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Archivio per la categoria 'Tech&Howto'


domenica 7 Ottobre 2007, 14:10

Hack the captcha

Come passare una buona domenica mattina svagandosi un po’? Beh, non so voi, ma io l’ho passata cercando di craccare un captcha, così per divertimento.

Immagino che tutti sappiate cos’è un captcha: è una di quelle immaginine contenenti del testo deformato, che vanno di moda per impedire ai bot l’accesso ad un determinato servizio online, lasciando passare gli umani. La capacità di riconoscere dei caratteri deformati è semplice per un essere umano, ma fuori portata dei computer, non essendo algoritmica. Anche io avevo un captcha fatto in casa sul blog precedente (qui non ce l’ho perchè uso Akismet, un filtro antispam euristico).

Tutto bene? Beh, no, in realtà i captcha sono una maledizione per molti e andrebbero abbandonati, e qui potete scoprire il perchè secondo il W3C. Ad esempio se ci vedete poco o nulla non potete superarli, alla faccia dell’accessibilità del web. (Apprezzo quindi Vodafone che, sul captcha per inviare SMS gratis dal 190 online, ha recentemente aggiunto un pulsante “leggi il codice”, che aiuta chi ci vede poco.)

Quello che volevo craccare io era un captcha semplicissimo: tre caratteri (numeri o lettere maiuscole) scritti in rosso su fondo bianco, con due barre orizzontali. C’è voluta un’oretta – più che altro perchè la documentazione di Perlmagick è sostanzialmente inesistente, tanto è vero che le mie pur limitate abilità nell’uso della libreria sforano già nell’esoterico – per scrivere una paginetta di Perl che aprisse l’immagine, sostituisse le due barre orizzontali con due barre bianche, poi ricostruisse i caratteri sottostanti con un algoritmo semplicissimo: se i pixel sopra e sotto sono entrambi rossi, coloralo di rosso; se uno solo è rosso, coloralo di rosa.

A questo punto, si fa una conversione in bianco e nero (formato PBM) e si dà tutto in pasto a GNU Ocrad, uno dei rarissimi OCR liberi, che ha pure l’interfaccia Perl. All’inizio Ocrad non ci beccava una mazza, e ho capito esaminando le immagini che il problema erano i pixel sparsi che restavano dopo la conversione in bianco e nero: per cui ho applicato una funzione di soglia sulla luminosità – che mi sono riscritto io, non riuscendo a capire come funzionasse quella integrata in Perlmagick – e ho cancellato prima della conversione tutti i pixel che non fossero sufficientemente scuri.

Con un po’ di prove, ho trovato i valori ottimali della soglia, e visto che essi variavano da immagine a immagine (ne avevo una decina di prova) ho scritto un algoritmo iterativo per provare su ogni immagine con soglie crescenti, e prendere una decisione a maggioranza. Poi ho aggiunto un po’ di intelligenza sparsa – che so, se trovi “l” (elle minuscola) allora è “1” (uno) – e ho raggiunto una percentuale di successo attorno al 75%, che per un captcha va benissimo, visto che se sbagli basta riprovare, come farebbe un umano qualsiasi.

Poi ci ho messo attorno la fuffa ormai banale (basata su LWP e figli) che scarica la pagina, scarica l’immagine, la dà in pasto al frullino, compila in automatico la form e la invia, non dimenticando di cancellare i cookie ad ogni giro.

Alla fine non funziona, perchè il mio captcha è dentro un sistema di votazione online, e anche se la risposta ottenuta dal sito è positiva probabilmente c’è un controllo lato server sull’indirizzo IP; e quindi non riesco a barare. Ma non era questo l’obiettivo; il punto era la sfida intellettuale di riuscire a craccare il captcha e il controllo sui cookie, e quello è stato raggiunto pienamente.

Comunque, sono ancora un dilettante: qui c’è un tipo che dichiara di averne sconfitti a decine. Naturalmente, l’attacco si basa sul fatto che l’algoritmo di generazione del captcha è prevedibile, e molto poco vario (basterebbe cambiare font, deformare i caratteri, insomma darsi un minimo da fare… persino il mio captcha fatto in casa in dieci minuti aveva i caratteri deformati ad onda, e le barre diagonali con un angolo casuale); e su un po’ di training da parte dell’umano. Alla fine, però, le barriere saltano sempre…

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sabato 6 Ottobre 2007, 17:13

Mappe cliccabili

Se la Apple lascia a desiderare, il mondo del free software ne sa sempre una più del diavolo.

