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Archivio per la categoria 'Itaaaalia'


domenica 5 Agosto 2007, 23:25

Atterraggio

Succede in anticipo, già quando scendi dal treno per Stansted e ti avvii verso la zona del check-in dei voli per Bergamo, che Ryanair ha appropriatamente collocato proprio in fondo all’aeroporto, separata da quelle degli altri. Lì avviene già la selezione, e ti ritrovi di colpo in mezzo agli italiani.

E così, è dura lasciare Londra, e ritrovarsi d’improvviso in Italia, tra gruppi di scout e scolaresche in viaggio studio che non hanno imparato una parola d’inglese, ma che chiacchierano di canne, di furti reciproci, di compiti in classe copiati di straforo, e di svariati libri di Federico Moccia; e poi applaudono all’atterraggio, come chi non ha mai visto un aereo in vita sua, per poi alzarsi in massa quando l’aereo è ancora sulla pista, fregandosene dei divieti, e accendere in blocco i telefonini. Poi scendi e vai in bagno all’aeroporto di Bergamo, dove i cessi sono sporchi in modo indescrivibile, e c’è pure uno che caga senza chiudere la porta; e poi ti infili su un’autostrada piena di cantieri infiniti, e di vasi di geranio schiantati sulla corsia di sinistra.

Non sono affatto esterofilo, ma tocca purtroppo dire, avendole viste entrambe, che l’Italia di oggi assomiglia molto di più all’Argentina che all’Inghilterra. Temo che sia un po’ come quella sensazione di cui ti parla chi è venuto a studiare o a lavorare a Torino dalla campagna o da un paese del Sud, e ti dice che gli fa sempre piacere tornare, rivedere i posti e gli amici, ma non riuscirebbe più a viverci per troppo tempo; perché tutto sembra così piccolo, chiuso di mentalità, e provinciale, e anche marcio e strafottente, e limitante, e destinato comunque a rimanere così, con piena soddisfazione di chi ci vive, che si lamenta spesso ma poi ci sguazza, perché altrimenti se ne sarebbe già andato.

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mercoledì 1 Agosto 2007, 23:09

Cincinnatemi

Non ho mai visto tante tette e tanti culi come sulle televisioni private del Veneto. Praticamente l’intera programmazione è composta da televendite di stimolatori elettrici scioglipancia, panche per addominali e pillole dimagranti, con i conseguenti zoom su parti del corpo variamente assortite, come in macelleria. In alternativa, le televisioni private venete mandano anche televendite di scarpiere o di batterie di pentole, però anche queste concluse con ardite inquadrature da vicino sulla generosa scollatura delle presentatrici. L’effetto ipnotico che da ciò deriva ci ha portato spesso a passare le mattinate – specie la pausa tra i pancake delle 11 e il pranzo di mezzogiorno – come ipnotizzati su Telealto Veneto o Retechiara.

Tutto ciò, vi assicuro, rimette decisamente in prospettiva le notizie dei telegiornali dell’estate, da Gustavo Selva che, nella crisi interiore che lo ha portato a ritirare le proprie dimissioni su richiesta del popolo, scopre per conseguenza che la sua vera anima sta in Forza Italia, a Cesare Previti che si dimette da uomo innocente, visto che ormai quale onesto cittadino che si occupi di politica non ha una condanna penale sulle spalle?

Ma in fondo, finché ci saranno i culi vibranti delle televendite (e le figlie giovani dei ristoratori della zona) a fornirci argomenti di conversazione tra una bottiglia di vino e mezzo chilo di polenta, la vita potrà proseguire in modo ruspante, lontano dalla corruzione e dal degrado morale della grande città. Evviva la semplicità!

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sabato 28 Luglio 2007, 23:49

Ortigara

Mi sembrava un peccato venire su queste montagne senza vederne nemmeno una; così oggi, lasciando il resto del gruppo a casa a giocare a pinnacola o alla Playstation, dopo pranzo ho preso la macchina e mi sono arrampicato su per l’altopiano, avendo come meta il monte Ortigara.

