Nove punti per correggere la rotta
Sono passati cinque anni dalla nascita del Movimento 5 Stelle; comunque vada a finire, saranno anni che resteranno nella storia d’Italia. E’ chiaro però che il Movimento, dopo il picco delle elezioni del 2013, sta attraversando da un anno e mezzo una fase di assestamento di cui ancora non si vede la fine. Io ho continuato in questo periodo a dare ogni tanto il mio personale e opinabile contributo su come il Movimento potrebbe migliorare la propria organizzazione e la propria strategia; i miei post sono stati molto apprezzati in rete, ma non hanno sortito alcun effetto visibile.
Va comunque sottolineato che il Movimento 5 Stelle ha ottenuto diversi risultati positivi, da una parte costruendo l’unica vera alternativa al vecchio sistema di potere, e dall’altra costringendolo comunque a un rivolgimento interno. Anche se le elezioni europee non sono andate bene, il Movimento è però vivo e vegeto; e non ci sono nella storia tante forze politiche che, dopo un improvviso successo dovuto al voto di protesta, sono riuscite la volta dopo a consolidarsi comunque su un consenso così elevato. In giro per l’Italia il lavoro continua, e arrivano un po’ ovunque risultati grandi e piccoli.
Ci sono però dei rischi e dei problemi, che non vanno nascosti; vanno affrontati costruttivamente per migliorare ancora. Ecco, dunque, nove cose che secondo me il Movimento dovrebbe fare.
1. Scegliersi le battaglie. E’ giusto, in un Movimento e in un gruppo parlamentare così grande, che si lavori su tutti i temi, ma la gente ci ha votato per fare una cosa sola: rovesciare il sistema e dare risposta al pezzo di Paese più massacrato dalla crisi. Noi dobbiamo scegliere poche battaglie coerenti con questa richiesta, a partire da quella per il reddito di cittadinanza, e battere continuamente su quelle. Tutto il resto può andare avanti, ma deve essere solo un piacevole contorno. In particolare, le questioni fortemente connotate sul piano ideologico (a partire dalle battaglie della sinistra radicale, che purtroppo diversi eletti ripropongono usando il M5S) non possono essere il nostro focus primario, o otterremo l’esito di farci connotare ideologicamente, il che sarebbe la nostra fine.
2. Tornare nelle piazze. La forza del Movimento sta nella mobilitazione popolare e questa via via si sta perdendo; in parte ciò è inevitabile, per via dei cicli naturali dell’impegno delle persone, ma in parte questo è dovuto alla scelta sbagliata di concentrare l’attenzione solo sul Parlamento, cancellando i territori e le battaglie dal basso. Tornare nelle piazze non è solo questione materiale, di piantare gazebo e bandiere, ma è questione di coinvolgimento, mobilitando i cittadini per raggiungere i pochi obiettivi prioritari di cui al punto precedente, che non otterremo mai solo con l’azione parlamentare, ma che con manifestazioni, referendum, iniziative popolari diffuse sarà molto più difficile per i partiti ignorare.
3. Attivare i cittadini. Il Movimento ha sempre detto che per cambiare l’Italia nel lungo periodo non basta cambiare i politici, ma serve cambiare il modo in cui gli italiani si approcciano alla cosa pubblica, trasformandoli il più possibile in cittadini informati ed attivi. Tuttavia, questo principio è stato velocemente dimenticato una volta entrati in Parlamento: al posto del coinvolgimento è iniziata la promozione delle facce e degli slogan dei nuovi politici del Movimento, e al posto della partecipazione sono arrivati i post sui social network “incredibile! clicca qui”.
Bravi o meno che siano, i parlamentari del M5S spesso non si comportano come portavoce ma come qualsiasi politico prima di loro, portando avanti proposte mai discusse in rete e condividendole al massimo con un gruppetto di altri eletti e attivisti amici; le votazioni online hanno riguardato solo pochi argomenti, e la stessa piattaforma Lex, pur positiva, per ora è più uno sfogatoio su proposte minori che altro. Sul territorio, i cittadini attivi si sono progressivamente dispersi in mezzo a gruppi di tifosi, adulatori a prescindere e collaboratori pagati; e l’idea di rispondere direttamente alla cittadinanza è stata rimpiazzata da gruppetti organizzati di attivisti che sempre più spesso diventano piccoli direttivi di partito, con tanto di correnti. Sia nella comunicazione che nell’azione che nell’organizzazione interna, bisogna riprendere a parlare ai cittadini attivi e intelligenti e mettere in mano a loro il Movimento, a partire dall’uso sistematico della piattaforma di votazione online.
