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Archivio per la categoria 'Culturaculturacul'


venerdì 10 Agosto 2007, 17:19

Shrek Terzo

Mi dispiace, faccio confusione: l’idea di prendere (oltre a John Cleese che da sempre fa il Re Rana) Eric Idle per doppiare Merlino non è stata troppo fausta, perché ora non riesco a capire se le scene medievali che mi ricordo sono veramente tratte da questo film, oppure da Spamalot, oppure da Monty Python & The Holy Grail, oppure sono le immagini di lui crocifisso con i capelli al vento che canta Always Look At The Bright Side Of Life alla fine di Brian di Nazareth. Per fare un esempio, anche in Shrek III c’è una cavalcata simulata con le noci di cocco: ok, è sempre divertente, sarà anche un omaggio, ma trent’anni dopo potevano anche farsi venire in mente qualcosa di nuovo…

Insomma, Shrek III è stanco e deboluccio, anche se godibile specie verso il finale. Peggio: troppo spesso, essendo a corto di idee divertenti, la butta sul melenso. Ci sono comunque alcuni punti che fanno proprio ridere, tipo il gatto di Banderas che prima di partire saluta un intero molo pieno di fidanzate, o le parodie di Biancaneve che canta con gli animaletti (già viste peraltro in Drawn Together), ma non sono molti; e siccome alla grafica non si fa più caso, le ragioni per vederlo si riducono alla fedeltà al brand. Meglio che un pugno in faccia, ma non aspettatevi meraviglie.

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lunedì 30 Luglio 2007, 23:21

L’importante è perseverare

Con questo titolo si apre l’editoriale di AsiagoDove, rivista gratuita che viene distribuita ai turisti dell’altipiano e che contiene tutte le informazioni utili e il programma degli eventi estivi. Il brano, scritto e firmato da “Pino Barolo, l’editore”, è una vera perla della letteratura veneta; ho quindi pensato di riportare almeno la prima parte. Però non sono riuscito a trattenere i miei commenti, tra parentesi quadre.

“L’importante è perseverare”. Questo è il nostro motto e la nostra forza: perseverare! Quando 25 anni fa ne parlai della pubblicazione all’amico e compianto Maurizio Gloder, allora Consigliere dell’Azienda di Promozione Turistica di Asiago, la sua risposta [tutta senza virgole] fu: “Ottima idea purché si continui nel tempo e non sia solo un’exploit di un’edizione o due” [disse proprio così, un’exploit con l’apostrofo] come si vedono, ancora oggi, in tentate edizioni di ogni genere [presumo che tentata edizione sia un reato]. Asiago Dove: “la rivista più amata, la più ricercata e la più copiata” [verbo disperso e virgolettato non attribuito, presumibilmente un coro popolare]. Venticinque anni di idee, di ricerche e di passione per l’editoria locale pensando come far conoscere l’Altopiano ai turisti anche presentando le manifestazioni di tutto il nostro comprensorio durante i mesi di punta turistica [,,,, – e poi, la punta turistica si fa col temperaturisti?]. Un successo che ci colma di soddisfazione e ci dà la forza di continuare mantenendo la sua semplicità pur senza entrare nel mondo della grafica moderna, a volte confusionata [il ragionamento invece non è affatto confusionato, pur senza entrare nel mondo dell’italiano]. Si dice che la semplicità non è facile da realizzare, beh… allora vuol dire che noi l’abbiamo centrata [una consecutio che non fa una piega]. Sì, ci può essere qualche imprecisione sull’elenco delle attività commerciali, ma grazie a chi ce lo fa rilevare [a forza di bestemmioni in veneto, zio càn] siamo pronti a correggere.

Una soddisfazione quando qualche turista straniero ci scrive per complimentarsi dando anche qualche suggerimento [se non ci sono i suggerimenti invece lo mandiamo a stendere]. Da Barcellona un turista che vorrebbe un poster di una foto [eh?] pubblicata per reclamizzare una prestigiosa marca di sci con la Scuola Sci locale (era solo una semplice pubblicità) [forse non s’era capito: l’ha detto solo tre volte]; e a fine lettera dice “Non ci sono tornato perché el hombre propone y Dios dispone” [non male come scusa].

