Sky
Vittorio vb Bertola
Affacciato sul Web dal 1995

Mar 29 - 16:59
Ciao, essere umano non identificato!
Italiano English Piemonteis
home
home
home
chi sono
chi sono
guida al sito
guida al sito
novità nel sito
novità nel sito
licenza
licenza
contattami
contattami
blog
near a tree [it]
near a tree [it]
vecchi blog
vecchi blog
personale
documenti
documenti
foto
foto
video
video
musica
musica
attività
net governance
net governance
cons. comunale
cons. comunale
software
software
aiuto
howto
howto
guida a internet
guida a internet
usenet e faq
usenet e faq
il resto
il piemontese
il piemontese
conan
conan
mononoke hime
mononoke hime
software antico
software antico
lavoro
consulenze
consulenze
conferenze
conferenze
job placement
job placement
business angel
business angel
siti e software
siti e software
admin
login
login
your vb
your vb
registrazione
registrazione
martedì 13 Gennaio 2009, 18:59

Una città bloccata

Ieri sera, incuriosito da una segnalazione, sono andato alla Fondazione Sandretto ad assistere a un dibattito organizzato dall’Associazione NewTo, insieme alla redazione locale di Repubblica, sul tema “L’Italia da sbloccare: e Torino?”.

Il tema, ovviamente, è importante; l’esito è stato un po’ così. Questa associazione, di cui non avevo mai sentito parlare, è stata fondata da alcuni “giovani” (cioè 30-40enni) torinesi con posizioni di responsabilità: c’è chi lavora o lavorava al Toroc, chi a Torino Internazionale, chi dirigeva il Salone della Musica, chi ha incarichi in Confindustria. Un ex collega ritrovato in sala, che era già stato ad incontri precedenti, l’ha definita una associazione di “raccomandati buoni”: certamente nella Torino di oggi non si arriva in quegli ambienti senza qualche bella sponsorizzazione, però l’impressione che mi hanno dato, chi più chi meno, è stata di persone che sanno il fatto proprio, con particolare nota di merito per l’imprenditore Dal Poz.

La cosa negativa, però, è stata la puzza di vecchio di tutto l’evento, a cominciare dalla presenza sul palco di un mostro sacro come Luciano Gallino, che ha esordito spiegando che “l’industria ICT non è solo software, perché ci sono anche quelli che montano e vendono i PC”: e davanti a siffatta comprensione delle cose, che vogliamo obiettare? Infatti, ha proseguito dicendo più o meno che l’ICT è economicamente irrilevante perché è fatta solo di microaziende da dieci persone o meno, e così il convegno è surrealmente proseguito orientandosi sulla centralità per lo sviluppo torinese, indovinate un po’, dell’industria dell’auto, su cui dobbiamo puntare per il nostro futuro.

Gallino ha pure detto che il rinnovamento anagrafico della classe dirigente non è poi così necessario, perché non è necessariamente detto che un giovane sia anche capace, e anzi l’unica industria che era basata sui giovani era quella finanziaria, e sono stati proprio tutti questi ventottenni rampanti e assetati di denaro a portare il mondo al disastro, quindi è tempo di riportare il potere nelle mani dei sessantenni che l’hanno gestito così bene: infatti, ha concluso Gallino trionfante, a Torino si sono perse decine di migliaia di posti di lavoro nell’indotto auto ma grazie ai nostri sessantenni dirigenti la città è tuttora ricchissima e viviamo tutti senza problemi.

Ovviamente io non ci ho più visto; dopo qualche intervento – tra cui quello del sottosegretario Giachino, che ha rimarcato come lo sviluppo del Piemonte in crisi passi dalla logistica e in particolare dall’incrocio della TAV Lisbona-Kiev con la TAV Genova-Rotterdam; se ho capito bene, il piano del governo è che torme di giovani piemontesi si trasferiscano a Novara per scaricare scatolette di sgombro provenienti da Lisbona e caricarle in direzione Rotterdam – ho afferrato il microfono e ho messo in chiaro alcune cosette.

Per esempio, ho fatto notare che ci sono altre industrie messe in piedi da ventenni e trentenni, tipo, che so, Google, Youtube, boite del genere; e che a Torino ci vivrà riccamente lui, ma la realtà è quella di una città provinciale dove le opportunità di lavoro, qualificato e non, scarseggiano sempre più; e che forse se i trentenni non riescono ad emergere è perché c’è un intero sistema sociale che concentra potere e denaro nelle mani delle persone da 60 anni in su, evitando accuratamente di stimolare i giovani a innovare come dovrebbero, visto che non permette loro nemmeno di andare a vivere da soli.

Mi ha confortato che in sala ci fossero altri giovani che hanno suffragato le mie tesi, facendo notare come l’ICT non sia un settore industriale ma piuttosto un modo di pensare, un servizio trasversale che modifica e ottimizza l’intera produzione e anche gli altri aspetti della vita; ma soprattutto che, senza contarsi balle, Torino è una città bloccata; che è il caso di ammettere che o appartieni ai salotti buoni della Crocetta e della collina o nessuno ti affiderà mai un posto di responsabilità a trenta o a quarant’anni, perché non sapranno nemmeno che esisti, perché i meccanismi di selezione sono rigorosamente nascosti, centrati sulle conoscenze e sulle padrinerie di vario genere. Alla fine l’hanno ammesso a mezza bocca anche i “giovani di successo” che stavano sul palco.