Anche solo giungere all’inizio del sentiero è un’avventura; da Gallio si prende una strada stretta e ripida che sale fino ad una valle, in cui si aprono gli impianti di fondo; dopo averli superati, si salgono altri tornanti in mezzo ai prati, cercando di evitare le mucche che attraversano placide la strada. Dopo una decina di chilometri, l’asfalto finisce, e si passa su una sterrata che, per quanto agevole e ben spianata, costringe ad andare a quindici all’ora per quasi una ventina di minuti. Dopodiché, ricomincia l’asfalto per gli ultimi quattro chilometri (credo che sia perchè il tratto in mezzo è in comune di Roana, che sta da tutt’altra parte e a cui di quella valle, non avendo nè le piste da fondo in basso nè i rifugi in cima, non potrebbe fregare di meno).

Insomma, dopo una mezz’oretta di paesaggi alpini si giunge ad un grande piazzale sterrato, dove si lascia la macchina. Da lì partono vari sentieri; quello per l’Ortigara è ampio e carrozzabile (anche se ovviamente chiuso a catena), ma parecchio ripido. Insomma, dopo venti minuti di rampe e di respiro affannoso si giunge infine al monte Lozze, poco sotto i duemila metri, che è il punto di partenza per visitare l’Ortigara.

Al Lozze ci sono tutte quelle cose che vi aspettereste in un medio crocicchio d’alta montagna, come il rifugio dove servono polenta e funghi, o la chiesetta con il registro dei visitatori. Ci sono, però, anche altre cose; come almeno tre generazioni di lapidi e cartelli più o meno scoloriti in memoria dei caduti dell’Ortigara; un ossario; vari resti di trincee e gallerie dell’esercito italiano; e una colonna su cui, accanto alla bandiera italiana, svetta una statua della Madonna che guarda avanti verso la montagna.

Immagino che il nome del monte Ortigara non vi suoni sconosciuto; eppure, non credo siano molti quelli che sanno esattamente perchè venga tuttora ricordato per le vie e per le piazze di mezza Italia. Qui, durante la prima guerra mondiale, passava il confine tra l’Italia e l’Austria; gli austriaci, che possedevano l’alta Valsugana, erano risaliti su per le pareti rocciose a strapiombo per installare una linea di difesa proprio in cima all’altipiano, guardando giù verso le valli italiane. Il monte Ortigara è uno dei più alti di questa linea; qui, tuttavia, gli italiani cercarono di sfondare nell’estate 1917, mandando gli alpini al massacro, senza infine riuscire nell’impresa. Tra il Lozze e le pendici dell’Ortigara si aprono un paio di chilometri di collinette, che gli alpini dovettero conquistare palmo a palmo; e poi dovettero risalire gli ultimi duecento metri di dislivello, su per il costone pieno di trincee e mitragliatrici austroungariche.

Il sentiero lascia la Vergine del Lozze, che dall’alto sovrasta il teatro della battaglia. Prosegue in mezzo a dei bassi abeti che novant’anni fa forse non c’erano, aggirando buche e trincee scavate nella roccia; qui non si sono sentiti di usare i soliti marcatori bianchi e rossi, e hanno segnato il sentiero con un bel tricolore bianco rosso e verde. L’avanzata è difficile, un continuo saliscendi tra le rocce, e viene naturale immedesimarsi in ciò che doveva essere farla sotto le pallottole o anche solo con lo zaino in spalla.

Alla fine, si arriva nel mezzo di una valle meravigliosa, coperta di verde e di fiori, e poi si risale per un crinale ripido verso la cima. La fatica è pesante, e quando ci si avvicina alla vetta spuntano altri buchi; trincee e fortificazioni austriache, questa volta. Tutto il crinale è scavato e bucato per difendere la punta della montagna.

La cima spunta all’improvviso; qualche anno dopo la battaglia, ci venne eretta una colonna mozzata come monumento. La colonna è coronata di spine, residui di filo spinato e gavette arrugginite ripescate dal carnaio di novant’anni fa. La cima è quasi piatta, rocciosa, battuta solo dal vento e dal silenzio; intorno si aprono valli e cime altrettanto rocciose ed appiattite. Una targa spiega che la vetta fu conquistata il 19 giugno 1917, e ripersa il 25 giugno. Quante vite per ciascuno dei sei giorni, non è riportato, ma ve lo dico io: a fine battaglia si contarono quasi seimila tra morti e dispersi, e oltre quindicimila feriti.

