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martedì 21 Giugno 2016, 15:04

Don’t cry for me, Cit Turin

Domenica mattina, su un pullman, nella periferia nordovest di Torino, l’autista e un passeggero parlano delle elezioni. Concludono entrambi che voteranno Appendino: l’autista perché “Fassino ci vuole vendere ai privati, Appendino difende il servizio pubblico”; il passeggero perché “Fassino ha riempito Torino di zingari, gli dà pure da mangiare, mentre a noi italiani non danno niente”.

Questa scenetta, a cui ho assistito personalmente, dimostra davvero che destra e sinistra come categorie e fasce sociali contrapposte non esistono più; sia che tu abbia a cuore una battaglia molto di sinistra per il mantenimento in mani pubbliche delle società partecipate, sia che tu abbia a cuore una battaglia molto di destra contro la presenza crescente degli stranieri e dei rom, comunque voterai Movimento 5 Stelle.

Ha votato Appendino il vecchietto ultra-80enne che ha salito con estrema fatica le scale del seggio di corso Svizzera in cui ero rappresentante, si è riposato dieci minuti buoni per riprendere fiato, ha votato e poi ha detto ad alta voce “e speriamo che adesso muoia, sto sindaco comunista!”; e ha votato Appendino la coppia di giovani che ho visto a festeggiare in piazza sotto il Municipio e che, rivolti verso i bei palazzi del centro, gridavano “andate a lavorare, radical chic di merda!”.

I commentatori si sono concentrati sulle contraddizioni insite in tutto questo; ed è vero, è vero che chiunque avesse qualcosa da ridire non solo sull’amministrazione Fassino o sul governo Renzi ma sull’economia, sulla geopolitica, sull’ordine sociale, persino sul tempo e sul risultato degli Europei di calcio, ha concretizzato la propria rabbia votando Appendino; è vero che le aspettative sulla nuova giunta sono non solo impossibilmente elevate, ma anche troppo contraddittorie per poter essere esaudite tutte.

Ma i commentatori che si concentrano sulle contraddizioni sbagliano, perché vivono ancora nel mondo della destra e della sinistra; sbagliano perché non capiscono che c’è un filo conduttore tra tutti quelli che hanno votato Appendino, un filo conduttore molto più forte delle contraddizioni interne. Un filo conduttore che esisteva già prima, ma che Chiara ha abilmente solleticato e rafforzato, con la sua campagna in stile primarie americane, innovativa per l’Italia e giustamente premiata, basata innanzi tutto sull’immagine, sull’emozione e sull’identificazione del “noi” con il popolo e del popolo con Chiara, più che sui temi di sostanza; una campagna inconsapevolmente peronista che io non avrei mai fatto e comunque non sarei mai stato in grado di fare, ma che era l’unica che potesse vincere e conquistare i cuori del popolo torinese (e quindi tanti complimenti a Xavier Bellanca, l’attivista-stratega oggi meritatamente intervistato dalla Stampa).

Il filo conduttore è evidente nella fotografia della distribuzione territoriale dei risultati:

mappa-ballottaggio-2016

E’ evidente che ciò che unisce i sostenitori di Appendino non è né la destra né la sinistra, e nemmeno l’apprezzamento per Grillo (volutamente tenuto fuori dalla campagna) o per le istanze storiche del M5S. Semplicemente, ciò che unisce i sostenitori di Appendino è di essere o sentirsi poveri; e sottolineo “sentirsi”, che per vedere i poveri veri bisogna andare nelle baraccopoli della Stura o direttamente nel Terzo Mondo, ma Torino è piena di ex classe media che pur vivendo ancora meglio di tre quarti del pianeta si sente a buon motivo pezzente.

Perché? Perché dall’altra parte c’è un sistema di persone che hanno esibito per vent’anni il loro bel centro lucido, i loro grandi eventi pieni di VIP, le loro connessioni familiari e sociali che li fan cadere sempre in piedi, la loro arroganza nel pretendere sempre ragione e nel liquidare qualsiasi opinione diversa come “fascismo” o “ignoranza”, la loro cultura rivendicata come uno status symbol, fino a stare immensamente sulle scatole alla maggioranza della città.

Davanti a un sistema organizzato che marca fisicamente e moralmente la distanza tra chi è dentro e chi è fuori, è ovvio che anche chi fuori vive piuttosto bene, anche chi gode di una amministrazione non certo inetta, si senta comunque un pezzente con voglia di rivalsa; e persino chi è dentro, ma riceve soltanto le briciole, si ribellerà nel segreto dell’urna o anche apertamente, come i ragazzi pagati per dare i volantini di Fassino che ci dicevano “comunque io voto per voi”. Non è solo una povertà materiale; lo è in molti casi, ma in molti altri è soprattutto una povertà di opportunità, di chance di crescita personale e di riconoscimento sociale, di libertà di essere e di realizzarsi, che rimanda al vuoto di senso della società moderna prima ancora che al vuoto nella pancia.