Eppure, la sensazione di essere fuor d’acqua non se ne è andata via; ha fatto un po’ strano sentire queste voci prese a panino tra il già citato intervento del sottosegretario e quello di Federico De Giuli: sì proprio lui, la metà della famigerata De-Ga, e adesso almeno l’ho visto in faccia. E non mi ha nemmeno fatto cattiva impressione, anzi: perché la cosa triste è che le caste non sono mica delle malvagie associazioni di gente che si trova apposta per dire “sì, dai, facciamo la casta, chiudiamo fuori tutti gli altri”. E’ semplicemente che questi personaggi li disegnano così; nascono in un ambiente diverso dal nostro, ed è puramente naturale che ci restino senza nemmeno rendersi conto che ne esistono altri.

E’ quindi lodevole che si tengano in città incontri di questo tipo; ho solo qualche dubbio sul fatto che la classe dirigente cittadina riesca a rinnovare se stessa – a parte la cooptazione di qualche figlio e nipote – partendo dalla sicumera con cui pensa di essere la migliore possibile.

[tags]torino, newto, gallino, rinnovamento, politica, economia[/tags]

divider
domenica 11 Gennaio 2009, 11:38

Genova per noi (e anche De André)

Ieri, approfittando del fatto che io avevo un appuntamento là nel tardo pomeriggio, siamo andati a visitare Genova.

Paradossalmente, è una delle città italiane che conosco di meno; a parte le stazioni, il mio unico giro risaliva a un tour notturno sulla macchina di .mau. oltre dieci anni fa, oltre a una toccata e fuga per l’Hackmeeting 2004. Ieri ho comunque avuto conferma della mia prima impressione, cioè che Genova è, urbanisticamente parlando, costruita con gli scarti di Torino: noi abbiamo tolto dai nostri progetti tutta l’irrazionalità e tutti gli angoli non retti e li abbiamo scaricati laggiù, dove tra Ottocento e Novecento hanno costruito una città in stile sabaudo – a parte le imposte verdi – però disponendo vie e palazzi nei modi e con le forme più assurde. In un certo senso, Genova è Torino vista attraverso uno specchio deformante che trasforma i rettilinei in curve e la pianura in pareti vertiginose; è come sarebbe Torino se l’avesse progettata Escher invece di Lagrange.

Per noi, l’effetto è preoccupante: in una città così, proprio non ci si raccapezza. Il percorso da Principe a piazza De Ferrari non ha né capo né coda: una strada stretta in discesa, un pezzo di stradone ingrigito, l’imbocco di una galleria da camionale, una via mezza curva, un rettilineo con dei palazzi tutti uguali, un’altra salita verso destra… non è certo come un bel viale dagli alberi maestosi che ti accoglie e ti indica chiaramente la via. Le cose sono leggermente migliorate quando, già avanti nel nostro giro, siamo risaliti da piazza Caricamento verso il centro: ecco, allora lì le cose cominciano ad avere un pelino più di logica, ad esempio ti trovi davanti il Duomo dalla facciata invece che dal retro.

Probabilmente se Genova avesse solo il porto e la parte antica sarebbe più bella, invece così è come se dietro la parte antica avessero costruito uno spazioporto pieno di astronavi ottocentesche, culminato da quel capolavoro dell’orrore che è la torre quadrata del teatro Carlo Felice, una specie di enorme autosilo di cemento che sarebbe deturpante persino a Los Angeles. Peraltro anche la parte antica è davvero inquietante: a Lisbona o a Barcellona le vie sono almeno un po’ più larghe, ma a Genova c’è una costante, orribile sensazione di soffocamento, di bassifondi e di marciume eterno da luoghi in cui non batte mai il sole, oltre al problema che disegnare il percorso ottimale dal punto A al punto B è praticamente impossibile; a un certo punto mi è venuta voglia di farmi largo tra le case con un bazooka.

Siamo anche andati a visitare la tanto pubblicizzata mostra su De André a Palazzo Ducale. In termini tecnici, la mostra è una fregatura, visto che per otto euro (sei esibendo un biglietto del treno) gli unici reperti esibiti sono una decina di foglietti autografi, il suo pianoforte, vecchie fotografie e un po’ dei vinili dei suoi dischi, per un totale di tre sale. Tuttavia, la mostra è molto coinvolgente dal punto di vista emotivo, e permette efficacemente di capire di più sulla storia personale e sul pensiero a tutto campo dell’artista.

Anche De André – che, ricordiamolo, era di genitori piemontesi, ed aveva passato l’infanzia per le colline di Asti – rappresenta uno dei vari elementi della tensione costante tra Torino e Genova; naturalmente De André ne costituisce l’orgoglio genovese, tanto che in uno dei pannelli gli si attribuisce come merito artistico quello di “aver dato finalmente una visione di Genova diversa da quella di fantasia per i contadini del basso Piemonte”, con tanti saluti al “contadino” Paolo Conte. In realtà, l’impegno sociale e politico di De André – che non a caso è sostanzialmente assente nei vari brunilauzi e ginipaoli – è tema tipicamente da intellettuale sabaudo, ma lo specchio deformante di Genova trasforma lo scritto in cantato, e l’ortodossia marxista delle fabbriche torinesi nell’anarchia cangiante dei vicoli e del mare.

