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mercoledì 9 Maggio 2007, 08:57

Deglutiamoli

Non ero mai stato all’Università Bocconi in vita mia; ci sono entrato per la prima volta ieri, visto che ospitava la nostra assemblea di Società Internet.

La cosa comincia male, perché sono in ritardo, visto che il mio analista si è scordato della seduta per la seconda volta di fila (è chiaramente una sua resistenza inconscia all’incontro con me; come tale, mi sento titolato a chiedergli di pagarmi ugualmente per le due sedute). Così, a fronte di un inizio riunione alle 13 in piazza Sraffa 13 Milano, io alle 11:40 sto imboccando corso Marche a Torino.

Nel mezzo, c’è la “autostrada” Torino-Milano, quella dove ambienteranno il prossimo numero del videogioco di rally di Colin McRae: chicane ogni chilometro? segnaletica orizzontale a tre strati contraddittori? pullman greci a ottanta all’ora che superano camion a settantacinque? limiti di velocità che cambiano ogni cento metri? tutto questo e anche più: ora (nuovo!) con i cantieri anche da Novara a Milano!

Nonostante questo, con una applicazione rigorosa del principio vauto = vlimite + 40, alle 12:45 sono in viale Certosa, per infilarmi poi nel centinaio di semafori ad onda rossa che intasano la circonvallazione tra piazzale Lotto (che, scopro, è intitolato al pittore e non al più noto gioco d’azzardo) e il Naviglio Pavese. Ho ancora speranza di farcela, visto che ieri ho chiesto a Simone (l’esperto di Milano) se quella della Bocconi, a sud di Porta Ticinese, sia zona parcheggiabile e se si paghi, e lui mi fa: tranquillo! è fuori dalle mura, di sicuro non si paga.

Difatti, arrivo lì ed effettivamente non si paga, nel senso che l’intero quartiere è zona gialla riservata ai residenti; girando lì attorno, trovo in due soli punti rispettivamente venti posti blu (con macchine su tre file) e un pezzo di parco collettivizzato a parcheggio selvaggio. Penso di far brillare la macchina, ma poi, come un miraggio, appare un cartello con la P, che mi guida a un parcheggio sotterraneo da 1,50 euro l’ora (nemmeno tanto), che è proprio sotto l’Università: così arrivo in sala alle 13:15, prima che inizi l’incontro.

Ovviamente l’edificio è strafigo: vi dico soltanto che, stando alle mappe sui muri, non ha un atrio ma un “foyer”, e non ha le macchinette distributrici di cibarie negli angoli, ma una “sala break” con le suddette macchinette incastonate in eleganti chioschi di legno. Il resto è molto milanese, compreso il cartello appeso in multiple copie sul bancone del bar di fronte alle macchinette, scritto in caratteri cubitali in grassetto, che specifica che le macchinette non sono in gestione al bar e quindi il bar non fornisce gratuitamente tovagliolini e altro materiale per fruirne i prodotti.

Tuttavia, comincio a notare alcune cose un po’ strane. Ad esempio, durante la riunione, c’è sempre un fastidioso rumore di fondo, che a tratti diventa così forte da non riuscire a sentire la persona che parla a due metri di distanza. Guardiamo fuori, e scopriamo che attorno all’edificio ci sono almeno tre diversi edifici in costruzione o in ristrutturazione, con tanto di gru, muratori e martelli pneumatici. Diventa impossibile persino chiacchierare del più e del meno, e quindi ci chiediamo: ma come fanno a fare lezione?

Alla pausa, alle tre meno un quarto, andiamo a prendere un caffè e scopriamo un’altra cosa strana: il bar – pardon, la sala break – è pieno, stracolmo di studenti. Sono tutti bambinetti bauscia, firmatissimi dal primo all’ultimo pelo di mutanda, con regolamentari vite basse e marchi bene in vista. Cazzeggiano allegramente. Vabbe’, saranno in pausa, dico io: eppure alle tre e venti sono ancora lì. Esco per fare una telefonata, e verso le quattro non solo sono ancora lì, ma diventano uno sciame, una folla strabordante che annichilisce il mio Nokia insieme ai persistenti martelli pneumatici, e mi costringe a mettere giù. Sono tutti firmati. Saranno centinaia, ma sì e no una ventina hanno dei libri sotto braccio. Uno ha dei volantini di una assicurazione personale, con cui abborda le tipe dalla quarta in su (ai miei tempi però si propagandavano discoteche: come cambiano i tempi…). Due guardano il manifesto di Azione Universitaria che invita gli studenti a un concerto elettorale con Faso, Cesareo e Meyer (non sapevo fossero fascistoni). Gli altri, ridacchiano.