Fassino – una persona che purtroppo per lui ha il talento naturale per fare dichiarazioni autolesioniste: oggi si vantava di aver comprato le caprette ai rom di lungo Stura Lazio per rimandarli in Romania, provocando una serie infinita di “Piero, le caprette ti fanno ciao” – l’ha chiamata “invidia sociale”, sempre per farsi amare ancora un po’. Ma quando la differenza sociale non è legata al merito ma alle condizioni di partenza, non si tratta di invidia quanto di sacrosanta rabbia.

Sbaglia, però, chi pensa che l’identificazione dei “poveri” con il Movimento 5 Stelle sia soltanto occasionale, legata alla circostanza di essere ora all’opposizione e ancora sostanzialmente vergini dalle responsabilità di governo. Certamente la verginità politica massimizza il risultato, ma il M5S, nato come forza post-ideologica, sta costruendo da tempo con i propri elettori una identificazione ideologica di lungo periodo; e i commentatori più acuti, come Angelo D’Orsi, l’hanno colto benissimo. L’identificazione non avviene però sulla destra o sulla sinistra, ma sull’opposizione all’economia globalizzata di mercato, all’austerità tedesca, al dominio degli azionisti sui cittadini, degli utili di Borsa sugli stipendi delle famiglie, delle tasse e della ragion di Stato (indebitato) sulla libera iniziativa. Per questo, essa mette assieme gli operai con i padroncini, i piccoli imprenditori con gli impiegati, tutti uniti (ex sinistri ed ex destri) non contro il capitalismo, ma contro l’avidità dei capitalisti di oggi.

C’è, però, una questione più profonda. L’invidia e la rabbia sono sentimenti inevitabili, in una società basata sul consumismo, quindi sulla generazione continua di bisogni indotti per spingere all’acquisto. Più la società è in crisi economica, più aumentano le disuguaglianze, e meno le persone comuni sono in grado di soddisfare il bombardamento di bisogni indotti, materiali e psicologici; e ogni desiderio frustrato genera rabbia. Nel breve periodo, la rabbia genera insoddisfazione per chi governa e vantaggi elettorali per chiunque si presenti come il nuovo; ma cosa succederà se, esaurita la fiducia in Renzi, si dovesse esaurire anche quella nel Movimento 5 Stelle, senza che la crisi economica si risolva?

Una società con forti disuguaglianze sociali può reggere solo in due modi: o riducendo concretamente le disuguaglianze, o con un regime che reprima con le buone o con le cattive la rabbia popolare… fin che ci riesce. La rivolta dei forconi, due anni e mezzo fa, a Torino assunse forme e dimensioni non viste altrove, e doveva essere un segnale di allarme per tutti. Eppure, io ero l’unico in piazza a cercare di capire e di ascoltare, e tuttora quella presenza mi viene spesso rinfacciata come una macchia invece che come una medaglia. Se le disuguaglianze in questa città e in questo Paese, vere o percepite, non diminuiranno rapidamente, il rischio è che la rivolta ritorni ancora più forte: ed è questo rischio che tutti i politici, nuovi e vecchi, devono tenere ben presente.

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6 commenti a “Don’t cry for me, Cit Turin”

  1. Giuliana Einaudi:

    Mi chiedevo che fine avessi fatto, è da anni che non leggo tue notizie, o di Bono. Sbaglio o avevi fatto un servizio sui danni provocati dalle antenne alla Maddalena? Concordo sul discorso degli “out” contrapposti agli “in”, più facilmente percepibile dalla gente mediamente più sofferente per la crisi economica e lavorativa che per questioni spirituali o politiche al momento secondarie: mi par di capire che tu dici nell’emergenza prima salviamo i naufraghi poi si vedrà, chi è di destra, di sinistra o di chi lo sa. Un altro punto che non mi piace del movimento in generale è l’eccessivo centralismo, la storia delle espulsioni, capisco la sindrome da accerchiamento del nemico e la necessità di serrare i ranghi ma rischia di fare emergere tanti quadri/scatolette di tonno tutte uguali, quasi prodotti di fabbrica col marchio, mentre la personalità è tutto. Per fortuna voi torinesi ne avete una vostra che vi distingue da tutti gli altri, Continuerò a seguirvi e se posso anche a farvi le mie osservazioni e darvi dei consigli, dall’alto dei miei 65 anni. Comunque buon lavoro.
    Giuliana

  2. Laura Tonino:

    Ti ho letto Vittorio, rubando un po’ di tempo alle ultime del lavoro.

