sulla nuova “tessera del tifoso”, di cui questo blog ha già parlato sin dallo scorso autunno. Maroni vaneggia di miglior sicurezza e stadi per le famiglie, quando la realtà è che la gestione della sicurezza nel calcio italiano è sempre più approssimativa e improvvisata, e crea più pericoli di quanti ne risolva; vedi i racconti dell’anno scorso qui, qui e qui.

Per andare allo stadio non basta più farsi schedare in tutti i modi (i biglietti sono già nominativi da anni, non è certo la tessera che ci rende più identificabili, e se volevano rifiutarsi di vendere il biglietto ai diffidati potevano farlo già prima), né è sufficiente dover cercare il biglietto come in una caccia al tesoro e sottoporsi a perquisizioni e code sotto il sole; ora bisogna anche, almeno per l’abbonamento e per i biglietti del settore ospiti, sottoscrivere una fidelity card, che per la maggior parte delle società è anche una carta di credito revolving (anche se Cairo, con la sua Cuore Granata, almeno questa ce l’ha risparmiata… per ora), con la quale naturalmente verremo riempiti di monnezza pubblicitaria e spremuti ulteriormente.

Prego ammirare la grande trovata “a vantaggio della sicurezza”: se io non faccio la tessera, posso benissimo andare allo stadio; solo, devo comprare ogni volta il biglietto, pagando dunque nel complesso una cifra superiore. Non solo; se io non faccio la tessera, posso benissimo andare in trasferta; ma non nel settore ospiti. In pratica, grazie a questo provvedimento, da domani vi troverete gli ultrà più accaniti della squadra ospite non nel settore ospiti, dove potrebbero venire separati e controllati, ma in mezzo a voi negli altri settori dello stadio. Geniale vero?

Insomma, la tessera del tifoso è una presa in giro; a me e a tanti altri non sarebbe costato poi molto farla, ma abbiamo deciso di dire di no. Pagheremo il biglietto ogni volta, spenderemo di più, non importa: è un sacrificio concreto per dare un segnale, per indicare il dissenso non certo degli ultrà e dei violenti, ma di tantissime persone perbene che hanno lo stadio come hobby e che sono stufe di venire vessate e criminalizzate.

Dall’estero piovono critiche, ad esempio quelle di Platini; gli abbonamenti sono calati mediamente del 20% rispetto allo scorso anno, nonostante varie curve si siano fatte “comprare” dalle società (per le tifoserie più grandi, fare l’ultrà, controllando la vendita di gadget e magliette, è un mestiere ben retribuito). Maroni sbraita, la tensione è altissima. Speriamo che ritorni in tutti un po’ di buon senso; anche se l’impressione è che pure su questo, come su tante altre cose, la politica sia interessata più agli slogan populisti e alle dimostrazioni di “celodurismo” che a risolvere i problemi.

Nel frattempo, è bene ricordare che da noi è in corso anche una contestazione a Cairo, in modo pacifico e originale: esporremo allo stadio, oltre al granata, anche i colori giallo e nero, i primi adottati dal Toro alla sua fondazione. Per chi ancora non sa cosa viene imputato a Cairo, c’è qui sotto un bel video: guardatelo e leggetelo con calma. Non si tratta certo di lamentarsi per non aver comprato questo o quel giocatore, ma per la gestione approssimativa e minimale della società.

[tags]calcio, serie b, toro, tessera del tifoso, ultras, maroni, viminale, cairo, contestazione[/tags]

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venerdì 25 Giugno 2010, 20:11

La solitudine del numero dieci

Quando io ero bambino, il calcio era un’altra cosa. Il calcio era una festa, perché si giocava di domenica pomeriggio, allo stadio in piedi sotto il sole, o attaccati alla radiolina di casa, o passeggiando al Valentino, fermando tutti i passanti ogni minuto per chiedere se per caso il Toro avesse già segnato. Il calcio era una festa perché era uno spettacolo, perché c’erano decine di migliaia di persone che sospiravano all’unisono, e magari non avevano la coca cola in braccio e il posto preassegnato col seggiolino ottimizzato a forma di culo, e nemmeno lo schermo piatto per rivedere a casa ogni scaracchio in super-slow-motion, ma avevano il sole, il cielo e la speranza di un gol e di qualcuno che costruisse per loro un mondo migliore.

E avevano il numero dieci: tutte le squadre che valessero qualcosa avevano un numero dieci, o se non era un dieci era un sette o un sei o un undici, ma era un giocatore diverso dagli altri. Uno che con la palla faceva le magie, uno che con la palla faceva sognare; uno che da solo valeva il prezzo del biglietto. Uno che faceva cose che nessun altro giocatore in campo, anzi nessuna altra persona al mondo era capace di fare, come, che so, ribaltare in un attimo il risultato di una guerra – una guerra vera, con morti e feriti – con un semplice pugno alzato verso il cielo nel secondo preciso del destino.