Poco più lontano, hanno installato una campana. Se volete, nel silenzio dell’altipiano la potete suonare; per ricordare le anime perse per un’idea di patria, o più prosaicamente per la leva imposta dal re. Il rintocco, portato dal vento, fa uno strano effetto; una immagine come di fantasmi. Dall’altro lato, proprio a picco sulla Valsugana, c’è il cippo degli austriaci; eretto a ricordo dell’altro e uguale lato della storia, ma, necessariamente, su una cima leggermente più bassa.

Potete attraversare qualche altra trincea, e scendere a picco per la parete retrostante, attraverso una teoria di gradini di roccia oggi protetti da un corrimano d’acciaio nero. A un certo punto, la discesa è verticale, e il sentiero sembra sbatter contro un muro; poi una freccia dipinta vi spinge nel ventre caldo della montagna, in un buco fetido e umido. Al buio, scendete gradini invisibili e bagnati, pregando di non venire inghiottiti in qualche voragine preistorica; e ne uscite sfiorando la roccia con la testa, presso una targa che ricorda come la spirale che avete disceso ospitasse per anni una manciata di mitragliatori.

Vista dal giorno d’oggi, quella fu una battaglia inutile, per conquistare un palmo di terra che oggi sta tra una distesa di barbecue e pic-nic, e un fondovalle ripieno di capannoni e superstrade. Eppure, se la seconda guerra mondiale fu quella della vergogna, del disfacimento dell’Italia tra il nazifascismo e la guerra civile, la prima guerra mondiale è il punto più alto del sentimento nazionale, il momento in cui il valore collettivo di un popolo tradizionalmente vigliacco e individualista emerse in qualche modo, grazie al sacrificio di un esercito per la prima volta nazionale.

Chiunque di noi sia nato nel Nord Italia, ma anche moltissimi nel Centro e nel Sud, ha almeno un parente morto nella Grande Guerra, spesso giovanissimo. Se non sapete di averlo, è solo perché l’avete dimenticato. Ogni tanto, allora, fa bene prendere le misure di ciò che fu soltanto qualche generazione fa, della rinfusa di metalli e brani di scarpe e baionette che giace negli ossari, e capire come in fondo, anche in un’epoca fortunatamente di pace e di fratellanza quasi globale, abbia ancora un senso riconoscersi nell’unità di una nazione; costruita e cementata col sangue.

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mercoledì 25 Luglio 2007, 08:59

Ancora telegiornali (2)

Chiudo questa carrellata del triste panorama della teledisinformazione italiana ancora con il TG5, che si è distinto per un’altra idea originale. In un servizio sui costi delle vacanze in Italia e in Europa, appare un cartello che confronta i costi di Rimini con quelli dell’isola di Krk, in Croazia. Si percepisce anche l’esitazione dello speaker, che non ha idea di come si pronunci il nome, e alla fine emette un suono un po’ da ingranaggio inceppato.

Peccato che l’isola di Krk abbia un proprio nome in italiano, Veglia, che compare tuttora sugli atlanti e nei nomi delle vie delle nostre città, ed è stato regolarmente utilizzato negli ultimi dieci secoli, per buona parte dei quali l’isola è stata italiana di popolazione, quando non di diritto.

Si potrebbe ancora capire la cosa se nel resto del servizio si fosse parlato di London e Paris, mentre invece, ovviamente, si parlava di Londra e Parigi. E allora perché? O è la solita ignoranza del giornalista italiano medio, o è una certa resistenza a ricordare la triste vicenda dell’esodo degli italiani dall’Istria e dalla Dalmazia tra il 1920 e il 1950.

In ogni caso: ma che telegiornali guardo?