Personalmente, di De André ho da tempo eliminato tutti i grandi classici, i vari La guerra di Piero e Bocca di rosa, che pur se ricoperte di talento sono composizioni abbastanza banali e anche un po’ infantili nella loro semplificazione del mondo, cosa peraltro inevitabile visto che furono scritte a vent’anni o poco più. La parte veramente eccezionale della produzione di De André è quella adulta, quella che davvero riesce a cogliere la meraviglia e la povertà della vita e delle vite senza voler esprimere giudizi; inizia probabilmente con Rimini nel 1978 e passa attraverso canzoni meravigliose come Princesa o La domenica delle salme. Credo che la cosa migliore che si possa dire di De André è che c’è una sua canzone per ogni carattere e per ogni caso della vita, ed è sempre una bella canzone.

Per il resto, abbiamo soddisfacentemente mangiato alla Trattoria Vegia Zena, in un vicolo praticamente di fronte all’Acquario: 55 euro in tutto per due primi semplici ma ottimi (viva il sugo di noci ma peccato per il pesto microemulsionato, una scuola di pensiero che aborro), due secondi davvero buoni (seppie in umido e stoccafisso accomodato), un dolce e un caffé. E abbiamo visto il museo Chiossone, in un posto bellissimo ma che vi dovrete sudare per scale e salite varie, che contiene una selezione di oggetti antichi giapponesi non enorme ma davvero molto molto bella: vale sicuramente la pena.

E’ stata, insomma, una bella gita, nonostante il freddo assurdo portato dal vento: alla faccia del posto di mare!

[tags]viaggi, genova, de andré, museo chiossone, torino[/tags]

divider
sabato 10 Gennaio 2009, 09:14

MondoConi

Ieri ho approfittato del mio ennesimo viaggio verso la Liguria per fermarmi a metà strada e soddisfare le mie necessità di consumatore in saldo – un paio di scarpe da ginnastica nuove, di quelle travestite da scarpe da città che vanno di moda adesso – presso l’outlet Mondovicino di Mondovì (ammirate il sagace gioco di parole).

Non ero mai stato in un outlet e l’esperienza è stata interessante, non solo per il mezzo metro di neve che ricopriva ogni cosa e rendeva inagibili metà dei parcheggi. Non che servissero, perché l’outlet era praticamente deserto: anzi, mi ha stretto il cuore fare il giro davanti a queste decine e decine di negozi completamente vuoti, a parte la commessa che giocava a tris contro se stessa. Il luogo è davvero enorme, anche se poi, se siete maschi, si gira in un quarto d’ora: mancavano solo i clienti. Immagino (anzi, spero per loro) che nel weekend sia diverso…

Effettivamente, se uno ci capita davanti e ha bisogno, è un posto interessante: solo per la mia necessità avevo a disposizione un grosso negozio Nike e uno piccolo Puma nell’outlet, un mega-magazzino Cisalfa nella zona intermedia, e un negozio Adidas e uno Athletes World nel centro commerciale, davanti alle casse dell’Ipercoop. Io sono un fedele dei prodotti nostrani, quindi preferisco la marca a tre strisce – anche se poi si sa che tutte le scarpe da ginnastica del pianeta sono prodotte dai bambini thailandesi nelle pause tra una prostituzione e l’altra, o almeno così si dice tra i no global.

Il mercato delle scarpe da ginnastica, peraltro, per fuffosità e instabilità è praticamente ai livelli di quello dei derivati finanziari: ogni marca ha circa cento milioni di modelli che sono ciascuno disponibile solo in una specifica catena di negozi, grazie ad accordi di marketing planetario. Se ne vedete una che vi piace (e io l’avevo vista da Decathlon, ma non avevano più il 43) sappiate che è inutile cercarla altrove, perché in altri negozi troverete modelli simili ma leggermente diversi.

Alla fine, il negozio Adidas (l’unico del Piemonte) si è rivelato piccolo e centrato solo sulle robe ipercolorate-troppo-cool, ma da Cisalfa ho trovato un paio di Adidas cittadine a 40 euro e me ne sono andato soddisfatto, non prima però – dato che siamo in provincia di Cuneo, e mio nonno buonanima mi ha insegnato sin da bambino che la provincia di Cuneo è come l’Africa a parte il fatto che tutti portano il cappello – di aver controllato che la commessa avesse effettivamente inserito nella scatola una scarpa destra e una sinistra e fossero entrambe del numero giusto.

Mentre tutti si preparavano all’assalto del weekend – il che significava sostituire i cartellini col prezzo con altri un po’ più costosi, come ho visto fare in un negozio, o cercare di spalare la residua neve tirandosela addosso tra operai – io ho raggiunto nuovamente la mia auto e sono ripartito verso il mare, meravigliandomi che fosse andato tutto liscio. Però ho pensato di fare benzina (il distributore è, dicono, il più conveniente d’Italia: ieri gasolio a 0,949).