Il numero dieci era un artista e spesso giocava da solo; nei casi più estremi, i compagni si limitavano a passargli la palla e ad aspettare che facesse lui. Era un privilegiato, spesso antipatico come pochi; fuori dal campo, non di rado tagliava gli allenamenti, si faceva di coca e sparava ai giornalisti. Anche quando era più morigerato, era comunque un diverso; oggetto di ammirazione ma anche di invidia (dei compagni) e di odio (degli avversari). Del resto l’approccio italiano per marcare i numeri dieci era quello di spaccargli le gambe ad ogni occasione sin dal primo minuto: Gentile e Bergomi conquistarono la fama picchiando Maradona. E se un giocatore qualsiasi può sempre vivacchiare e passare la palla, il numero dieci era maledetto a fare miracoli per contratto: o stupiva o falliva.

Poi, vent’anni fa, nel calcio arrivarono Sacchi e Berlusconi, e condannarono i numeri dieci all’estinzione. Il genio divenne un optional, sostituito dagli steroidi, dagli schemi scientifici, dagli allenatori col portatile. Decenni di frustrazione del resto del mondo vennero alla luce: ma perché privilegiare uno più degli altri, ma perché dipendere da una persona sola. Dipendere dall’individuo è sbagliato, noi vogliamo il sistema, il calcio industriale, l’investimento a ritorno garantito; il giocatore dal rendimento mediocre ma costante, il gioco pianificato a tavolino e proprio per questo prevedibile ma certo. Il tifoso schedato e ridotto a numero, con la sua maglietta rigorosamente ufficiale e coperta da copyright, uguale a tutte le altre, che canta l’inno previsto dall’azienda di marketing, in vendita su CD al supermercato e pronto ad essere sostituito da una canzone nuova l’anno dopo, ché l’economia deve sempre girare.

Nel calcio e nella vita, i numeri dieci sono una specie ormai estinta. Non è che non ne nascano più, ma il genio gli viene sradicato a bastonate proprio come una volta si costringevano i mancini a usare la destra. A seconda degli investimenti nella pianificazione industriaale del giocatore e della forza aziendale di chi li possiede, o diventano dei bovini gonfiati come Del Piero, o diventano dei falliti come Pinga e Rosina. Se provano un dribbling, tutti si incazzano: “e passa quella palla!”.

C’è oggi, nel calcio e nella vita, la retorica della squadra. Il gioco di squadra, il collettivo, l’organizzazione, l’egualitarismo. Una volta erano valori che associavamo ai freddi paesi del Nord o ai formicai dell’Oriente, restando orgogliosi dell’inventiva e della creatività italiana, su cui si basavano le nostre fortune e le nostre glorie sin dai tempi di Dante e di Leonardo. Ma anche da noi, ora, l’individuo più dotato o più fortunato della media è visto con intrinseco fastidio.

La squadra è importante, da soli non si può fare tutto; ma neanche tutti possono fare tutto. Un italiano medio, preso a caso per strada, non può scrivere la Divina Commedia; è già tanto se sa scrivere un SMS. Nemmeno dieci italiani possono scrivere la Divina Commedia. E’ molto, molto improbabile che anche un milione di italiani, persino se ben organizzati in una struttura pianificata, possano scrivere la Divina Commedia. Dante, lui sì, poteva scrivere la Divina Commedia. Probabilmente come centravanti faceva cagare, e magari come persona era uno stronzo di prima categoria; ma nel suo briciolo di genialità poteva fare qualcosa che pochi altri, forse nessuno, avrebbero potuto fare, e con questo segnare il futuro della sua nazione a vantaggio di tutti.

In Italia, la retorica della squadra dà il peggio di sé; è diventata una esaltazione della mediocrità. I nostri numeri dieci, per salvarsi, sono tutti all’estero; a scoprire la cura del cancro in una Università americana o ad aprire gelaterie in Cina. L’Italia, un paese socialista intrappolato alla periferia del Vaticano, ha imparato velocemente a disfarsi del talento: perché conviene a molti. Conviene ai mediocri, ai raccomandati, ai piacioni e ai maneggioni, ai numeri due e cinque e quattordici e ventisette, che altrimenti sarebbero condannati ai margini dei riflettori. E’ molto più popolare promettere gloria per tutti e sostenere che anche Pepe e Marchisio possono giocare un mondiale da protagonisti; salvo poi tornare a casa al primo turno, umiliati dalla Slovacchia e dalla Nuova Zelanda.

[tags]italia, calcio, mondiali, maradona, berlusconi, socialismo, comunismo, società, egualitarismo, meritocrazia, competizione, talento[/tags]

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