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mercoledì 25 Luglio 2007, 08:57

Ancora telegiornali

Per par condicio, vorrei segnalare anche il TG3, che ha aperto un proprio telegiornale serale con un lungo servizio sull’aggressione politica alla Procura di Milano, che si sta occupando del caso Unipol-DS. Il servizio, per svariati minuti, riportava le opinioni di qualsiasi politico di alto, medio e piccolo cabotaggio del firmamento italiano. Peccato che non si dicesse mai di che cosa si parlasse, se non in due secondi all’inizio: “delle intercettazioni tra Consorte e sei politici italiani”.

Diceva proprio così: “sei politici italiani”. E in parecchi minuti neanche una volta ne faceva i nomi, compresi i due che sono su tutti i giornali, D’Alema e Fassino. Sai mai, magari in questo modo i fedeli ascoltatori di Telekabul si convincono che si tratti ancora di Craxi e Forlani

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giovedì 19 Luglio 2007, 13:10

I lavoratori della conoscenza

Vi giuro che ho tutte le intenzioni di cambiare argomenti e smetterla di fare post sulla corruzione morale e materiale dell’Italia; però Fiorello Cortiana mi ha appena mandato il link al mio intervento al suo convegno Condividi la Conoscenza 3 di un mese fa a Milano, centrato sulla condizione dei giovani lavoratori dell’informatica nostrana, e così ho deciso di farvelo vedere. Io sono il puffo marrone sulla destra.

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mercoledì 18 Luglio 2007, 16:36

Mostri

Quando muore qualcuno, specialmente una persona molto giovane, è sempre una grande tragedia. Tuttavia, sono rimasto piuttosto colpito dalla specie di isteria collettiva, istigata dai media, che si è scatenata negli ultimi due o tre giorni, a proposito dei morti investiti da guidatori ubriachi.

Per dire, l’altro ieri a Ischia è morto un bimbo di quattro anni, folgorato da una lampada dell’illuminazione pubblica apparentemente male installata; anche qui una morte per dolo, se volete anche peggiore, visto che il bambino era piccolissimo, e che l’elettricista che ha fatto quei lavori probabilmente non era ubriaco. Eppure, ci si è limitati a qualche servizio sui telegiornali, e articoletti nelle pagine di cronaca, parlando di fatalità.

La morte della ragazza di Rivalta, invece, è diventata subito uno psicodramma nazionale: la prima pagina dei giornali e parecchie all’interno, ampie telecronache dei funerali, corsivi ed editoriali indignati, prediche di vario genere contro chi beve e si sballa (pure una di Gigi D’Agostino…) e una specie di linciaggio collettivo dell’investitore, che sicuramente ha tutte le colpe di questo mondo, ma che è diventato immediatamente un mostro, complice un giudice pistolero che, tra gli applausi della folla, si è inventato una accusa di omicidio volontario che non sta nè in cielo nè in terra, come se il tizio al volante si fosse detto “guarda quella tipa lì, adesso la ammazzo”. E poi il trionfo del kitsch popolare: interviste apologetiche, striscioni appesi alle finestre, richiami melensi agli angeli volati via, prolusioni funebri che terminano con “Ciao panzerottina mia”, Vivere e Albachiara di Vasco Rossi a tutto volume. (Anche a Roma sono morti due ragazzi in un incidente stradale, e anche lì hanno usato Vivere come colonna sonora del funerale: ma sarà Vasco che porta sfiga?)

Senza nulla togliere al dolore di chi perde una persona cara, io mi sono interessato agli altri, per cui questa morte in teoria non ̬ diversa dalle centinaia di morti sulle strade che accadono ogni settimana; e mi sono chiesto il perch̬ di questa ondata di indignazione. Non sono affatto sicuro delle conclusioni, ma ho il sospetto che dipingere come mostri i guidatori alterati Рspecie quelli che lo fanno di professione, sballandosi o bevendo tutte le sere Рsia un modo per liberarsi la coscienza.