Alla fine, dopo i ringraziamenti di rito, l’editore conclude: Con questo numero spegniamo le venticinque candeline con l’augurio di arrivare anche alle nozze d’oro! Ci associamo: e che per allora possa giungere anche sull’Altopiano una grammatica italiana!

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martedì 24 Luglio 2007, 10:35

Provaci ancora Sky

Sono temporaneamente tornato in ufficio, dopo due giorni passati (a parte una bella camminata nei boschi) a dormire e guardare la TV.

Così ho infilato una serie di film da Sky mica male: domenica sera Provaci ancora Sam, che non vedevo da un sacco di tempo e che consiglio ai single senza fortuna con le donne; ieri mattina uno spettacoloso musicarello con Tony Renis bambino e la SIGNORA (tutto maiuscolo che l’iniziale non basta) a fare la donna sofisticata che minaccia di sottrarre il bel Tony al suo vero amore; ieri pomeriggio nientepopodimenoché L’allenatore nel pallone con tutte le sue leggendarie scenette (e di un attore che nello stesso anno interpreta due personaggi come Aristoteles e Arrapaho, ne vogliamo parlare?); infine, ieri sera Gosford Park di Robert Altman, un gran bel film, che fino a dieci minuti dalla fine sembra un giallo di Agatha Christie, e che viene illuminato dalla bella prova della solita Helen Mirren (l’anno scorso Oscar per The Queen).

Ora, i commenti: guardando bene il film, Oronzo Canà non era affatto un pirla del pallone, tant’è vero che la Longobarda alla fine si salva, i tifosi in delirio lo prendono per un coglione e lui si vendica: quando il presidente, con una battuta alla Cairo & De Biasi, gli dice “Ma lo sa lei che è un disoccupato?”, lui risponde svelandogli l’arcano che noi abbiamo visto per tutto il film: “E lo sa lei che è un cornuto?”. Imperdibile (qui un bignamino per gli incolti).

Invece, il film balneare del 1961 (ambientato prevalentemente tra la Riviera e il Lago Maggiore) mi ha fatto realizzare come l’Italia della mia infanzia nei mitici anni ’80 fosse molto più vicina a quella del film che a quella di oggi: dove sono finiti i bar sulla passeggiata, con i tavolini con il posacenere di plastica e le sedie di finti vimini di plastica? Mi è persino successo di avere un flashback allucinante, visto che in una scena del film i protagonisti sono nel parco di una grande villa sul lago Maggiore; inquadrano un lungo viale di ghiaia affiancato da fiori, e immediatamente mi viene su il perduto ricordo della mia gita di quinta elementare a Villa Taranto. Sono sicuro di avere una foto identica a quell’inquadratura: ma quanto durano i ricordi di bambino?

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venerdì 13 Luglio 2007, 10:43

Promozione

Da una settimana – il giorno della presentazione della nuova 500 – passa sulle reti televisive un lungo spot della Fiat, in alcune varianti; certamente l’avete visto – in ogni caso è qui.

Detto che la nuova 500 mi sembra molto bella e che se ne facessero una versione diesel sopra i cento cavalli potrei anche prenderla, la campagna di presentazione è stata degna di nota, soprattutto perchè, a fronte di una spesa notevole, la macchina si è vista poco. E’ vero che la 500 si vende da sola, visto che è associata a un ricco patrimonio di emozioni, almeno per gli italiani sopra i trent’anni; è vero che hanno fatto un vero e proprio show mobilitando tutta Torino. Ma nella campagna pubblicitaria, la 500 si vede pochissimo.

Tuttavia, secondo me lo spot è insieme bello ed azzeccato. Bello perchè sfugge alle normali regole commerciali e cerca di porsi oltre la necessità di vendere il prodotto; cerca invece di identificare la Fiat con l’Italia e quindi con i suoi clienti. In questo, ci sono effettivamente alcune scelte che per la Fiat sono storiche, come quella di aprire lo spot con le immagini degli operai in corteo negli anni ’70: per una azienda dove ancora dieci anni fa una parte integrante della formazione dei giovani quadri era andare a fischiare dall’interno quelli che fuori scioperavano, è un salto culturale notevole (per quanto si possa discutere su quanto esso sia sincero, e quanto di facciata).