    Parto dal termine.. in merito alla tua presenza tra i forconi a voler comprendere le ragioni di quel movimento. Chi ti ha criticato ha sbagliato ed e’ invece fondamentale che il Movimento 5 Stelle mantenga integra la strada che porta a confrontarsi con ogni espressione sociale. Anche la piu’ rabbiosa. Perche’ il distaccarsi da quelle espressioni sociali – siano esse di destra, di sinistra, politicizzate o manovrate – e’ il primo passo nel perder contatto con la realta’ sociale tutta.

    Parlando di te. Quello che hai fatto a Torino e’ stato importante, fondamentale, per il successo odierno.

    Eppure questa identificazione, tra Movimento 5 Stelle ed insoddisfazione sociale, poverta’ reale o percepita, non e’ la ragione principe nella vittoria politica odierna, a mio vedere. Ma e’ de facto la ragione fondativa del Movimento 5 Stelle.

    Il Movimento 5 Stelle non esisterebbe se il nostro Paese o la nostra Polis in primissimo luogo, non potessero rendere indietro di piu’ ai propri abitanti. I 5 Stelle son partiti dalle citta’, dalle liste civiche.

    E non sarebbe nato se questi concetti, unitamente ad una visione moderna, speculativa eppur realista di questa societa’ in profonda trasformazione, non fossero praterie inesplorate dai partiti. Oggi, lo vediamo dal voto… i partiti ricercan verginita’ tuffandosi in un mare di liste civiche e civetta perpetuando nell’iniettare illusione.

    Ecco perche’ bisogna insistere nel pragmatismo post-ideologico e non identificarsi con una lotta di classe alla ricerca della disperazione.

    In termini di servizi – una metropolitana funzionante a Roma da una percezione diversa non solo del mezzo su cui si sale, ma della qualita’ della propria stessa vita quotidiana -.

    In termini di sociale – una cooperativa che lucra sui Rom, o un centro sociale occupato da chi non promuove progetti di alternativita’ ma vandalizza il sociale -.

    In termini di cultura, di lavoro. Impegnarsi ad investire su opere faraoniche che i dati ci dicono essere sovradimensionate, facendo cadere invece a pezzi Pompei, il Lungarno Fiorentino, i centri storici – terremotati non dal destino.. ma soprattutto dall’incuria -.

    Il Movimento deve mantenere viva la sua percezione differente dei problemi per proiettarsi verso soluzioni innovative.

    La spinta disillusoria che temi c’e’ gia’.. ed e’ il non voto. Non voto dovuto non tanto al crollo di fiducia anche negli ultimi arrivati … ma ad una narrazione che per evitare il vero cambiamento .. ha depauperato in modo viscerale istituzioni (memento bis-presidente della Repubblica?), ruoli (presidente della Camera che da della stupratrice anche alle odierne Raggi e Appendino in diretta rai), media (Rai in mano di un uomo), e stesse figure cardine nel cuore di elettori ancora ideologizzati (Benigni che si rimangia la Costituzione piu’ bella del Mondo).

    La resistenza alla necessita’ di cambiamento e rinnovamento sincero delle metodologie e dialettiche politiche, istituzionali … sulle reali tematiche e su relative soluzioni.(E’ inconcepibile che il PD abbia puntato la campagna elettorale romana sulle azioni di Caltagirone e sulle priorita’ di Montezemolo e Malago’, a certificarne il distacco abissale dalla realta’ popolare e a certificarne la natura elitaria e borghese – vincendo a Roma e Torino centro, ai Parioli.. etc.)

    La resistenza e l’indifferenza a questa pressione dal basso verso l’alto.. e’ cio’ che da una parte ha creato questa marea anti-renziana e anti-piddina.. e dall’altra ha fiaccato, colassandoli, i sogni e le speranze di tantissimi (non) elettori.

    Su questo parte la riflessione nei 5 Stelle. Il bisogno non tanto di evolvere il proprio metodo, il cui racconto insincero non puo’ negare che dove amministrano i grillini i debiti diminuiscono, le ruberie saltan fuori immediatamente anche in modo rovinoso (vedere Quarto) e partono progetti reali per le citta’, (vedere gli investimenti comunali a Pomezia, piegata dai debiti ed ora risanata e pimpante in impianti di ristrutturazione idrico-fognaria)… ma di confermarlo nel tempio della complessita’, a Roma come a Torino.

    Uno sviluppo a cui anche la tua visione, esigente di integrita’, e’ chiamata a mio vedere a partecipare.