Già, perchè anche se sapete benissimo che io sono per la responsabilità individuale delle proprie azioni e contro alle giustificazioni sociologiche per i criminali, bisognerà pur chiedersi come mai ci sono in giro così tanti giovani che passano la vita a sballarsi, in numero crescente. Solo che bisognerebbe cominciare a parlare di quali sono i valori che la classe dirigente di questo Paese ha messo in mostra nella vita pubblica e ha trasmesso ai propri figli nel privato; e quali sono le opportunità che questo Paese offre a un giovane magari non troppo intelligente e di famiglia non troppo ricca ed educata. A parte ubriacarsi e mettere sotto qualcuno per disperazione.

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lunedì 16 Luglio 2007, 18:07

La casta

Stamattina, mentre ero in macchina con la radio accesa, ho sentito su Radio Flash l’intervista a un sindacalista della FIOM. Parlava della situazione del settore metalmeccanico a Torino, ovviamente piangendo miseria, lamentandosi dello scalone, battendo cassa su tutto e con tutti.

Comunque, la cosa che mi ha colpito di più è stata la chiosa finale, quando egli ha esposto il seguente ragionamento: siccome in Piemonte ci sono aziende metalmeccaniche che stanno chiudendo (come la Thyssen-Krupp di corso Regina Margherita) e altre che sono in espansione, pretendiamo dagli imprenditori un accordo per cui le aziende che si stanno espandendo si impegnano ad assumere innanzi tutto i lavoratori licenziati da quelle in crisi.

Ecco, questa proposta riassume perfettamente l’idea di industria e di società che i sindacati della sinistra tradizionale hanno in mente. Per prima cosa, i lavoratori sono dei numeri; dei pacchetti postali tutti uguali, tra loro intercambiabili, che si possono prendere e spostare di qua e di là. Che negli ultimi decenni anche gli operai siano diventati altamente specializzati, diversi uno dall’altro, è un concetto che sfugge; così come la possibilità che la crisi di certe aziende possa essere dovuta anche alla scarsa qualità o allo scarso impegno dei loro lavoratori, e che quindi prendere questi lavoratori e iniettarli in blocco in altre aziende possa non essere la cosa più furba da fare. E dire che la Fiat si è ripresa proprio quando (specie tra gli impiegati) ha spedito a casa in qualche modo le piante da ufficio cinquantenni, e ha assunto giovani al loro posto; ma questa cosa, naturalmente, va negata in tutti i modi.

Soprattutto, è agghiacciante l’idea che per essere assunto in una azienda metalmeccanica non conti quanto sei bravo o quanta voglia hai di fare, ma solo se eri già prima un metalmeccanico. Scoprii questo principio al Politecnico, quando protestammo per le aule sempre sporchissime per via della scarsa lena dello staff delle pulizie, e ci spiegarono che in Italia esiste una legge per cui, quando si toglie l’appalto a una ditta delle pulizie e lo si dà ad un’altra, quella nuova è obbligata ad assumere tutti i lavoratori di quella precedente; insomma, un sistema perfetto per garantire ai dipendenti un posto a tempo indeterminato, uguale per tutti indipendentemente dal merito, potendo nel contempo ogni tanto, al cambiar dei venti politici, cambiare il raccomandato che guadagna su di loro. (Questo è il motivo per cui in Italia qualsiasi cosa pubblica, dai treni agli ospedali, è irrimediabilmente sporca.)

Ma che la risposta dei metalmeccanici alle numerose caste che abusano del nostro Paese sia la proposta di crearne un’altra per sè, magari trasmissibile di padre in figlio, fa proprio tristezza.

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venerdì 13 Luglio 2007, 10:43

Promozione

Da una settimana – il giorno della presentazione della nuova 500 – passa sulle reti televisive un lungo spot della Fiat, in alcune varianti; certamente l’avete visto – in ogni caso è qui.

Detto che la nuova 500 mi sembra molto bella e che se ne facessero una versione diesel sopra i cento cavalli potrei anche prenderla, la campagna di presentazione è stata degna di nota, soprattutto perchè, a fronte di una spesa notevole, la macchina si è vista poco. E’ vero che la 500 si vende da sola, visto che è associata a un ricco patrimonio di emozioni, almeno per gli italiani sopra i trent’anni; è vero che hanno fatto un vero e proprio show mobilitando tutta Torino. Ma nella campagna pubblicitaria, la 500 si vede pochissimo.