E quindi, è azzeccato, perchè uno dei problemi dell’Italia attuale è la mancanza di valori e di modelli, spariti in un gorgo di degrado morale ed economico di cui spesso non si vede l’uscita. Lo spot, invece, presenta sotto il marchio Fiat un’Italia opposta, quella che pensiamo di aver perduto. Dice che la Fiat sta insieme a quanto di più nobile o esaltante ha fatto l’Italia, da Giovanni Falcone a Valentino Rossi. Soprattutto, dice che la Fiat ce l’ha fatta, la Fiat sa come si esce dalla crisi di mercato e di valori, e vorrebbe estendere questo successo a tutta l’Italia.

In altre parole, affidatevi a noi, non solo come produttori di automobili, ma come nuova guida morale ed economica del Paese.

Insomma, quanti mesi mancano alla candidatura di Montezemolo a prossimo Presidente del Consiglio?

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domenica 17 Giugno 2007, 10:24

Celebrità

Ieri sera siamo andati a fare una pizzata di fine anno in un locale di San Salvario. Il posto non era granchè, la pizza nemmeno, ma insomma non era quello il punto; ci siamo divertiti fino a tardi e poi, quando verso le undici e mezza hanno cominciato ad abbassarci le serrande in faccia, abbiamo capito che era tempo di andare.

Dopo aver pagato, usciamo e troviamo il proprietario seduto nel dehors con un amico. Il proprietario si informa se siamo soddisfatti, aspetta la risposta, poi indica l’amico seduto con lui e ci fa: “E lui, lo conoscete?”. Lo guardo, la faccia non sembra ignota, ma più che altro mi pare un qualsiasi tarro torinese ben oltre la quarantina. Il proprietario ci guarda, sorride, e poi, con orgoglio, ci dice: “E’ il fotografo di Corona!”. Il mio vicino sbarra gli occhi, al che lui aggiunge: “Quello che ha scoperto Lapo! Ma dai, è andato anche a Striscia la Notizia!”.

Lì, io collego: qualche mese fa, quelli di Striscia avevano rotto le scatole all’infinito – persino durante il TG5 – promettendo “scottanti rivelazioni sul caso Lapo Elkann”. Essendo presumibilmente una di quelle sere in cui la puntata dei Simpson su Fox si era rivelata una replica riproposta per la decima volta, avevo anche visto il servizio (dato che su Internet non si butta via niente, eccolo qua). Rispetto al servizio, si era rasato il pizzetto e stinto i capelli, ma era lui.

I due cercano invariabilmente di trascinarci nella conversazione, sembrando ansiosi di discutere dei dettagli. Noi facciamo l’osservazione standard ISO richiesta in questa situazione – “ma pensa uno che sta con Martina Stella e va con un trans” – e poi ce ne andiamo. L’unica domanda seria – “quanto paga Striscia?” – non sarebbe stata gentile, e poi siamo pur sempre piemontesi. Però, pensate a come se la tirerà questo tizio per il resto dei suoi giorni…

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giovedì 14 Giugno 2007, 15:18

Sloppy writing

Ok, la pronuncia è quasi uguale; ok, in italiano sono la stessa parola. Ma l’inglese è la tua madrelingua, mica la mia: quindi perché devo passare dieci minuti a spiegarti la differenza tra councillor e counselor?

(Però dev’essere una confusione comune, vista la nota che hanno dovuto aggiungere persino in cima alla pagina di Wikipedia…)

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mercoledì 13 Giugno 2007, 09:38

Connessioni

Ma il personaggio dell’“Architetto” in Matrix era basato su Vint Cerf?