Dovevo realizzare questa mappa interattiva per questo progetto, e avevo già bestemmiato a sufficienza per realizzare tutti i fotogrammi, visto che come file di partenza avevo una mappa grossa la metà e piena di scritte sovrapposte, che ho dovuto cancellare a mano per poi ricostruire pixel per pixel, atlante alla mano, i confini provinciali sottostanti (e qui ci sta un bel vaffanculo alla forma assurda della provincia di Vercelli, dopo che è stata morsicata da quelli di Biella).

Ovviamente, non avevo voglia di misurare a manina le coordinate di ognuno dei singoli punti del poligono che approssima ciascuna forma… e così, cercando strumenti appropriati, ho scoperto che Gimp ha sotto Filtri -> Web un ottimo plugin denominato Imagemap, o Mappaimmagine se avete Gimp in italiano (che qui, come dice Mastella, s’ha da difendere la nostra lingua patria).

Certo, è buggato, spesso si pianta (salvate spesso o meglio copiate e incollate i blocchi di codice man mano che generate le aree, c’è una voce di menu che vi permette di vedere direttamente il codice HTML), ma permette di fare esattamente ciò che serve, cioè disegnare le aree poligonali complesse di una mappa semplicemente cliccando sulla sequenza di vertici del poligono, ossia tracciando i confini dell’area con dei segmenti.

E così, in un quarto d’ora ho avuto la mia mappa cliccabile bella fatta, pronta per cominciare a bestemmiare con i javascript per animarla!

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sabato 6 Ottobre 2007, 15:43

Cara Apple

Capisco che il tuo scopo sia quello di rendermi la vita più facile proponendomi ottimi e abbondanti esempi per il software che mi ammannisci (qualunque cosa sia, ché la metà non l’ho mai aperto).

Ma perché, dopo settimane di lotta con lo scarso spazio libero sui 30 GB del mio hard disk, grazie a una perquisizione accurata devo scoprire che esiste in un posto imbucato una directory preinstallata e denominata “GarageBand Demo Songs”, che occupa 370 MB?

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sabato 18 Agosto 2007, 19:09

Guitar Hero s’ammoscia con gli 80’s

Come già vi dissi, lo aspettavo da quando è uscito, a inizio agosto; ora finalmente il pacco da Jersey è arrivato, nonostante in ufficio non ci fosse nessuno ad accoglierlo, e io ieri sia andato a pranzo nelle vicinanze in modo da darmi la scusa per andare a ravanare nella buca delle lettere. E così, posso recensire Guitar Hero Rocks The 80’s, primo del circondario ad averlo.

Ecco, come sapete io sono drogato da questo videogioco (più precisamente, sono drogato dalla musica rock), per cui l’avrei comprato comunque, e me lo godo comunque. Però è piuttosto chiaro che questo gioco è per Guitar Hero ciò che E.T. fu per l’Atari nel 1983: un disgustoso rip-off messo insieme in fretta, per soldi, prima che scada la licenza, e che farà inorridire e scappare tutti gli appassionati, costituendo una pessima pubblicità sia per Guitar Hero III (in uscita a fine ottobre) che per Rock Band, oltretutto entrambi solo per PS3 e equivalenti (quindi dovrei comprare anche la console).

Il punto è che il gioco è totalmente identico al secondo episodio, a parte un paio di texture nei locali; con solo trenta canzoni e nessun extra; con le canzoni spesso incise male e missate peggio; e soprattutto, con una tracklist che fa pietà, probabilmente guidata dal solo criterio di pagare i diritti il meno possibile.

Ok, c’è 18 And Life che da sola vale il prezzo, anche se per far sentire la chitarra acustica che suoni hanno inciso tutto il resto talmente basso che dovrebbero darti un cornetto dell’Amplifon. C’è Holy Diver che voi non conoscerete, ma che ha un riff solido come un camion e pesante come un chiodo dell’epoca, completo di accessori metallici. C’è Synchronicity II dei Police, che è sempre un bel pezzo, anche se io preferisco la versione uno. Ci sono Wrathchild degli Iron Maiden e No One Like You degli Scorpions, piacevoli ma certo non i loro pezzi migliori, anzi nemmeno uno dei loro dieci pezzi migliori. C’è Electric Eye dei Judas Priest, che mi veniva da piangere perchè nell’intro (che incidentalmente, cara Red Octane, si chiama The Hellion e sarebbe un pezzo separato) non hanno raddoppiato le chitarre dopo le prime due ripetizioni, insomma ne manca metà. Ci sono pezzi di gruppi che all’epoca non ascoltavo, ma che comunque erano di livello decente, tipo i Quiet Riot, i Poison o i Ratt.