4. Fare rete e premiare le persone. L’assunto che le persone in politica siano intercambiabili è una stupidaggine: le idee camminano sulle gambe delle persone e la qualità delle persone fa la differenza tra riuscire e fallire. I meccanismi scelti dal Movimento fanno sì che le persone valide non siano concentrate nelle posizioni di responsabilità , ma siano sparse in rete a tutti i livelli; ci sono attivisti mai eletti che hanno capacità , competenze e/o carisma comunicativo superiori a quelli di molti parlamentari.
Eppure, il Movimento non fa più rete; fuori dal livello centrale, l’unico ruolo concreto indicato ad eletti e attivisti è venire al Circo Massimo ad applaudire sette ore di comizi oppure condividere in rete i contenuti prodotti a Roma o a Milano. La collaborazione tra i diversi livelli istituzionali è scarsa se non nulla, anzi si dice che chi è eletto di qua non può nemmeno esprimere un’opinione su ciò che fanno quelli eletti di là . Il Movimento deve mettere in rete tra loro gli eletti di tutti i livelli e le persone che hanno specifiche competenze da offrire, assicurandosi che le questioni vengano trattate non gerarchicamente, ma là dove c’è la miglior capacità per farlo, e che le scelte fondamentali siano discusse e condivise nell’intero Movimento e non solo tra Grillo, Casaleggio e una manciata di parlamentari.
5. Valorizzare il dissenso. Non esiste una forza politica del 20%, ma nemmeno del 2%, in cui tutti la pensino allo stesso modo su tutto (e se esistesse sarebbe inquietante). Eppure, negli ultimi due anni si è sviluppata nel Movimento una cultura autoritaria e conformista per cui non appena si esprime una opinione diversa non solo da quella di Grillo, ma persino da quella del capetto locale, saltano su cinque persone urlanti a rispondere con attacchi personali: ti stai vendendo, sei invidioso, vattene nel PD.
Tuttavia, il dissenso è la base della democrazia ed è anche l’unico modo che permette alle organizzazioni umane di evolvere e di crescere per inclusione, anziché di isolarsi ed esaurirsi. Nel Movimento ci sono attualmente diverse aree di dissenso: chi non è contento delle posizioni “di destra” (alleanza con Farage) o “di sinistra” (reato di immigrazione, diritti LGBT, politica estera); chi vorrebbe dagli eletti un approccio più istituzionale e dialogante; chi, ed è l’area maggiore, è deluso dalla deriva antipartecipativa e accentratrice, dalle carenze e dalle piccole furberie degli eletti, dalla mancanza di una prospettiva politica chiara. Queste aree di pensiero vanno recuperate prima che abbandonino il Movimento, dando loro la legittimità di esprimersi e un modo per proporre cambiamenti di rotta da far valutare online ai cittadini.
6. Stroncare le furberie degli eletti. Il punto più dolente del Movimento oggi è la crescente deriva “all’italiana” quando si parla di candidature e di comportamento delle persone che mandiamo nelle istituzioni. Per un movimento che vuole moralizzare la politica, non è accettabile che vengano eletti parenti di altri eletti, o assunti negli staff, e nemmeno che gli eletti assumano i propri amici negli staff, senza alcun tipo di selezione meritocratica, per farli conoscere e poi candidarli e farli eleggere altrove, creando nei fatti delle cordate e dei clan che si promuovono a vicenda. Non è accettabile che manchino parecchi rendiconti sulle spese e sui conti gestiti dagli eletti, anche per cifre importanti, e che di fatto, a partire dalle elezioni europee, l’idea di autoridursi gli stipendi a cifre umane sia stata cancellata in silenzio. Non è accettabile che talvolta i parlamentari e i consiglieri regionali si comportino come dirigenti di partito, imponendo o boicottando candidature sul territorio, riconoscendo o disconoscendo gruppi locali, e facendo tutto quello che nei partiti abbiamo sempre criticato.