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venerdì 25 Maggio 2007, 11:27

Al cine vacci tu

Non avevo ancora visto il Giro quest’anno; anzi, devo ammettere che da molti anni ormai lo guardo sempre meno, tra impegni lavorativi crescenti e qualità ciclistiche decrescenti. Eppure, in questi due giorni di montagna mi ci sono dato, nelle pause tra un lavoro e l’altro, e ieri ne sono stato completamente rapito.

La tappa di ieri rispondeva all’improbabile nome di Scalenghe – Briançon, un po’ come un Cavese – Manchester United che arrivasse sì all’Old Trafford, ma partisse dal Lamberti di Cava de’ Tirreni. Breve, ma epica, prevedendo due cime leggendarie come il colle dell’Agnello e l’Izoard. Ed epica è stata, con un approccio a velocità pazzesca a lasciare subito tutti sulle gambe, e un equilibrio incredibile tra i cinque, sei corridori sopravvissuti. Con tutte le canoniche storie e storielle a punteggiarla, e il gregario Piepoli che tira alla morte per cinquanta chilometri per il suo capitano e poi scoppia, e Garzelli che resiste coi denti sulle strade della sua ultima grande vittoria, senza più Pantani a fargli l’andatura, e Savoldelli che da un anno preparava la tappa e ieri è scivolato sulle strisce e gli fa male, e mentre scivola sempre più indietro gli viene da piangere e quasi da mollare la bici lì in mezzo a un prato; e i vecchi francesi in fuga di giornata, e i giovani che reggono e stupiscono tutti.

Alla fine, Simoni è il fesso di sempre e vince Di Luca. Il rilevante, però, è che si verifica proprio quel miracolo senza tempo di cui canta il Paolo Conte del periodo migliore, e i francesi che s’incazzano, e i giornali che svolazzano; e tutti noi che avremmo altro da fare, ma non riusciamo a smettere di guardare: forse avremmo da andare al cine, ma al cine vacci tu. Perchè non si spiegherebbe altrimenti come, nell’anno del Signore duemilaesette, ci siano ancora migliaia e migliaia di persone che si inerpicano sulle pietraie alpine con ogni mezzo possibile – poche auto, parecchi camper, una infinità di biciclette da corsa e se no, signori, a piedi – per accamparsi per uno o più giorni sul ciglio di una strada, solo per gridare “Alé” per una frazione di secondo, quando passa il primo della lista; e poi ancora “Alé” quando passano il secondo, il terzo e giù giù fino all’ultimo, che a differenza dei campioni è un onesto impiegato che guadagna al più come un vicedirettore di filiale bancaria, ma si tira su una bici a trenta all’ora per duemilacinquecento metri di dislivello, per poi riportarla giù a novanta all’ora e a pochi centimetri dalla roccia, e poi ancora su per altri mille metri abbondanti.

Sì, anche il ciclismo, come altri sport secondari al calcio ma non minori, ti può permettere di eliminare un po’ di fame e raccogliere un po’ di fama; ma non certo in modo tale da giustificare la fatica assurda che (doping o non doping, che la bici comunque non si muove da sola) si compie in questo sport; paragonabile probabilmente solo alla maratona, però a una maratona fatta tutti i giorni per tre settimane. Come nella maratona, la forza fisica è relativa, e sono molto più importanti la testa, la tattica, la capacità di sfruttare quelle risorse misteriose che gli esseri umani trovano soltanto nelle situazioni disperate o nelle sfide contro se stessi.

Da Scalenghe a Briançon, potevano comodamente arrivare in macchina in un’oretta. Farlo in cinque ore su una bici, passando per il percorso più lungo e arduo possibile, è chiaramente masochismo. Dev’essere per questo – per questo senso di sfida sbruffona e insensata, però mai rimangiata, e sempre regolarmente portata a termine a prezzo di grandi sacrifici – che il ciclismo è uno sport eccezionale.

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mercoledì 16 Maggio 2007, 18:13

Eragon

Nonostante le sfighe, qualcosa di buono nel volo di ritorno c’è stato: sono riuscito finalmente a vedere Eragon, filmone fantasy che mi ero perso al momento dell’uscita al cinema.

