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Archivio per la categoria 'NetGov’It'


venerdì 27 Novembre 2009, 19:20

Sicurezza di altissimo livello

Oggi vorrei esprimere pubblicamente la mia condivisione per il manifesto per il wi-fi libero pubblicato sul blog di Gilioli e firmato inizialmente da un centinaio di persone. Alcuni sono amici che vedo spesso, altri sono persone che non conosco personalmente ma che stimo, altri ancora sono politici in cerca di visibilità o bloggherz-vip con l’obiettivo di tirarsela un po’ per fare i fighi, ma la causa è buona e gli perdoniamo pure questa, anzi toh, ringrazio pure la Bresso per aver firmato, anche se posso immaginare chi è stato che ha firmato per lei.

Il motivo per cui da noi ci si inventa qualsiasi cosa pur di fermare la diffusione di Internet è ovvio e già lo sapete: il nostro regime è basato sul controllo dell’informazione e Internet è l’unico media difficile, se non impossibile, da controllare. Anni fa la scusa era combattere il file sharing e con esso l’avanzata del comunismo, poi ci furono le annate in cui andava alla grande la lotta al terrorismo, quindi diventò la repressione dei pericolosi pedofili nerd internettari che violentavano i bimbi a forza di ondate di bit, e più recentemente è diventato il dramma di quella ragazza che ha messo una volta la sua foto su Facebook e da allora è piena di uomini che la baccagliano (nessuno ha capito bene il dramma, ma basta mettere una musichetta inquietante sotto il servizio e il messaggio è passato).

Come residuo degli anni in cui andava di moda la lotta al terrorismo, siamo l’unico paese occidentale in cui è necessario mostrare un documento di identità per collegarsi ad un wi-fi. A meno che, naturalmente, non abbiate presso il vostro vicino casa un router wi-fi di Alice di Telecom Italia, in cui la rete wi-fi viene preconfigurata con una password non modificabile, generata con un algoritmo che da mesi varie persone sostengono di avere craccato. Ecco, lì potrete collegarvi e fare tutto ciò che volete scaricando poi le colpe sul vostro vicino; oppure potete contare sul fatto che, secondo una voce che gira da tempo, la maggior parte delle reti wi-fi degli autogrill italiani dispone di un account di amministrazione dalla password ovvia, così come le reti wireless di istituti, università, centri di ricerca (i lettori affezionati ricorderanno l’unico mio post che abbia mai cancellato in vita mia).

Del resto, le falle di sicurezza sono generalmente di tipo umano, non tecnologico; e sono sicuro che presentandomi in un Internet café fingendo di non parlare italiano, di essere un turista e di non avere con me un documento avrei ottime chance di ottenere tranquillamente un PC, scrivendo dei dati personali a caso su un foglio di carta o non dandoli proprio.

Al di là di queste piccole pecche pratiche, resta comunque la considerazione di fondo: riempire di burocrazia ciò che dovrebbe essere facile e immediato – collegarsi a Internet ovunque e comunque – ha solo l’effetto di mantenere l’Italia in uno stato arretrato.

[tags]wi-fi, sicurezza, connettività, internet, password, pisanu, libertà[/tags]

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sabato 31 Ottobre 2009, 21:02

Discorsi sulla cultura libera

Il mio lavoro di oggi al Free Culture Forum è stato quello di rapporteur del sottogruppo numero 2 del gruppo di lavoro sulle “logiche organizzative e politiche della cultura libera”. Il gruppo di lavoro comprendeva oltre a me una quindicina di altri invitati di vario tipo e provenienza, come Jamie King, David Bollier, Hilary Wainwright, Marco Berlinguer e tanti altri; a un certo punto ci siamo divisi in sottogruppi e a me e Hilary è toccata la riflessione sulla seguente domanda: “ma esiste veramente un movimento per la cultura libera”? Ossia: c’è un insieme di forze sociali coordinate che promuove l’adozione del software libero, dei Creative Commons, di altre risorse libere e condivise a livello mondiale – oppure ci sono solo tante attività diverse e indipendenti?

Questo è il testo del rapporto che ho scritto, riassumendo la nostra discussione di un’ora: vediamo se vi interessa.

The second sub-working group was tasked with discussing the question: “is there really a Free Culture Movement?”.