E lì, ho trovato un simpatico signore di mezza età, col regolamentare cappello e la parlata del posto, che aveva inserito venti euro nella macchinetta ma non riusciva a fare benzina. Infatti prendeva la pompa, la infilava, premeva, e non veniva giù niente! Dopo avergli consigliato di contattare la cassa e aver fatto la benzina, sono andato a vedere: la macchinetta era ferma sulla schermata con scritto “SELEZIONARE IL TIPO DI BENZINA” e le due caselle “DIESEL” e “VERDE” da selezionare col dito. Il tizio, evidentemente, non aveva mai visto un touchscreen in vita sua. E così, ho potuto ringraziare mio nonno e andar via soddisfatto.

[tags]outlet, mondovicino, mondovì, cuneo, adidas, scarpe da ginnastica, saldi[/tags]

divider
venerdì 9 Gennaio 2009, 10:57

Nevica, cittadino ladro

Mentre riprendo la via della Liguria, chiudo questo trittico di post con un’ultima considerazione.

Da giorni, a Torino (ma anche a Milano…) infuriano le polemiche: praticamente tutti i cittadini, di qualsiasi ceto, cultura e credo politico siano, si lamentano per la scarsa preparazione e per l’inefficienza delle istituzioni nell’affrontare la nevicata.

La novità che mi ha fastidiosamente colpito è stata però che stavolta le istituzioni hanno risposto: essendo risultate inutili a calmare gli animi le solite interviste e le scuse più o meno credibili degli amministratori, il giornale cittadino – una istituzione in sé – pubblica con evidenza un editoriale di Gabriele Ferraris in cui, letteralmente, si prendono per il culo i cittadini che si lamentano.

Io sono incerto: da una parte concordo anch’io che molti cittadini si siano fatti prendere impreparati, non abbiano ottemperato ai propri doveri di spalare marciapiedi e garage (o non sapessero nemmeno di averli), non si siano minimamente adattati alla situazione e si siano infuriati a sproposito contro la prima autorità che capitava. Però mi ha dato molto fastidio leggere un editoriale in cui si dà per scontato che non ci fosse nulla di cui lamentarsi, che tutto sia stato fatto alla perfezione e che le proteste siano solo qualunquismo di madame schizzinose e studenti svogliati.

Mi sembra, quella sì, una forma di qualunquismo alla rovescia, da cui traspare tutto il fastidio che le istituzioni (non solo il sindaco e gli altri amministratori, ma evidentemente anche il giornale cittadino) provano per questi loro elettori e clienti che non si rassegnano a prendere in silenzio quel po’ di servizi sempre più singhiozzanti e scadenti che vengono loro graziosamente elargiti, e “fa’ che ‘t n’abie”. Sembra un po’ che, dopo anni di critica generalizzata alla politica, la politica reagisca con una critica generalizzata ai cittadini, dimostrando apertamente che li vuole soltanto zitti e sudditi, e che la loro eventuale faciloneria va benissimo quando si tratta di cavalcarla per farsi votare, ma va meno bene quando si ritorce contro i politici una volta che, giunti al potere, non hanno più bisogno dei voti.

[tags]maltempo, neve, torino, istituzioni, politica, cittadini, la stampa, informazione[/tags]

divider
giovedì 8 Gennaio 2009, 18:07

Logica torinese

Anche oggi, da parte degli amministratori torinesi, ci sono dei capolavori di logica che non vorrei fossero andati perduti.

Il primo è il presidente della Provincia Antonio Saitta, alle prese col piccolo problema di aver già finito il sale da spargere sulle strade – ma non in questa nevicata: l’aveva già finito durante quella di Natale. Lui si scusa così: dice che la situazione è difficile perché quest’anno le scorte sono finite prima ancora che cominciasse l’inverno. E si sa, le scorte crescono solo in alcuni selezionatissimi presidi Slow Food, se questo è un anno in cui il raccolto di scorte è magro che ci possiamo fare? Ma poi ci spiega l’arcano: “Le scorte si fanno sulla media delle precipitazioni degli ultimi cinque anni”.

Ora, se la matematica non è un’opinione, dato che per definizione metà delle volte le precipitazioni sono superiori alla media, un anno su due si rimarrà senza sale; se poi capita l’anno statisticamente peggiore, ecco che le scorte finiscono già prima di Natale. Ma Saitta l’avrà mai sentita raccontare la favola della formica e della cicala?

L’altro creativo delle argomentazioni logiche è il presidente di Unioncamere Ferruccio Dardanello, che unendosi al coro pro-Tav fa il seguente ragionamento:

1) Nevica, quindi “alcuni valichi” sono bloccati, in particolare (lui non lo dice, ma potete leggere ad esempio il comunicato della società Autostrade) è vietata la circolazione dei TIR in Liguria e nelle province di Cuneo, Asti e Alessandria, mentre sia il Frejus che il Monte Bianco sono regolarmente agibili;

2) I TIR piemontesi hanno costi più elevati perché per arrivare in Francia devono fare percorsi più lunghi, rendendo i nostri prodotti meno competitivi sul mercato francese;

3) Dunque è urgente costruire una ferrovia ad alta velocità tra Torino e Lione.

