Almeno il rispetto
Una delle tante cose tristi del dibattito di queste ore sulle attività che chiudono per decreto anti-pandemia è che è legato soltanto ai soldi. Gli argomenti, dall’una e dall’altra parte, sono soltanto economici: “non si può sopravvivere se non si guadagna”, “tanto quelli son tutti evasori fiscali”, “un sacrificio nel portafoglio in questo momento tocca a tutti”, “no ad altre categorie non tocca così tanto come a noi“.
E però nel lavoro autonomo, nelle attività commerciali, nel lavoro artistico c’è tutta un’altra componente che spesso al resto della società sfugge. E’ una componente di identità , di collocazione sociale: sono professioni in cui una persona è il proprio lavoro, e tutta la sua vita si identifica innanzi tutto con esso, dal punto di vista psicologico molto prima che economico.
Questa è una perdita che nessun “ristoro” governativo può compensare. Il governo potrebbe ridarti anche il 100% dei soldi che ci perdi (in realtà te ne ridà il 20%, peraltro) ma questo non compenserebbe lo shock della serranda chiusa e del locale vuoto, il non sapere più chi sei e chi sarai, il vedere il luogo che hai costruito in anni e anni di fatica, o magari che era di tuo padre e di tuo nonno prima di te, messo a rischio o cancellato per sempre d’improvviso.
Quando si decide cosa uccidere e cosa salvare, o perlomeno mentre lo si discute, spero che si possa tenere anche conto di questo fattore e del rispetto che merita.