First of all it was noted that the answer to this question also depends on what you mean by the term “movement”. To this purpose, the approach that we followed was to examine a number of specific cases and to try and find commonalities among them, to determine whether there could be any universal features that could be used to define a single “movement”.

In the end, it became pretty clear that while all participants to the supposed “movement” adopt similar practices in terms of ways to license and distribute content, not all of them do it with the same purpose and for the same reasons. Roughly, two big groups can be identified: people and environments that see the free culture distribution models as a tool, even for professional and business activities, and adopt them in a utilitarian manner – because they work better than others – without questioning the structure of society and without adopting a political agenda, and people and environments that see the free culture distribution models as an end in themselves, and as a way to promote a political agenda and foster a change in society and economy.

This difference can be also traced back to historical reasons, considering for example the cultural differences between the U.S. hacker culture where free software was born, and the European and Southern social centres where free software was embraced and promoted inside a set of broader political actions.

There was some discussion on whether free culture distribution models embody certain values in themselves, so that even the utilitarian adopters might be unwillingly helping to promote the political agenda of the ideological adopters, and on whether an economic co-existence of free culture models and traditional intellectual property-based models is sustainable in the long term, making the utilitarian approach sustainable in the long term as well. While there certainly are values embedded in the models, it is also likely that if the political agenda of the ideological adopters were to be pushed too far, the utilitarian adopters would disassociate themselves from the “movement” – this was evident in recollection of the distance existing between, for example, Creative Commons and the peer-to-peer file sharing movement.

In the end, we made an attempt to identify some commonalities among the several cases of adoption of free culture models that we examined, and among their adopters:

  • they see value in the act of sharing, though the type of value (political, social, economical or all of these) varies case by case;

  • they draw on the horizontal, networked, distributed organization typical of the Internet model, and on the lack of hierarchies and centralized validation and authorization processes;

  • they struggle for acceptance of the new distribution models in their own environments, though acceptance by whom and for which reasons varies case by case;

  • they tend to become self-aware as a reaction to the threats by established players who want to resist such acceptance, though again the type and motivations of these players varies case by case.

Rather than a “movement”, free culture looks like a big square which people are entering and leaving in different directions. The fact that we meet in the square and share a part of our path together may give the illusion that we all move in the same way, but it is not enough to define all of us as being part of a single “free culture movement”.

[tags]free culture forum, cultura libera, software libero, politica, società, innovazione, movimenti[/tags]

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mercoledì 7 Ottobre 2009, 22:30

A che servono le conferenze

La cosa più straordinaria di conferenze come l’IGF Italia non è tanto l’evento in sé.

La cosa più straordinaria è la mescolanza di persone eccezionali, dalle provenienze più disparate, con la voglia di scambiare e la capacità di provocarsi a vicenda nuove idee.

Capita dunque di passare la serata in Piazza della Pera accanto a Fiorello Cortiana e Luciana Castellina che discutono di anni ’70, di Lotta Continua, di visite a Sofri in carcere e delle ragioni della morte di Alex Langer.

O di incrociare Stefano Rodotà, sempre così gentile con tutti, e chiedersi se per caso avrà scambiato due idee con Sabino Cassese a proposito della sentenza che tutti aspetta(va)no.

O di trovarsi a cena con Anna Masera e, aggirando scheletri di balena nel museo zoologico dentro la meravigliosa Certosa di Calci, discutere del futuro dei giornali di carta e di bit.

O di dare un passaggio dalla conferenza all’albergo a un gentile signore e solo dopo due giorni scoprire che è uno dei membri del direttivo del Partito Pirata italiano e che voi due dovreste proprio fare una chiacchierata.

O di conoscere quelli di Stampa Alternativa e scoprire così i Bianciardini, gli eredi moderni dei millelire, e soprattutto che è possibile produrre un libro tascabile di 64 pagine a tirature abbordabili con un costo netto di 7 centesimi di euro a copia.

L’unico vero assente era il governo, temendo la contestazione – perché poi, si sa, Internet è di sinistra (proprio come la stampa, la magistratura, la Borsa, gli arbitri e i geni che regolano l’altezza).

Però l’anno prossimo vedete di venire anche voi.