Perfettamente logico, no? Cioè, se per due giorni è bloccata l’autostrada per Savona e per Genova, c’è un “gap strutturale” che impedisce ai TIR di attraversare le Alpi verso Lione e Ginevra; e per rendere i TIR più veloci bisogna costruire un treno, su cui presumibilmente i TIR si trasferiranno per magia e sfrecceranno grazie alla nota rapidità e flessibilità dei treni merci, che peraltro sarebbero già disponibili ora (la linea attuale è semivuota) ma non li vuole nessuno.

Tutto questo, ricordiamolo, per poter consegnare “i prodotti piemontesi” in Francia impiegandoci mezz’ora in meno, visto che altrimenti non sarebbero competitivi: sapete com’è, al concessionario Fiat di Lione arriva una bisarca di Punto e lui è purtroppo costretto a rimandarle indietro perché ci hanno messo mezz’ora di troppo e ormai sono marce, altrimenti le avrebbe vendute come il pane. Peccato, perché noi siamo già svantaggiati dai “tragitti così lunghi” verso la Francia: mica come le aziende del Nord-Est o dell’Est Europeo, che la Francia ce l’hanno lì a un’ora di macchina!

Solo il continuo lavaggio del cervello a cui siamo sottoposti fa sì che centinaia di migliaia di persone avranno letto stamattina questi articoli pensando “però, hanno proprio ragione, ci vorrebbe proprio un treno veloce per portare i TIR attraverso la muraglia di neve!”.

[tags]la stampa, maltempo, neve, torino, saitta, tav, no tav, trasporti, disinformazione[/tags]

divider
mercoledì 7 Gennaio 2009, 19:54

Nevica, usate l’auto

Entro stasera dovevo tornare a Torino, causa un impegno di lavoro domani mattina.

Il mio piano originale era di tornare in auto, per poi tornare a Diano Marina in treno per il weekend. Tuttavia, vista la situazione meteo, ho pensato che fosse più comodo e sicuro fare l’opposto: lasciare l’auto in Liguria fino a domenica, e fare il giro a Torino in treno.

Non l’avessi mai pensato! Innanzi tutto, i collegamenti offerti da Trenitalia tra Diano Marina e Torino (circa duecento chilometri che, in condizioni normali, in auto si percorrono in meno di due ore) richiedono da orario tra le quattro e le sei ore. C’è un solo treno diretto al giorno, che ci mette quattro ore e quattro minuti. Negli altri casi, la scelta è tra usare una coppia di Intercity cambiando a Genova e passando da Alessandria (!), oppure andare fino a Taggia per prendere la storica linea del Tenda via Cuneo, mettendoci generalmente tra quattro ore e mezza e cinque ore e un quarto.

Sono andato stamattina in biglietteria a Diano Marina, e il ragazzo allo sportello, con un bell’accento ligure, mi ha totalmente dissuaso dal pensare a prendere il treno: persino i regionali che percorrono solo la costa avevano da una a due ore di ritardo.

Da sempre, uno dei vantaggi competitivi del treno è quello di essere poco ostacolato dal cattivo tempo: il traffico è già regolato, il treno non può scivolare e sbandare, per pulire i binari se la neve è alta ci sono gli spazzaneve su rotaia, e bisogna al massimo controllare che non gelino gli scambi. Da sempre, tutte le volte che c’è maltempo, si susseguono gli appelli ad usare il mezzo pubblico.

Eppure, alla fine io mi sono preso la mia macchinina e, facendo un bel po’ di bolina sui viadotti dell’Autofiori, e subendomi la solita bagarre dietro gli spazzaneve sull’Appennino, sono arrivato tranquillamente a Torino in due ore e mezza; avessi preso il treno, probabilmente avrei dormito sul Tenda. Ma non è deprimente?

[tags]treno, auto, traffico, trasporti, neve, maltempo, trenitalia[/tags]

divider
martedì 6 Gennaio 2009, 15:43

Facebook e mafia

Ho cominciato ad usarlo da dieci giorni e già siamo in mezzo alle polemiche?

Comunque, a un italiano è chiaro che il “Bernardo Provenzano fan club” e simili, in un paese civile, non possono esistere; nemmeno su Facebook. Per gli americani di Facebook, in compenso, è chiaro che – come da primo emendamento alla Costituzione americana – tutto ciò che non passa all’azione e che non si qualifica come pornografia o razzismo è concesso: per cui via le foto delle mamme che allattano, ma i gruppi dei fan di Riina – ragazzotti della profonda Trinacria che usano il mezzo tecnologico per fare pubblicamente gli auguri di compleanno al boss dei boss e ricordare le sue eroiche gesta – non si toccano.

In realtà, il vero punto è che per Facebook, Youtube e compagnia bella il controllare i contenuti, perdipiù adattandosi alle molteplici idiosincrasie e legislazioni di un paio di centinaia di nazioni su cui sono sparsi i loro utenti, è una rottura di scatole non da poco: vuol dire costi, elevati rischi di errore, probabili grane legali. Meglio proclamarsi strenui difensori della libertà di espressione, e con questo schivare il problema.

