Skyappe
Di come Skype sia stato giù per un paio di giorni ha parlato il mondo intero, compresi i quotidiani; io lo faccio solo perché altrimenti, per un blogger che si suppone tecnologico, finisco per non essere abbastanza sulla notizia; e ho il sospetto che ogni tanto dovrei parlare anche delle notizie, almeno quelle internettare, e non solo dei fatti miei.
Comunque, ciò che voglio sottolineare è che il problema – innescato a quanto pare dal reboot contemporaneo di milioni di utenti, causato all’arrivo di un aggiornamento significativo di Windows, che ha destabilizzato la rete peer-to-peer di Skype e insieme sommerso i server di autenticazione di richieste di login – è dovuto al fatto che Skype non è veramente una applicazione peer-to-peer (e, come giustamente nota Quintarelli, non è nemmeno interoperabile e aperta alla competizione, per cui se falliscono i server di Skype non c’è alcun servizio alternativo o operatore terzo che possa metterci una pezza).
Esistono due diverse concezioni del peer-to-peer: quella dal basso, in cui più persone condividono le proprie risorse su una base di uguaglianza, e quella dall’alto, in cui una azienda mette in piedi un servizio che controlla e su cui guadagna, ma scarica sui propri utenti il costo delle risorse, distribuendole su di loro. La seconda, quella di Skype, è peer-to-peer solo per finta: nazionalizza le perdite e privatizza gli utili, come si diceva una volta. In più, è anche molto meno affidabile, e soggetta a controlli, censure e sorveglianze varie. Forse dovremmo cominciare a farci più attenzione.
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