[tags]igf italia, internet governance, pisa, cortiana, castellina, rodotà, cassese, masera, partito pirata, giornali, libri, editoria, psiconani[/tags]

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martedì 14 Luglio 2009, 00:01

Oggi siamo aperti

Non ho capito il senso di protestare contro norme di legge che vogliono cercare di far chiudere i blog, scegliendo come forma di protesta quella di chiudere i blog.

Comunque, mi spiace per i vari amici che aderiscono o addirittura promuovono l’iniziativa, ma questa roba è definitivamente diventata una buffonata dopo l’adesione di metà aspiranti segretari e capetti del PD e addirittura di Sinistra e Libertà, che ha il piccolo difetto di non avere nemmeno un blog. Francamente, l’idea che i vari Sofri, Adinolfi, Folena e Scalfarotto, stufi di passar le giornate tra una riunione di partito e un salotto mediatico, si scoprano rivoluzionari per un giorno non è più credibile di un qualsiasi provvedimento del governo, compreso quello (peraltro dalla rilevanza molto dubbia e che forse manco passerà) che vorrebbero contestare con questa azione.

E siccome qui per la libertà di informazione si combatte giorno dopo giorno da anni, anche contro questi blogger perbene dal convegno facile e dalla lingua pronta per l’adulazione, oggi si va avanti come al solito e anzi vi si invita a leggere bene il post di ieri, che parla, quello sì, di vicende oscurate dai media di cui quasi tutti i very important bloggher che stasera si stiperanno in piazza Navona (pare riempiranno almeno tre panchine) non si sono mai degnati di parlare.

Però sono contento per le migliaia di blogger anonimi che hanno aderito all’iniziativa: probabilmente cominciano a capire che in Italia sta avanzando la dittatura.

P.S. Poi alla fine ho capito il senso di questa protesta: sta nella pagina linkata all’inizio, dove si dice che “Verrà infine annunciata la costituzione della “Consulta permanente per il Diritto alla Rete”: avrà l’obiettivo di aprire un tavolo di confronto tra il mondo della Rete e la politica”. Insomma, Gilioli for president.

[tags]sciopero, blogosfera, blog, informazione, diritto alla rete, gilioli, politica, internet, governance[/tags]

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domenica 19 Aprile 2009, 09:18

Mi scrive Brunetta

Ieri mi è arrivata una mail da Staff di Renato Brunetta (renatobrunetta1950@gmail.com) per avvertirmi dell’imminente uscita del suo prossimo libro, che muoio dalla voglia di non leggere (l’introduzione specifica che è un libro che ci spiega come è facile cambiare le istituzioni se davvero lo si vuole e se si sa cosa fare, non come le “chiacchiere dei politicanti”). La mail è in orrido HTML e si chiude con un rimando al “blog di Renato Brunetta”.

Questo mi ha fatto insospettire, e mi son chiesto come mai mi avessero spammato. Risposta facile, perché io ho la buona abitudine di registrarmi sui vari siti non con il mio indirizzo di e-mail, ma con indirizzi usa-e-getta che posso creare al volo grazie a un trucco sul mio server di posta; in questo modo so esattamente qual è il sito che ha tradito e ha ceduto i miei dati agli spammer.

In questo caso, il sito traditore è Blogitalia, un indice di blog su cui devo essermi registrato secoli fa non so più perché. Ma cosa fa pensare ai gestori di un sito (a parte eventuali $$$ che potrebbero aver incassato) che i blogger italiani potrebbero essere interessati a un libro di Brunetta? A me sembra il target peggiore: perlomeno uno che ha un blog non crede immediatamente a qualsiasi stupidaggine, come chi si limita a vedere i telegiornali. O forse no?

[tags]brunetta, spam, blogitalia, blog, blogger[/tags]

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sabato 11 Aprile 2009, 09:47

Antispam del ciufolo

Ieri ho inviato una mail a una persona che non conosco (ma che aveva volontariamente lasciato il suo indirizzo sul sito per essere contattato), e, molte ore dopo, mi è tornato indietro il messaggio seguente:

Verifica e-mail ZoneAlarm Security Suite

Grazie per avermi inviato il messaggio e-mail con l’oggetto “(…)”. Sono contento di ricevere i tuoi messaggi.

Per eliminare la posta indesiderata sto utilizzando ZoneAlarm Security Suite.
ZoneAlarm Security Suite ha messo il messaggio in attesa.