Eppure, non ho il minimo dubbio che un applicativo online in italiano, usato da italiani per fare apologia della mafia – reato in Italia – verso altri italiani, sia soggetto alle leggi italiane sulla pubblica espressione, anche se è realizzato da una società americana su server americani; se non fosse così, saremmo veramente una colonia, priva di qualsiasi sovranità.

E’ vero che la neutralità della rete è importante, e che queste piattaforme non dovrebbero avere il diritto di censurare a proprio piacimento i contenuti che vi passano attraverso (vedi appunto il caso delle foto di allattamenti). E’ diverso, però, quando tale censura è prevista e anzi richiesta dalla legge: non applicarla, dopo ampie e numerose segnalazioni, significa volersi rendere apertamente complici di un atto perlomeno immorale, probabilmente criminale. E se proprio io, gestore di una piattaforma del genere, avessi il dubbio su quale sia il mio dovere tra rispettare un eventuale divieto di interferenza e rimuovere l’apologia dei mafiosi, preferirei errare contro i mafiosi piuttosto che a loro favore.

Per fortuna che decine di migliaia di utenti di Facebook si sono già mossi (qui potete aderire). Certo, c’è sempre il rischio che questo genere di “campagna virale” sfoci nel qualunquismo o nella caccia alle streghe, sfogandosi contro minoranze di qualsiasi genere, ed è un rischio da tener presente; tuttavia, per ora preferisco gioire vedendo che in Italia, persino su una piattaforma che molti presentano come il trionfo del becero, ci sono ancora tante persone che si indignano.

[tags]facebook, mafia, censura, neutralità della rete, azione dal basso, internet[/tags]

divider
lunedì 5 Gennaio 2009, 17:58

Mangiare in Liguria

Tra ieri e oggi abbiamo provato un paio di posti dove mangiare nel circondario: infatti, causa freddo e febbre abbiamo passato tutte le vacanze rinchiusi nella nostra casetta, e solo con il venire del sole e delle buone condizioni siamo scesi a valle a cercare cibo.

Il primo posto è stato il Ristorante Bagni Restano a Cervo, uno dei posti più conosciuti in zona. E’ un locale proprio sulla spiaggia, nella zona delle vecchie rimesse che sta tra San Bartolomeo e la fantastica marina con ponte ferroviario di Cervo (quest’ultimo è un posto bellissimo, peccato che quando tra pochi mesi chiuderà la ferrovia ottocentesca finiranno certamente per piazzare delle auto sul ponte o per abbatterlo); ci si arriva dalla strada che si stacca dall’Aurelia verso il mare proprio in corrispondenza del sottopassaggio della ferrovia.

Siamo andati subito al sodo e abbiamo preso spaghetti allo scoglio e pappardelle con carciofi e gamberetti, e poi fritto misto per due: tutto ottimo, sia i primi (specialmente il mio, visto che è stagione di carciofi) che il fritto, che conteneva pesci anche di buone dimensioni che però non sapevano di fritto, ma di pesce appena cotto, rosa al punto giusto; anche i calamari non sapevano di gomma e onion rings come nella maggior parte dei fritti, ma di calamaro appena colto (macellato, potato, insomma comunque sia che i calamari diventino quella roba che lì però chiaramente non era un cilindrato Pirelli, ma aveva anche regolamentari punte e barbette). Senza antipasti, con un solo dolce e con mezzo litro di vino – ma siamo usciti piegati, sarà che era domenica sera e avevano il pesce da finire ma il fritto era davvero abbondante e ha messo in seria difficoltà anche me – e con un oste davvero gentile, abbiamo speso meno di 35 euro a testa: sommando il fattore pesce al fattore Liguria direi che è giusto così.

Oggi invece siamo andati in gita ad Albenga e, nonostante le indicazioni contrarie della guida delle Osterie d’Italia, abbiamo trovato aperta la farinateria Puppo, la principale istituzione culinaria del centro storico (peraltro pieno zeppo di ristorantini, che però erano tutti o chiusi o vuoti; qui invece c’era la coda fuori). Certo, all’arrivo ci siamo trovati davanti l’ennesimo pacco da Osterie d’Italia: come quasi sempre quando si segue questa guida, si riceve la promessa di un posto rustico dei tempi andati – qui addirittura doveva essere uno di quei buchi nei caruggi che fanno la farinata come nell’Ottocento – e ci si ritrova davanti un locale leccatissimo pieno di proposte fighette e arredi eleganti, e dai prezzi regolarmente rivisti all’insù.

Comunque, qui l’eleganza del locale è ancora tollerabile, limitandosi a dei bei mobili antichi di legno, dei bei tavoli rivestiti di marmo, e l’ormai obbligatoria carta ruvida color senape su cui piazzare i fritti accanto a un inutile contorno di rucola (mio dio, quanto odio il contorno di rucola); alla fine, il leccatismo si è rivelato davvero l’unico punto debole del locale, a parte forse l’orrida cassetta di hits di John Denver il cui suono usciva dalla cucina.