Però, come si fa a fare una raccolta dei maggiori successi del rock degli anni ’80 senza includere, per dire, un pezzo di Bon Jovi? The Final Countdown? Owner of a Lonely Heart? Uno dei classici dei Metallica? O, per andare sul mainstream, un qualsiasi prezzo di A Kind Of Magic? Qualcosa dei Dire Straits, dove la chitarra non manca? Una hit dei Duran Duran? Non ditemi che le licenze dei Duran Duran costano ancora care…

In compenso, ci sono un pacco di pezzi di gente mai sentita prima, come tali The Go-Go’s che vincono a mani basse, signori, il premio per il pezzo rock più brutto della storia dell’umanità. Dopo averlo suonato, ho dovuto tirar fuori l’amuchina e disinfettare le casse.

Insomma, forse è solo che mi piacerebbe suonare un sacco di musica degli anni ’80, e avrei sperato di trovare qualcosa di meglio; suonandoli un po’, penso che anche molti di questi pezzi mi piaceranno di più, come già successo con gli episodi precedenti. Però più ci penso e più concludo che è ora che si cracchi sto aggeggio e si faccia seriamente una versione open source utilizzabile con i controller invece che con i tasti del PC… andrò a documentarmi su Frets On Fire!

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venerdì 13 Luglio 2007, 15:28

Domande tecniche

Ma se io prendo un videofonino e, spingendo, ci infilo dentro una sull’altra una SIM di 3 e una SIM di Uno Mobile, poi quando lo accendo vedo Retequattro?

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giovedì 21 Giugno 2007, 10:12

Informatici simpatici

Ieri sera mi sono incaponito a voler finire un lavoretto che stavo facendo, e che richiedeva di scrivere una funzione Javascript per aprire un pop-up, ma un pelino più complessa della media: ossia, che centrasse il pop-up nella finestra e che, se il pop-up era già aperto, si limitasse a riportarlo in primo piano anzichè aprirne uno nuovo (nelle questioni tecniche sono un perfezionista).

La cosa non è affatto difficile; richiede tre minuti di codice, e un’ora di pacioccamenti per adattare il codice a tutte le paturnie dei vari browser, visto che, per esempio, la larghezza e l’altezza della finestra corrente al variare del browser si leggono da tre proprietà diverse, e che richiamarne una dal browser sbagliato può piantare il codice e di lì tutti gli script nella pagina.

Però non pensavo di dover perdere quasi un’ora per scoprire che Internet Explorer 7, per qualche arcano motivo, non supporta una variabile chiamata top all’interno di una funzione del documento; o meglio, almeno in quel contesto, la interpretava come chissà quale proprietà di chissà quale oggetto sottinteso, e rispondeva al mio tentativo di assegnarla con l’esaustivo messaggio d’errore “Non implementato”. Dopo aver provato inutilmente tutte le combinazioni di proprietà delle finestre, mi è venuto il dubbio; è bastato rinominare la variabile perchè tutto andasse a posto.

Per par condicio, comunque, devo lamentarmi anche di Apple, e in particolare della meravigliosa funzione di ricerca del famigerato Finder di Mac OS X, in cui tu inserisci una stringa e lui la cerca all’interno dei file contenuti nella directory e nelle sottocartelle: ossia, legge i PDF, apre i DOC… guarda persino sotto il tappeto e nell’angolo dietro all’armadio. Peccato che nel 99% dei casi io stia cercando semplicemente un file che ha quella stringa nel nome, e che invece di mostrarmelo immediatamente lui mi faccia aspettare decine di secondi perchè deve aprire le foto delle vacanze e ricalcolare le celle di tutti i fogli Excel per vedere se c’è la mia stringa nel risultato; finché io non mi stufo e non vado a cercarmelo a mano. Geniale.

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mercoledì 20 Giugno 2007, 11:27

Collaborazioni

Chi di voi ha un Mac conosce senz’altro NeoOffice, ossia la versione per Mac OS X di OpenOffice, l’alternativa free a Microsoft Office. Difatti, la comunità di OpenOffice.org – il gruppo di sviluppatori del programma, pesantemente sponsorizzato da Sun – non aveva mai provveduto a realizzare una vera versione per Macintosh, ma soltanto per Windows e per Linux; il buco era stato quindi coperto dal progetto NeoOffice.