Fai clic sul pulsante seguente per essere aggiunto all’elenco delle persone consentite, così potrò ricevere i tuoi messaggi e potremo comunicare liberamente.

Non rispondere a questo messaggio.

Il bello è che, trattandosi di un messaggio evidentemente preconfezionato e pieno di marchi commerciali… è finito esso stesso nel mio spam!

Quindi, recuperato il messaggio, accettata la rottura di scatole e digerito il patetico “sono contento di ricevere i tuoi messaggi” che questo software butta lì per cercare di nascondere la propria assoluta sgradevolezza, mi sono apprestato a procedere. Ho cliccato sul pulsante, e ho dovuto attendere decine di secondi perché il server di codesta azienda, c.mailfrontier.net, si degnasse di rispondere… la cosa seguente:

503 Service Temporarily Unavailable

The server is temporarily unable to service your request due to maintenance downtime or capacity problems. Please try again later.

Ho riprovato, ma non c’è stato modo. Splendido, no? Un sistema antispam che non solo rompe le scatole a chi ti manda posta legittima che tu stesso hai richiesto e probabilmente stai aspettando, ma poi non funziona nemmeno!

Un sistema del genere distrugge il senso della posta elettronica: che senso ha che io dia in giro la mia e-mail se poi i messaggi degli sconosciuti vengono bloccati a mia insaputa? (Sicuramente ci sarà in questo software un modo per produrre un report sui messaggi bloccati, altrettanto sicuramente non lo userà nessuno.) Che cosa succederebbe in rete se tutti rovesciassero il paradigma, e, invece di filtrare lo spam, chiedessero di confermare uno a uno i messaggi di posta elettronica legittimi? Quante ore passeremmo a fare conferme?

E se io invece fossi davvero uno spammer, attrezzato per mandare migliaia di messaggi in maniera totalmente automatica, quanti secondi ci metterei ad automatizzare anche la conferma a queste richieste? Il link era bello in chiaro nel messaggio…

Una cosa del genere può essere stata prodotta da una azienda Internet di soli due tipi: 1) che non ha capito i principi architetturali di Internet, o 2) che mira ad arrangiarsi invece di fare il lavoro che dovrebbbe, cercando di scaricare il lavoro di distinguere tra spam e posta legittima non sui propri algoritmi, ma sugli umani che vogliono contattare il proprio ignaro cliente, chiedendo di premere il pulsantino.

Insomma, cara Zonelabs, se non sei capace a fare un algoritmo anti-spam che funzioni passabilmente in modo automatico, piuttosto ritirati dal mercato; ma non venire a rompere le scatole a me, e soprattutto non rendere i tuoi clienti irraggiungibili a loro insaputa…

[tags]spam, antispam, filtri, posta elettronica, email, internet, zonealarm, zonelabs[/tags]

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giovedì 5 Marzo 2009, 18:35

Punto centrale

Oggi ad ICANN è la giornata del Public Forum, e ovviamente l’argomento caldo è l’introduzione dei nuovi domini di primo livello… che ancora una volta è stata spostata in avanti di sei mesi.

Il vero problema è che ci sono troppi interessi e troppe necessità che vanno a confliggere nello stesso spazio di nomi: ci sono i galiziani, i baschi e i gallesi che vogliono avere .gal, .eus e .cym, ma non hanno una lira o quasi; ci sono decine di danarose start-up che pensano (illusi) di fare i miliardi con .music, .health, .sport e così via; ci sono i cinesi e i coreani che vogliono assolutamente avere il prima possibile .ideogrammaCina e .ideogrammaCorea per permettere ai propri utenti di non dover scrivere gli indirizzi Web in caratteri occidentali; ci sono le grandi aziende che vogliono distinguersi con un bel .google e .ibm. E poi ci sono tutti quelli che già possiedono qualcosa.com e temono la concorrenza di un nuovo .qualcosa, tutti i governi del mondo che temono l’assegnazione di nomi sensibili a entità sgradite (un bel .tibet?), e persino il Vaticano che manda una mail al CEO di ICANN per avvertire di non provarsi nemmeno a creare .catholic.