Il cibo, infatti, era eccellente, a partire dalla farinata, che era davvero perfetta: una sottilissima crosta unta e non dura sotto, uno strato di consistenza papposa ma solida in mezzo, e sopra le isolette di parte cotta e rappresa come le rocce in mezzo a un mare di lava, solo che queste sprizzano olio d’oliva. Poi abbiamo preso una zuppa di pesce, una fetta di caciotta alla piastra con miele, fette sottilissime di pera e gherigli di noce (vi avevo detto che era un posto fighetto) e soprattutto delle eccellenti acciughe fritte, un altro piatto povero che è difficile trovare in giro ma che se fatto bene è ottimo. Anche i dolci erano buonissimi, in particolare il mio cestino di pasta sfoglia contenente una mousse alla fragola e panna guarnita con fragoline di bosco (vi avevo detto ecc.). Porzioni comunque buone, conto 39,80 euro in due rigorosamente senza scontrino.

In appendice, segnalerò che ad Albenga ci siamo andati per visitare il centro storico medievale, che è uno dei tesori nascosti della Liguria; non è enorme ma è bellissimo, una cosa che fosse in Toscana ci verrebbero i giapponesi, e invece è in Liguria quindi i locali lo tengono nascosto perché sono troppo intenti a costruire palazzoni e parcheggi sul mare. Abbiamo provato anche un’altra esperienza bellissima, l’antica strada romana che tuttora è percorribile a piedi su per i colli verso Alassio, e che corre tra gli ulivi fiancheggiata da sette o otto edifici funerari romani ancora ben visibili; peccato che i liguri ci abbiano subito costruito sopra delle ville (con indirizzo “passeggiata Archeologica 4”!), spezzando i muri del I secolo d.C. per farci il vialetto d’accesso, e riempiendo le pietre del selciato romano con cemento anni ’60 per passarci più comodi con le macchine. E trovare questa strada è praticamente impossibile, sopravvive a malapena qualche cartello giallo anni ’70 arrugginito e crollato per terra! Certo che lo scempio che hanno fatto della Liguria è davvero tremendo: non stupisce che ormai attragga solo più i pensionati di Torino e Milano.

[tags]ristoranti, recensioni, liguria, albenga, cervo, turismo, osterie d’italia[/tags]

divider
sabato 3 Gennaio 2009, 12:12

Potere e grandi opere

Tra la pila non molto spessa di libri che mi porto dietro per i periodi di vacanza, da qualche tempo c’era Sulla pelle viva, il libro di Tina Merlin che racconta la storia della tragedia del Vajont in modo giornalistico, dettagliando puntualmente, quasi giorno per giorno, la sequenza dei fatti che portarono al disastro.

L’ho letto ieri ed è molto interessante, non solo per il valore storico di testimonianza, per provare che tutti sapevano ma tacevano, che non si è trattato affatto di un disastro naturale ma del risultato dell’avidità e dell’incoscienza di industriali, tecnici e politici, perfettamente prevedibile ed evitabile. E’ interessante la lezione generale che se ne trae, sul rapporto tra potere e persone, tra centri e periferie, tra (presunta) modernità e tradizione, tra sviluppo e ambiente.

La cosa che più mi ha colpito leggendo quelle cronache è infatti stata la similitudine con tante altre cronache anche ben più recenti. I racconti sui carabinieri mandati dalla pianura a sorvegliare le preoccupate riunioni dei comitati valligiani o a espropriare con la forza i pascoli e i boschi necessari alla grande opera, o le testimonianze sui giornali democristiani o confindustriali che omettevano qualsiasi accenno ai pericoli del progetto ma pubblicavano continuamente paginoni per lodare l’ambizioso progetto fonte di sviluppo e di gloria nazionale, sono precisi identici ai racconti che trovate sui siti No Tav, che potete ascoltare da Venaus o dai presidi contro gli inceneritori, contro le discariche, contro la base americana, contro questa o quella infrastruttura decisa altrove per gli interessi di qualcun altro, e calata sulla testa di un territorio remoto dando per scontato che, in quanto remoto, esso abbia meno diritti di sopravvivere rispetto alla pianura, alla città, all’industria.

Naturalmente questo non vuol dire che tutte le grandi opere finiscano in tragedia o anche solo che siano tutte inutili e tutte esclusivamente finalizzate ad interessi economici privati; dimostra però come i meccanismi del potere siano sempre gli stessi, cioè una decisione presa in un palazzo da poche persone, sostenuta manipolando l’informazione, comprando a colpi di consulenze i dipendenti pubblici che dovrebbero vigilare e i tecnici universitari che dovrebbero valutare, e motivata pubblicamente con obiettivi di sviluppo, posti di lavoro e ricchezza, ma in realtà gestita badando soprattutto a massimizzare il profitto di chi la realizza, prima ancora delle ricadute positive per la collettività (qualora esistano).

