Ricordi di Dublino
Quando inizia a venire l’autunno capita, e non poco, di ricordarsi di Dublino; ma non della Dublino di oggi, con gli edifici di vetro e il benessere leccato. La prima volta che ci andai fu nel 1989, quattordicenne, ed era un altro pianeta; era ancora poco più che il Terzo Mondo a pochi chilometri dalla guerra civile, tanto è vero che la famiglia che mi ospitava (indubbiamente per soldi) per quelle settimane d’estate, abitando nell’estrema periferia nord, non aveva né l’auto né il telefono. In tutta la strada, una ordinata fila di casette, una sola famiglia aveva l’auto, ed era quella che faceva il trasporto dall’aeroporto; e una sola famiglia, ma non la stessa, aveva il telefono, sicché quando i genitori dall’Italia dovevano telefonare uno dei ragazzini del posto correva giù per la strada per venirmi a chiamare, e riportarmi su fino all’apparecchio.
Quello che la famiglia aveva, però, era un giradischi coi dischi degli U2. Quelli venuti dopo di noi degli anni ’70, quelli degli ’80 e dei ’90, mica lo possono sapere veramente cosa erano gli U2, quelli veri, quelli che avrebbero ancora fatto un disco come Achtung Baby, talmente leggendario che uno dopo averlo fatto può anche morire, e difatti morirono subito dopo lasciandoci solo dei sosia sazi, bolsi e insopportabili. Oddio, già Rattle and Hum a ben vedere era un disco rivelatore della pomposità pretenziosa del Bono adulto, ma era comunque un bel disco e lo ascoltavamo a nastro. Ma la simbosi tra Dublino e gli U2 era totale, tanto che in quella vacanza noi ragazzini italiani non potemmo esimerci dal prendere il treno e andare fino a Bray, a vedere quella che si presumeva essere la villa di Bono.
Per questo, oggi, mi son ripreso da Youtube il video di Gloria. E’ del 1981, filmato in mezzo al grande dock che sta a est del centro e a sud del tratto finale della Liffa, che si vede pure sullo sfondo nell’inquadratura finale. Guardatelo bene, perché quelli erano gli U2: dei ragazzi rabbiosi col ciuffo in mezzo al niente, in mezzo al devastato e abbandonato buco del culo dell’impero industriale britannico di tempi ormai andati, grigio fumo e nero carbone e grigio pure il cielo, non più una fabbrica aperta, solo disoccupazione ed eroina (l’argomento preferito delle canzoni di Bono negli anni ’80).
Gloria non è nemmeno la miglior canzone di quel periodo; la miglior canzone di quel periodo è 11 O’Clock Tick Tock, un concentrato di rabbia adolescenziale e disperazione suburbana lanciate a trecento all’ora verso un muro di mattoni. Ma il video di Gloria vi dà l’idea di come fosse Dublino negli anni ’80 (e se volete, se non l’avete mai visto, ovviamente c’è The Commitments, specie la scena in cui cantano Destination Anywhere sulla freccetta).
L’Irlanda di oggi, invece, è tutt’altra cosa. Ci sono tornato spesso, negli anni, per vacanza e per lavoro, per amore e per amici; ho persino il mio immancabile pellegrinaggio rituale, sulla collina di Howth (qualcuno forse ricorderà una delle mie vecchie copertine di Facebook). Mi ci è capitato di tutto, ne ho raccontato più volte sul blog, ad esempio nel notturno Flux; e gli irrici, un popolo fantastico, negli anni mi hanno sfottuto per Houghton e ringraziato per Trapattoni, e cibato a carote bollite e spiegato come in tutta Dublino non ci fosse più un benzinaio, che la bolla immobiliare degli anni zero era tale che erano tutti stati rasi al suolo per farci sopra un palazzo.
Ci tornerò ancora, se riesco già l’anno prossimo. E’ sempre un gran bel posto, ma la rabbia misera di un tempo è stata sostituita dal moderno benessere globale; al posto dei magazzini abbandonati c’è la sede europea di Google e la gente ha disertato i Supermac per nuove creperie e ristoranti fusion. Probabilmente d’estate è meglio così, ma, d’autunno, è bello aver saputo com’era prima.