Come ne esce ICANN? Beh, se prima o poi si deciderà a fare qualcosa, l’approccio che stanno difendendo con le unghie e con i denti è quello di chiedere a qualsiasi potenziale applicante di pagare una tassa di iscrizione di 185.000 dollari prima ancora di poter dire qualcosa: in questo modo gli unici a poter fare domanda saranno le start-up in competizione con .com, le grandi multinazionali che vogliono difendere il proprio nome, e al massimo qualche governo asiatico, russofono o arabo. Tutti gli altri – le comunità linguistiche, le entità no profit, gli sforzi comunitari – possono accomodarsi da un’altra parte; e questo approccio ha il fringe benefit di portare nelle casse di ICANN una cifra stimata in un centinaio di milioni di dollari, che permetterà nuovi stipendi di giada e nuovi alberghi a sei stelle.

La questione è oggettivamente difficilissima, e diventa sempre più difficile man mano che si va avanti, e che aumentano le richieste, le reazioni, le proposte, le controversie. Infatti, ICANN continua a rinviare i tempi di tutto il processo e ormai alcuni cominciano a dubitare che si arriverà mai a un qualsiasi risultato.

Il che prova un punto fondamentale: che, in un pianeta sempre più complesso e interconnesso, qualsiasi accentramento di potere diventa sempre più difficile da far funzionare.

[tags]icann, internet, internet governance, tld, nomi a dominio, dns[/tags]

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giovedì 19 Febbraio 2009, 19:17

Quando funziona

Forse avrete letto che nei giorni scorsi io, per NNSquad Italia, e altri rappresentanti di altre associazioni abbiamo firmato una lettera al Parlamento Europeo per respingere una serie di proposte relative alle direttive europee sulle telecomunicazioni, tra cui quella di introdurre dappertutto la cosiddetta “risposta graduata” o “dottrina Sarkozy”, cioè bannare dalla rete gli utenti colti ripetutamente a scaricare dai peer-to-peer.

Bene, oggi, tramite un sito francese, è circolata la notizia informale secondo cui l’esame del rapporto che proponeva alcune di queste proposte è stato “rimandato a tempo indeterminato”.

La buona notizia è che per una volta le proteste sono servite; la cattiva notizia è che sono piuttosto certo che questo rapporto ritornerà magicamente in discussione un minuto dopo la chiusura delle urne delle elezioni europee.

Il che porterebbe a pensare che sarebbe utile avere le elezioni europee una volta al mese.

[tags]europa, parlamento europeo, elezioni europee, internet, neutralità della rete, internet governance, peer to peer[/tags]

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giovedì 12 Febbraio 2009, 11:34

Non perdonarli, perché sanno quello che fanno

Ieri pomeriggio sono andato per la prima volta a uno dei mercoledì di Nexa, le riunioni mensili che il centro di Internet e società del Politecnico organizza invitando ogni volta ospiti diversi. Quelli di ieri erano Giovanni Battista Gallus e Francesco Micozzi, i due avvocati che quest’estate hanno difeso Pirate Bay contro l’assurdo “sequestro” operato da un GIP di Bergamo. E così, si è parlato in lungo e in largo della libertà della rete in tutte le sue forme, in particolare in relazione agli ultimi eventi (l’art. 50 bis “filtro anti-Facebook” e il comitato antipirateria).

Da quindici anni succede che il Parlamento, il governo o le autorità giudiziarie emanino provvedimenti strampalati, tecnicamente zoppicanti, culturalmente arretrati, socialmente incomprensibili. Da quindici anni partecipo a incontri di esperti di Internet in cui, pur con preoccupazione, la reazione prevalente è sghignazzare: ma guarda questi politici e questi giudici che non capiscono niente di Internet.

Bene, io invece sono sempre più convinto che al giorno d’oggi non si possa affatto pensare che queste misure vengano prese con leggerezza o senza capirne l’impatto. Partiamo dal caso di Bergamo: un giudice emana un provvedimento che non sta in piedi, proprio l’ultimo giorno prima di un mese e mezzo di sospensione dell’attività giudiziaria che impedirà il riesame immediato, dimenticandosi di notificare la misura agli indagati, basandosi acriticamente su una consulenza prodotta dai discografici, e ordinando ai provider di oscurare il sito: possibile che sia solo ripetuta incompetenza? E il fatto che pochi giorni dopo la Guardia di Finanza – quindi un soggetto altro e indipendente – decida di “eseguire” il sequestro ordinando ai provider di redirigere gli accessi verso un sito dei discografici in Inghilterra, è una coincidenza?