Tuttavia, secondo me lo spot è insieme bello ed azzeccato. Bello perchè sfugge alle normali regole commerciali e cerca di porsi oltre la necessità di vendere il prodotto; cerca invece di identificare la Fiat con l’Italia e quindi con i suoi clienti. In questo, ci sono effettivamente alcune scelte che per la Fiat sono storiche, come quella di aprire lo spot con le immagini degli operai in corteo negli anni ’70: per una azienda dove ancora dieci anni fa una parte integrante della formazione dei giovani quadri era andare a fischiare dall’interno quelli che fuori scioperavano, è un salto culturale notevole (per quanto si possa discutere su quanto esso sia sincero, e quanto di facciata).

E quindi, è azzeccato, perchè uno dei problemi dell’Italia attuale è la mancanza di valori e di modelli, spariti in un gorgo di degrado morale ed economico di cui spesso non si vede l’uscita. Lo spot, invece, presenta sotto il marchio Fiat un’Italia opposta, quella che pensiamo di aver perduto. Dice che la Fiat sta insieme a quanto di più nobile o esaltante ha fatto l’Italia, da Giovanni Falcone a Valentino Rossi. Soprattutto, dice che la Fiat ce l’ha fatta, la Fiat sa come si esce dalla crisi di mercato e di valori, e vorrebbe estendere questo successo a tutta l’Italia.

In altre parole, affidatevi a noi, non solo come produttori di automobili, ma come nuova guida morale ed economica del Paese.

Insomma, quanti mesi mancano alla candidatura di Montezemolo a prossimo Presidente del Consiglio?

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giovedì 12 Luglio 2007, 14:13

La diversità della sinistra

Devo dire che quelli di Sxnet dovrebbero pagarmi: il mio post ha dato vita ad un thread che è di gran lunga il più frequentato di tutto il sito. Certo, la risposta più frequente a qualsiasi argomento venga portato è “Noi il Partito Democratico non lo voteremo mai”, che è peraltro ciò che pensa il 99% degli italiani (il rimanente 1% sono quelli che hanno un parente nei DS o nella Margherita), ma non mi sembra una risposta coerente alle mie osservazioni.

Comunque, immaginate quant’è stato buffo ieri sedersi sul Leonardo Express (“express” è una battuta, visto che impiega 31 minuti per percorrere una ventina di chilometri) da Fiumicino a Termini, e trovarsi accanto a due tizi, uno dei quali aveva una spilla con una stella rossa con la faccia di Garibaldi (credo), chiaramente appartenenti a Rifondazione; ovviamente, discutevano di poltrone.

In particolare, discutevano delle nomine in un gruppo di 32 persone (forse il direttivo nazionale, o un qualche gruppo costituente del nuovo ammassone Rifondazione – PdCI – Verdi – ex sinistra DS), di cui 28 sarebbero state indicate dal partito, e quattro dalla “società civile”, quindi al di fuori dei dirigenti del partito; e di un tal Domenico Jervolino di Napoli, che non rientrando nella lista dei 28, pur essendo un dirigente del partito, doveva assolutamente essere fatto rientrare in quella dei quattro, a nome di un “forum”, trombando così la persona indicata dai partecipanti e che avrebbe legittimamente potuto rappresentare il forum suddetto. E così, tra racconti di conversazioni con Fausto [Bertinotti] e con Walter [De Cesaris, il segretario organizzativo di Rifondazione], mi sono subito mezz’ora di racconti di maneggi e strategie di ogni genere per l’accesso alle poltrone.

Mi spiace solo non aver registrato la conversazione: l’avessi postata su Sxnet… beh, no, mi avrebbero detto che l’avevo fabbricata io e che sono un provocatore pagato dalla CIA, e poi avrebbero invocato una legge per proteggere i poveri politici dalle intercettazioni, che anche loro hanno diritto a maneggiare in santa pace. Sempre in nome del popolo, beninteso.

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