Il film è ambientato in un mondo fantastico, popolato da uomini e draghi; un mondo in cui non è ancora giunto alcun ritrovato della tecnologia moderna, ad eccezione del gel modellante per capelli. Il film prende il nome dal protagonista; il nome è stato in realtà selezionato mediante una batteria di supercomputer impegnati a calcolare tutte le variazioni possibili della parola “dragon”; sfortunatamente, il programma girava sotto Windows, e così, dopo ripetuti schermi blu all’avvio dell’applicazione, gli autori si sono fermati al primo step.

Il film narra la storia di due attori. Il primo è vecchio e da tempo fuori dal proprio periodo glorioso, e passerà tutta la durata del film a convincersi di poter credere di nuovo in se stesso, fino a riuscire ad imitare ancora Viggo Mortensen. Il secondo inizia il film da biondino spavaldo ma incapace, e finisce il film da biondino spavaldo ma incapace, lasciando gli spettatori a chiedersi di chi sia parente per aver avuto la parte. E’ comunque vero, però, che durante la storia egli scoprirà dentro di sè capacità misteriose e soprannaturali, come quella di materializzare e smaterializzare un cavallo ogni qual volta ciò sia funzionale alla trama del film.

La sua capacità principale, comunque, sarà quella di mettersi in contatto immediato con un centro di controllo aereo – e senza nemmeno doversi dare un colpetto con la mano sul petto! – rappresentato da un drago realizzato in grafica computerizzata; peccato che Uhura sia doppiata da una signorina del 12. In una serie di battaglie epiche, Eragon invocherà l’aiuto del proprio drago, che invariabilmente risponderà con voce flautata, declamando una frase qualsiasi sempre come se fosse “Il numero da lei selezionato è inesistente”.

Il cast è completato da attori di fama, come John Malkovich nella parte del re per dieci secondi (compare in cinque scene da due secondi l’una) e Rachel Weisz nella parte del nome nei titoli di coda.

Insomma, che dire? Eragon si rivela un orrendo polpettone costruito sulla scia del Signore degli Anelli; gli sceneggiatori, in particolare, andrebbero frustati e spellati vivi. L’unica scena che si salva è quella, purtroppo di pochi secondi, in cui l’immancabile principessa elfa strafiga viene catturata e distesa seminuda su un tavolo (quale prigioniero non viene disteso seminudo su un tavolo?), dove il supercattivo mago Oronzo le provoca orgasmi a ripetizione con la sola imposizione delle mani. Per il resto, il film scorre; scorre anche troppo, visto che ogni tanto sembra di avere schiacciato il pulsante del fast forward, passando in cinque minuti dall’iniziazione dell’eroe alla sconfitta del cattivo e di lì alla battaglia finale, con personaggi che appaiono e scompaiono nel giro di tre scene. Probabilmente sarebbe venuto meglio se fosse stata una trilogia; ma, visto il risultato, dubito molto che i due seguiti già programmati – Fragon e Gragon – si faranno davvero.

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mercoledì 9 Maggio 2007, 08:57

Deglutiamoli

Non ero mai stato all’Università Bocconi in vita mia; ci sono entrato per la prima volta ieri, visto che ospitava la nostra assemblea di Società Internet.

La cosa comincia male, perché sono in ritardo, visto che il mio analista si è scordato della seduta per la seconda volta di fila (è chiaramente una sua resistenza inconscia all’incontro con me; come tale, mi sento titolato a chiedergli di pagarmi ugualmente per le due sedute). Così, a fronte di un inizio riunione alle 13 in piazza Sraffa 13 Milano, io alle 11:40 sto imboccando corso Marche a Torino.

Nel mezzo, c’è la “autostrada” Torino-Milano, quella dove ambienteranno il prossimo numero del videogioco di rally di Colin McRae: chicane ogni chilometro? segnaletica orizzontale a tre strati contraddittori? pullman greci a ottanta all’ora che superano camion a settantacinque? limiti di velocità che cambiano ogni cento metri? tutto questo e anche più: ora (nuovo!) con i cantieri anche da Novara a Milano!