Nel Movimento si sta creando una struttura intermedia da partito tesa a garantirsi il controllo del movimento e anche qualche vantaggio personale, e la cosa peggiore è che chi denuncia questi comportamenti viene aggredito, deriso, isolato ed emarginato (io lo vivo sulla mia pelle). O Grillo e Casaleggio si svegliano e stroncano queste derive, oppure il Movimento subirà la stessa degenerazione partitica dei Verdi e della Lega.
7. Darsi regole chiare per uscire dal caos. Il Movimento è sempre stato caratterizzato da un elevato tasso di litigiosità . Oltre alle spaccature dovute a problemi veri come quelli del punto precedente, ci sono anche quelle dovute alla difficoltà di tollerare reciprocamente le diverse visioni, per mancanza di una cultura del dissenso. In questo momento, alcune cose nel Movimento sono normate in maniera estremamente rigida, ma su altre non c’è alcuna regola, lasciando spazio a litigi ed abusi. In più, le poche regole che ci sono sembrano cambiare di volta in volta a seconda delle convenienze e applicarsi diversamente a seconda della persona e della bontà dei suoi rapporti con lo staff (vedi il caso Defranceschi).
E’ giunto il momento di darsi delle regole chiare e delle modalità chiare per definirle dal basso, senza disconoscere il ruolo di garante di Grillo e Casaleggio ma permettendo alla rete di esprimersi anche sul funzionamento del Movimento, eliminando così alla radice le polemiche e i comportamenti inaccettabili; ed è comunque meglio avere delle procedure trasparenti e definite che la situazione attuale, in cui nei fatti si formano strutture e gerarchie non sottoposte ad alcun limite e ad alcun controllo.
8. Essere coerenti tra il dire e il fare. Parte della disaffezione di molti elettori e attivisti deriva dalla distanza tra ciò che il Movimento dice e ciò che fa, e non solo nei termini, inevitabili, di chi è deluso perché “parlano ma non concludono niente”. Oltre a tutte le incoerenze già sollevate più sopra, non è possibile predicare trasparenza e poi non pubblicare nemmeno i risultati di alcune votazioni online, né parlare di partecipazione e poi avere un sistema di votazione usato in modo non sistematico e in cui i cittadini spesso non riescono nemmeno a iscriversi e poi devono aspettare un anno per essere considerati, né parlare di software libero e poi continuare a usare piattaforme chiuse ed Excel ultimo modello per le comunicazioni interne. Bisogna sempre assicurare la coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa.
9. Scegliere chi si vuole essere. Una forza politica esiste per rappresentare alcuni gruppi sociali e alcune visioni del mondo, comportandosi coerentemente ad essi; altrimenti finisce per scontentare tutti e sparire. Il Movimento 5 Stelle di oggi, tuttavia, non ha assolutamente chiaro chi vuole rappresentare. Vogliamo essere il partito forte degli incazzati, o vogliamo essere il partito dialogante della cittadinanza attiva? Vogliamo rappresentare i poveri, i giovani, i cervelli in fuga, i cinquantenni senza lavoro, i nazionalisti anti-immigrati, gli orfani della sinistra radicale, i pensionati, i dipendenti pubblici, i piccoli imprenditori…?
Come diceva Abramo Lincoln, puoi ingannare tutti per un po’ di tempo o puoi ingannare qualcuno per sempre, ma non puoi ingannare tutti per sempre: prima o poi, le persone scoprono che non sei ciò che avevi fatto intendere di essere. E’ possibile concepire un progetto politico che tenga insieme diverse di queste categorie (non tutte), ma va fatto con consapevolezza e coscienza; altrimenti, si affonda nella tattica, parlando ogni giorno del problema del giorno in maniera opposta a quella del giorno precedente, e si perisce per mancanza di strategia.
Queste, naturalmente, sono opinioni personali: e spero ancora, ricordando il Movimento delle origini, che ci sia modo di discuterne civilmente tutti insieme.