I due signori alla base di NeoOffice, Peterlin e Luby, si erano allontanati da OpenOffice per divergenze sulle licenze e per la scarsa voglia della Sun di interessarsi alla piattaforma Apple; essendo NeoOffice l’unica suite per ufficio liberamente disponibile per Mac e vagamente integrata col sistema – specie da quando era stata eliminata la necessità di utilizzare l’emulatore di ambiente X11 – essa era velocemente diventata lo standard.

Insomma, i due, intorno al progetto, hanno costruito un piccolo Mac-impero; e dato che oltre al progetto offrono consulenze ben pagate, che raccolgono donazioni per finanziare il lavoro (non si sa di che entità, ma visto il successo dei Mac in questi anni non penso siano poche), e che NeoOffice ogni due per tre ti apre il browser sulla pagina per contribuire, dove viene offerta persino una opzione per la “donazione mensile”, ho il sospetto che la remunerazione economica dello sforzo fosse tutt’altro che marginale. Peccato però che il software lasciasse molto a desiderare, e fosse lento, pesante, poco ottimizzato (per avere i menu in italiano bisogna scaricare un language pack di 20 megabyte…) e sempre in ritardo di molti mesi sui nuovi rilasci di OpenOffice.

Dev’essere per questo che, pochi mesi fa, la Sun ha annunciato, con mossa a sorpresa, di voler sponsorizzare la produzione e il rilascio di versioni ufficiali di OpenOffice anche per Mac OS X, direttamente integrate con il framework Aqua del sistema operativo, e quindi più efficienti. Per gli utenti, una manna; ma i due signori non l’hanno presa molto bene. Per prima cosa, hanno messo su una petizione per la raccolta di firme sotto una ironica lettera aperta alla Sun, chiedendo implicitamente che, invece di sviluppare una versione concorrente, venisse finanziato il loro sforzo. La cosa non ha avuto effetto, tanto è vero che la prima versione alfa di OpenOffice per Mac OS X è già stata rilasciata. E allora, che fare?

Semplicemente, si sono rimboccati le maniche. Et voilà: miracolosamente, in questi due mesi, sono comparse raffiche di avvisi del rilascio di nuove patch, tutte accompagnate da annunci trionfanti sull’aumento di prestazioni: ora ci vuole un quarto del tempo ad aprire un documento! Finalmente non dovete più aspettare due minuti per leggere venti pagine! E così via.

Ora, sono contento – e non dimentico che, alla fine, tutto questo mi è offerto gratis – ma viene il dubbio che forse potessero pensarci prima, a fare un prodotto un po’ più performante, senza farmi soffrire per un paio d’anni ad aspettare fasi di caricamento e ridisegno grafico per interi minuti.

In questi anni, specialmente da noi, si sentono continue e sperticate lodi al concetto dello sviluppo collaborativo del software mediante il modello libero. Esso offre sicuramente grandi vantaggi in molte situazioni; per molti versi, ha cambiato il mondo. Eppure, alla fin fine, tocca sempre constatare che non c’è nulla come la concorrenza – quella che mette in pericolo la tua fama, la tua gloria, e soprattutto il flusso di dollari che scorre pigramente verso le tue casse – per far muovere le chiappe ai produttori, e permettere agli utenti di disporre di prodotti migliori.

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venerdì 15 Giugno 2007, 19:47

ICI online

In mezzo a tante lamentele, finalmente lo Stato italiano ne ha fatta una giusta: da quest’anno è possibile pagare l’ICI per qualsiasi comune d’Italia tramite il modello F24, e quindi, con praticamente qualsiasi banca, è possibile pagarlo online tramite Internet banking. Finora, esisteva soltanto qualche comune che accettava pagamenti tramite RID (ma richiedeva una lunga e burocratica procedura di accreditamento iniziale) o tramite carta di credito (ma con commissioni esorbitanti: a Torino si pagavano dodici euro, contro l’euro del bollettino postale…).

In pratica, una volta ricavate le cifre da pagare, si prende un modulo F24 (cartaceo o elettronico che sia), si va alla sezione “ICI e tributi locali”, e si compila una riga per ciascuna riga non vuota del classico bollettino ICI, ossia una riga per ciascun comune e ciascun tipo di immobili ai fini ICI (“abitazione principale”, “altri fabbricati”…). In ciascuna riga, bisogna indicare il codice catastale del comune in cui sono situati gli immobili – quella lettera e tre cifre che compaiono anche nel codice fiscale, es. L219 per Torino, e che potete ritrovare ad esempio qui -, barrare la casella dell’acconto (a dicembre sarà il saldo), inserire il numero delle unità immobiliari di quel tipo, e specificare il codice tributo 3901 per l’abitazione principale, 3902 per i terreni agricoli, 3903 per le aree fabbricabili o 3904 per gli altri fabbricati, box e case della nonna compresi; e poi, completare con l’anno – 2007, perché l’ICI si paga subito per l’anno in corso… – e l’importo. Nella casella in basso, va indicato l’importo di detrazione applicato per l’abitazione principale in questo acconto: 66 euro quasi ovunque.