  3. lallo:

    Analisi corretta, come correttissimo mi pare il commento di Laura Tonino (compresa la chiosa), aggiungo che per un non piemontese come me, Chiara Appendino è apparsa come un candidato perfetto (dove candidato perfetto = candidato capace vedi alla voce Pizzarotti) e la prima conferenza stampa (il lunedì) da sindaco, è apparsa essere un vero e proprio clinic di come ci si presenta alla stampa (decisi e chiari) e all’opinione pubblica. Che poi la Appendino , in teoria, dovrebbe abbandonare l’amministrazione di Torino a fine mandato, per raggiunto limite due mandati, questo a me pare un assurdo (lo dico da sempre). Tra la politica a vita e la politica lampo (ove quando si comincia a maturare la corretta esperienza si deve lasciare, perpetuando una politica dell’inesperienza facilmente assogettabile a misteriosi ‘staff’ esterni, i cui rappresentanti principali non si mettono in discussione anche se fanno flop colossali (tipo elezioni Bologna), tra politica a vvita e lampo dovrebbe esserci una via mediana che andrebbe promossa e applicata in tempi brevi.

  4. NonRazzista:

    Bella gente che vi vota, da andarne fieri…complimenti!

  5. laura tonino:

    @lallo

    Mentre reputo la necessita’ dialettica interna fondamentale, considero le regole ferree del Movimento 5 Stelle la ragione del suo successo, del suo coinvolgimento e del suo riuscire a portare personalita’ fantastiche come Appendino all’apice delle loro potenzialita’.

    Un esempio. Ce lo siamo dimenticati in quanti invocavano una candidatura forte, con la discesa di Di Battista, a Roma? Anche io ho pensato che potesse essere il modo piu’ semplice per vincere adattando regole rigide all’opportunita’ politica.

    Ebbene che cosa e’ successo dando la possibilita’ ad un volto nuovo, sconosciuto solo per la noia mediatica nel non raccontare storie, percorsi e personalita’.. ma nel somministrare opinioni?

    Ha vinto una persona che non ha esperienza da sindaco ma da consigliere. Che ha ricevuto esperienza dalla sua campagna elettorale precedente, e dal suo attivismo ancor prima nel primo incarico consiliare. E che riceve esperienza dal suo primo mandato nell’indossare la fascia tricolore.

    E che ugualmente donera’ esperienza ai numerosi nuovi consiglieri.. tra cui vedremo nuovi sindaci, o nuovi parlamentari di valore, o addirittura premier.

    La mia visione del ruolo politico nei 5 Stelle e’ quella di un testimone da passare. E questa regola, fortemente voluta da Beppe e Gianroberto, e’ cio’ che manterra’ a lungo i 5 Stelle un movimento di partecipazione e motore di autostima e di sviluppo delle potenzialita’ politiche, amministrative, gestionali di una intera nuova classe dirigente in gestazione.

    Rome wasnt built in a day.. E cosi l’ambizione di evolvere la mentalita’ italiana che evolve l’Italia tutta … ha bisogno di decine di migliaia di nuovi volti come Appendino, come Bertola, come Morra, come Raggi.

    Questo e’ il disegno a monte. Questo il progetto che nella sua necessita’ di restituire e garantire gli attuali e reali sviluppi e le future concrete potenzialita’.. ha voluto porre un limite all’ “autoerotismo ricorsivo”

    (Prima di poter dare democrazia diretta dobbiamo esserlo, prima di fare un programma partecipato, dobbiamo essere una struttura partecipata, prima di ottimizzare gli altri dobbiamo ottimizzare noi stessi, prima di avere le mani libere in Italia, dobbiamo averle nel Movimento, prima di essere indipendenti esternamente, dobbiamo esserlo internamente)

    Uno vale uno non quando si decide tutti quanti se chiamare la piattaforma Pippo o Rousseau, ma quando questi strumenti permettono a Chiara Appendino di ricevere il testimone da Bertola, per passarlo al prossimo venturo.

    Quando il simpatizzante diventa attivista. L’attivista consigliere. Il consigliere sindaco. Ed il sindaco torna attivista, o il consigliere simpatizzante.

    E tutti loro, nella loro piccola immensita’, si sommano al punto da assediare ed espugnare la fortezza dei poteri strutturati.

    Ad Maiora!

  6. rccs:

    La rivolta dei Forconi, capitanata da un pregiudicato in Porsche. Già i più deboli.

    Ma qualcuno è andato ad ascoltare i poveretti che sono rimasti incastrati per varie giornate nel traffico causato da questi protofascisti? I negozianti costretti a tenere chiusi per le minacce? La gente comune minacciata e picchiata?

 
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