Veniamo allora ai filtri, e guardiamo bene i fatti: prima, tre anni fa, si introduce il filtraggio di Internet per la pedopornografia; e chi può opporsi? Allora si aggiunge anche il filtraggio dei siti di scommesse online. Poi, quest’estate, si alza il tiro e si prova a filtrare Pirate Bay; c’è una reazione e la magistratura risponde: non potete perché non c’è una legge che ve lo permetta. Detto fatto: quattro mesi dopo salta fuori l’articolo 50 bis, che renderebbe legale quello che si è tentato di fare quest’estate, ogni qual volta che si “istiga” a un qualche reato, anche se d’opinione. E’ solo una serie di sfortunate coincidenze e ripetuta incompetenza, o c’è un piano?

Ascoltate bene l’intervista di Gilioli al senatore D’Alia, proponente del 50 bis, che ha fatto il giro della rete in questi giorni:

Quasi tutti, partendo dallo stesso Gilioli e dai commentatori di Mantellini, hanno reagito dicendo che “poveri noi, in che mani siamo”, e “D’Alia non sa assolutamente di cosa sta parlando”. Ma non è vero: è soltanto un errore di prospettiva, dovuto al fatto che a noi l’idea di oscurare tutto Youtube per un singolo video illegale di un solo utente sembra assurda, e non riusciamo a concepirla.

A loro però no, anzi questo è esattamente ciò che loro vogliono, D’Alia e chiunque ne sia il mandante, che la storia parlamentare è ordinariamente fatta da leggi scritte da Tizio importante e presentate mandando avanti Caio peone, talvolta nemmeno dello stesso partito. Nell’intervista, il senatore D’Alia conferma che questa è proprio l’intenzione del governo e del Parlamento: o Youtube toglie i video sgraditi al governo italiano, oppure bisogna impedire agli italiani di accedervi. Noi, invece di indignarci, organizzarci, reagire, ridacchiamo e ci sentiamo superiori: massì, sono dei cretini, cosa volete che sia. E intanto loro, magari contando pure su questa nostra reazione, introducono censure su censure.

Perché lo fanno? Ufficialmente è per proteggerci. In realtà, è perché hanno capito che alle grandi e piccole piattaforme internazionali, motore di quella libera discussione in rete che indebolisce il loro controllo dell’informazione e del potere, non sono in grado di ordinare nulla: e allora vogliono metterle sotto ricatto, “o adotti le policy che voglio io, o ti oscuro completamente e in Italia non metti più piede”. Non ci sarà nemmeno bisogno della censura legale: passeremo direttamente alla censura privata, come per gli allattamenti di Facebook, ma per questioni un pochino più fondamentali.

Ora più che mai, urge che i principi di libertà della rete vengano riconosciuti per davvero, e che questi tentativi vengano fermati senza sufficienza e senza sottovalutazione: o sarà troppo tardi.

P.S. Segnalo in conclusione che NNSquad Italia ha aderito alla campagna europea contro il rischio che il “Telecoms Package” in discussione al Parlamento Europeo incorpori una serie di emendamenti liberticidi. Se altre associazioni vogliono firmare, sono le benvenute.

[tags]internet, libertà, censura, diritti, pirateria, pirate bay, nexa, d’alia, 50 bis, gilioli, mantellini, nnsquad, youtube, facebook[/tags]

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domenica 8 Febbraio 2009, 22:51

Fosse che fosse troppo tardi?

So che in questi giorni noi italiani decenti siamo tutti depressi, tra la storia di Eluana e quella del decreto che prevede la censura poliziesca di Internet. Ma stasera mi sono tirato su, e ho capito che la censura non passerà. Come mai?

Beh, stasera siamo andati in pizzeria. Mentre pagavamo il conto, il signore alla cassa aveva lì, appoggiato su uno sgabello, un portatile; e appena possibile ci buttava l’occhio, per seguire a sgamo in diretta, da un peer-to-peer cinese, il “derby del Sud” Palermo – Napoli.

E se a usare i sistemi di comunicazione distribuita, cifrata e impossibile da filtrare ci sono arrivati anche i pizzaioli, vuol dire che sarà molto difficile tornare indietro.

[tags]calcio, peer to peer, internet, censura[/tags]

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