Per questo mi ha fatto ancora più effetto vedere proprio in questi giorni su La Stampa – dopo la spaccatura del tavolo di discussione tra sindaci e governo – una serie di paginoni ancora sulla Tav, pieni di interviste al tecnico pro-Tav Virano (e se è tecnico vuol dire che è imparziale e degno di fiducia, no?), di sdegno di Chiamparino e Bresso, di illazioni sui fini elettorali della protesta, persino di aperte minacce del tipo “il PD non supporterà più le candidature dei sindaci No Tav” (nota: la SADE riuscì a superare l’opposizione locale alla costruzione della diga del Vajont quando acquistò a peso d’oro i terreni del sindaco di Erto, fino ad allora leader della protesta, dimostrando a chi resisteva che tutti erano in vendita).

In tutti questi paginoni, chili e chili di carta, La Stampa si è dimenticata di raccontare alcuni dettagli, per esempio che i rappresentanti dei sindaci della valle hanno lasciato il tavolo perchè Virano è andato a presentare all’Unione Europea un documento a nome anche loro che approvava il nuovo progetto della Tav, ma si era “dimenticato” di discuterlo con loro e di dirgli che semplicemente leggendolo lo stavano approvando. O che non sono i sindaci che hanno lasciato l’Osservatorio sulla Tav in un impeto di distruttività, ma lo stesso Virano che ha deciso di chiuderlo dimettendosi perché tanto i valligiani sono stati gabbati e il tavolo non serve più, badando bene però a rovesciare la frittata. Ma cosa volete che sia…

Per questo fa un po’ ridere vedere sullo stesso giornale un dibattito tra Meo e Mantellini (addirittura) sul tema “Internet, facendo circolare le informazioni, avrebbe potuto fermare Hitler?”. Sarà… vediamo se perlomeno Internet riuscirà a far circolare qualche informazione un po’ meno manipolata su ciò che succede nel giardino di casa nostra!

[tags]vajont, merlin, tav, no tav, la stampa, informazione, potere, grandi opere[/tags]

divider
venerdì 2 Gennaio 2009, 14:08

Film di Natale

Ma perché nelle vacanze di Natale le televisioni devono ritrasmettere solo ed esclusivamente i peggiori film della storia del cinema? Al massimo ne capita qualcuno di bello ma consumato dalle troppe visioni (tipo l’intera serie della Pallottola Spuntata), ma per il resto, bloccato davanti alla TV per la scarsa voglia di accendere il cervello e pure per qualche linea di febbre, mi sono toccati titoli come Un poliziotto alle elementari (da allora hanno vietato a Schwarzenegger di girare commedie) e Il libro della giungla versione Disney anni ’50, un capolavoro per l’abilità del regista nel girare un intero film sugli animali feroci della giungla senza mai mettere il protagonista umano e un singolo animale feroce nella stessa inquadratura.

In pratica il film funziona così, inquadrano Mowgli da solo in mezzo ad alberi di cartone che dice “Come dici Bagheera? Sei arrabbiata?”, poi si stacca sulle immagini sbiadite di una pantera nera che si rotola al sole estratte da un documentario di dieci anni prima, poi reinquadrano Mowgli che dice “Sì, hai proprio ragione!”, e si stacca su altre immagini di una pantera nera, talvolta diversa dalla precedente o ripresa in un luogo completamente differente. Alla fine c’è una scena in cui si vede una porta, inquadrata a tutto schermo, chiusa e ferma, e si sente la voce di Mowgli che dice: “Elefante! Dai, abbatti la porta! Così! Tira su la proboscide!”, insomma fa tutta la radiocronaca finché non si vede la porta che cade e Mowgli che entra…

Stamattina, comunque, mi è capitato il peggio del peggio: un film intitolato Il maestro cambiafaccia, con Dana Carvey (l’ex spalla senza talento di Mike Myers). In pratica, il film gira attorno a Carvey che interpreta un idiota (o è un idiota, almeno questo è ciò che penso dopo aver visto il film) che impara a travestirsi perfettamente da altre persone. L’intero film è una serie infinita di gag in cui Carvey si traveste da personaggi che dovrebbero essere divertenti, ma che non farebbero ridere nemmeno un bambino di quattro anni. Per il resto, la trama è inesistente, e il copione fa acqua da tutte le parti – come quando la protagonista si presenta al cattivo (interpretato da Brent Spiner, e qui si capisce perché la sua carriera non sia mai andata oltre Star Trek) come “Barbara”, e cinque minuti dopo lui la saluta come “Jennifer”. E proprio quando pensi che il film, raggiunta la lunghezza minima sindacale, sia finalmente finito, Carvey ci aggiunge la peggior imitazione di George W. Bush mai fatta da alcuno, e poi minuti e minuti e minuti di blooper non divertenti sui titoli di coda, e poi, quando finiscono i titoli di coda, ci aggiunge anche ulteriori scene non divertenti in cui lui scherza con un nano. Non meraviglia che dopo questo film, del 2002, Carvey non abbia più fatto nemmeno un film!

Per fortuna che ieri sera almeno c’era lo spettacolo di Paolini

[tags]film, televisione, disney, cinema, il libro della giungla, carvey[/tags]

divider
 
Creative Commons License
Questo sito è (C) 1995-2025 di Vittorio Bertola - Informativa privacy e cookie
Alcuni diritti riservati secondo la licenza Creative Commons Attribuzione - Non Commerciale - Condividi allo stesso modo
Attribution Noncommercial Sharealike