Nonostante questo, con una applicazione rigorosa del principio vauto = vlimite + 40, alle 12:45 sono in viale Certosa, per infilarmi poi nel centinaio di semafori ad onda rossa che intasano la circonvallazione tra piazzale Lotto (che, scopro, è intitolato al pittore e non al più noto gioco d’azzardo) e il Naviglio Pavese. Ho ancora speranza di farcela, visto che ieri ho chiesto a Simone (l’esperto di Milano) se quella della Bocconi, a sud di Porta Ticinese, sia zona parcheggiabile e se si paghi, e lui mi fa: tranquillo! è fuori dalle mura, di sicuro non si paga.

Difatti, arrivo lì ed effettivamente non si paga, nel senso che l’intero quartiere è zona gialla riservata ai residenti; girando lì attorno, trovo in due soli punti rispettivamente venti posti blu (con macchine su tre file) e un pezzo di parco collettivizzato a parcheggio selvaggio. Penso di far brillare la macchina, ma poi, come un miraggio, appare un cartello con la P, che mi guida a un parcheggio sotterraneo da 1,50 euro l’ora (nemmeno tanto), che è proprio sotto l’Università: così arrivo in sala alle 13:15, prima che inizi l’incontro.

Ovviamente l’edificio è strafigo: vi dico soltanto che, stando alle mappe sui muri, non ha un atrio ma un “foyer”, e non ha le macchinette distributrici di cibarie negli angoli, ma una “sala break” con le suddette macchinette incastonate in eleganti chioschi di legno. Il resto è molto milanese, compreso il cartello appeso in multiple copie sul bancone del bar di fronte alle macchinette, scritto in caratteri cubitali in grassetto, che specifica che le macchinette non sono in gestione al bar e quindi il bar non fornisce gratuitamente tovagliolini e altro materiale per fruirne i prodotti.

Tuttavia, comincio a notare alcune cose un po’ strane. Ad esempio, durante la riunione, c’è sempre un fastidioso rumore di fondo, che a tratti diventa così forte da non riuscire a sentire la persona che parla a due metri di distanza. Guardiamo fuori, e scopriamo che attorno all’edificio ci sono almeno tre diversi edifici in costruzione o in ristrutturazione, con tanto di gru, muratori e martelli pneumatici. Diventa impossibile persino chiacchierare del più e del meno, e quindi ci chiediamo: ma come fanno a fare lezione?

Alla pausa, alle tre meno un quarto, andiamo a prendere un caffè e scopriamo un’altra cosa strana: il bar – pardon, la sala break – è pieno, stracolmo di studenti. Sono tutti bambinetti bauscia, firmatissimi dal primo all’ultimo pelo di mutanda, con regolamentari vite basse e marchi bene in vista. Cazzeggiano allegramente. Vabbe’, saranno in pausa, dico io: eppure alle tre e venti sono ancora lì. Esco per fare una telefonata, e verso le quattro non solo sono ancora lì, ma diventano uno sciame, una folla strabordante che annichilisce il mio Nokia insieme ai persistenti martelli pneumatici, e mi costringe a mettere giù. Sono tutti firmati. Saranno centinaia, ma sì e no una ventina hanno dei libri sotto braccio. Uno ha dei volantini di una assicurazione personale, con cui abborda le tipe dalla quarta in su (ai miei tempi però si propagandavano discoteche: come cambiano i tempi…). Due guardano il manifesto di Azione Universitaria che invita gli studenti a un concerto elettorale con Faso, Cesareo e Meyer (non sapevo fossero fascistoni). Gli altri, ridacchiano.

Per carità, la mia è una prima impressione e come tale è probabile che sia sbagliata, ma mi resta l’idea che, ecco, quaggiù non si faccia un cazzo (come peraltro, purtroppo, ormai nella maggior parte delle Università italiane).

Però non mi rassegno, mi ci arrovello, e alla fine ho l’illuminazione: gli studenti sono solo una copertura. Il vero scopo di questa Università è costruire nuovi metri cubi di cemento nel centro città col mercato immobiliare più caro d’Italia. Non può che essere così.

E, rassicurato sul luminoso futuro dell’Università italiana pubblica e privata, mi preparo volentieri per la cena.

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