Dopodichè, si invia; in genere si può anche indicare come data di pagamento quella della scadenza (lunedì, in questo caso), in modo da pagare il più tardi possibile. In caso di dubbi, il Comune di Torino offre persino delle pittoresche istruzioni, piene di effetti di testo in stile Word 6.0. Non male!

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giovedì 31 Maggio 2007, 10:06

Impressionante

È l’unica cosa che si può dire del nuovo Street View di Google Maps: l’ho provato con un po’ di scetticismo, e invece lascia veramente a bocca aperta.

In pratica, andando alla mappa di un luogo coperto dal servizio, e cliccando sul pulsante “Street View”, le strade supportate compaiono bordate di blu. Cliccandoci sopra, potete posizionare un omino che guarda in una certa direzione: si aprirà una finestra sopra la mappa, da cui vi apparirà la vista tridimensionale del luogo come è in realtà!

In pratica, si tratta di una elaborazione da fotografie bidimensionali (richiede Flash Player 9); quelli di Google devono aver messo a punto una macchinetta che, spostandosi per la città, scatta una fotografia grandangolare ogni pochi metri. Unendo tutta questa mole di immagini, con un algoritmo per simulare le prospettive, riescono a generare una vista più che credibile del luogo. Dentro la fotografia, due freccette sulla strada permettono di camminare avanti e indietro; in più ci sono pulsanti per zoomare e ruotare la vista.

Il servizio per ora funziona solo sul Google Maps americano e solo in una manciata di grandi città. In compenso, io ho guardato San Francisco e ho scoperto che la copertura è molto maggiore di quel che mi aspettassi, arrivando anche nei quartieri della prima periferia, e persino oltre il Golden Gate, a Sausalito e a Belvedere; verso la Silicon Valley ci sono un paio di autostrade coperte, fino ad arrivare a Palo Alto e Mountain View che, in quanto sedi di Google, sono coperte capillarmente.

Potete così divertirvi a partire dalla Coit Tower e fare la passeggiata in discesa, o a percorrere il Golden Gate a piedi, o a girare per qualsiasi parte famosa della città; anche se ‘sti maledetti, di tutto il quartiere, hanno lasciato fuori proprio quei tre isolati di Bush Street dove (al numero 2509) stava la sede di Vitaminic USA. Potete persino passeggiare accanto alle auto parcheggiate di fronte al Googleplex (notate i coni stradali colorati), anche se non vi faranno entrare! Se non siete mai stati a San Francisco, questa è l’esperienza remota più realistica che potete avere: occhio, perchè potreste perderci la mattinata.

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martedì 29 Maggio 2007, 16:22

Plasmon

Oggi nella pausa pranzo, come talvolta capita, ho fatto un giro alla Fnac di via Roma. E ho notato un fenomeno interessante: l’area dei televisori al plasma, che una volta era limitata al crocicchio nel passaggio di arrivo delle scale mobili al piano inferiore, ha invaso completamente tutta la parte centrale del piano, occupando anche la zona dove una volta c’erano i giochi delle console, e arrivando a lambire e comprimere la zona dei libri e della musica.

Sarà che ciascuno di questi oggetti ha un certo ingombro, e quindi un minimo di assortimento occupa già una superficie considerevole. Eppure, non sono proprio regalati, a 1300 euro per un 42 pollici senza fronzoli, e ben oltre 2000 per un 50 pollici; ma, a giudicare da un indicatore affidabile come la visibilità nei negozi, stanno facendo furore.

Pare quindi che due anni fa ci sbagliassimo, quando ci indignammo per l’allora ministro Prestigiacomo che in televisione da Floris, commentando un servizio sulla crisi della Mivar, disse “E certo, fanno ancora televisori col tubo, al giorno d’oggi chi li vuole più? Tutti si comprano i televisori al plasma.”

D’altra parte, per una generazione che ha indebitato il Paese al 120% del PIL pur di regalarsi assistenza e pensioni oltre le proprie possibilità, volete che sia un problema caricare i propri figli di un rateo decennale per il televisore fighetto?

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