Per carità, la mia è una prima impressione e come tale è probabile che sia sbagliata, ma mi resta l’idea che, ecco, quaggiù non si faccia un cazzo (come peraltro, purtroppo, ormai nella maggior parte delle Università italiane).

Però non mi rassegno, mi ci arrovello, e alla fine ho l’illuminazione: gli studenti sono solo una copertura. Il vero scopo di questa Università è costruire nuovi metri cubi di cemento nel centro città col mercato immobiliare più caro d’Italia. Non può che essere così.

E, rassicurato sul luminoso futuro dell’Università italiana pubblica e privata, mi preparo volentieri per la cena.

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martedì 8 Maggio 2007, 09:26

Il Cairmano

Domenica mattina sono andato anche io alla Marcia per il Filadelfia, proclamata dal presidente Cairo per unire i tifosi del Toro, nella richiesta al Comune di ricostruire lo storico stadio e centro sportivo.

La marcia era stata preceduta da varie polemiche; un ultras storico come Marco Montiglio aveva dichiarato che non ci sarebbe venuto, e in molti dei granata doc – anarchici e orgogliosi nell’anima – l’idea di accorrere alla chiamata di un presidente, persona che nel calcio è alleata ma spesso anche controparte dei tifosi, ha fatto storcere un po’ il naso; tanto più che la chiamata è giunta nel mezzo di una dura e prolungata battaglia mediatica con il sindaco Chiamparino, che da parte sua ne ha combinate di cotte e di crude sugli stadi torinesi (come già più volte qui raccontato), arrivando infine a dire che “era meglio Cimminelli” (per la cupola cittadina, certamente: l’avevano messo loro e ne eseguiva gli ordini…).

Insomma, non a tutti i tifosi andava di farsi “strumentalizzare” da Cairo in una battaglia politico-affaristica, anche se poi, riflettendo, la maggior parte dei tifosi – me compreso – hanno concluso che in questo scontro l’interesse di Cairo fosse anche quello del Toro e persino quello della cittadinanza in generale, aderendo quindi alla manifestazione.

La marcia in sè è stata tranquilla e beata, una festa non solo di ultras – guidati dallo storico Margaro – ma soprattutto di tifosi normali, con tante bici, tanti bambini, tanti vecchietti granata, e anche tanti club. All’inizio, in piazza Solferino, eravamo poche migliaia, ma il corteo si è andato ingrossando, raggiungendo una cifra finale di circa diecimila persone (quindicimila per Cairo, settemila per la Questura). La marcia è stata pacifica, scandita da cori e applausi, con grande commozione al cippo di Meroni; l’unico attimo di tensione è stato per un fesso con una bandiera bianconera in corso Re Umberto 82 (citofonare…), ripagato da un signore più avanti che ha messo lo stereo alla finestra per suonare l’inno del Toro. Qui trovate alcune delle foto.

L’atmosfera, però, è cambiata alla fine: al Filadelfia, Cairo si è arrampicato sui ruderi per arringare la folla, grazie ad un pronto radiomicrofono. Qui trovate alcuni estratti ripresi da me; oppure, se ci tenete, qui trovate il video completo.

E’ stato difficile restare seri durante il discorso. A tratti, ci si aspettava che Cairo esclamasse “I-taliani!”, o anche “Vincere! E vinceremo!”. A tratti, ha promesso nuovi miracoli granata. Verso la fine – in questo video – è sembrato persino caricaturale, ricordando un animatore di villaggio vacanze, o Elio che imita Madonna chiedendo alla folla “Sieti cià cauldi?”. Nelle pause, mi veniva naturale aspettarmi che la folla gridasse “Sil-vio! Sil-vio!”, ma mi venivano in mente anche le scene di Sordi nel Borgorosso FC.

E’ noto il carattere femminile della folla e della folla italiana in particolare: ecco, probabilmente quella di ieri è stata una visione tipicamente italiana, incomprensibile all’estero, a quelli che non hanno mai capito come avessimo fatto a scegliere gente come Berlusconi.

Per combinazione, la sera su Sky davano Il caimano di Nanni Moretti, che non avevo ancora visto. Premetto che Moretti mi sta sonoramente antipatico; ho visto alcuni dei suoi primi film, anni fa, rimandendo disgustato dal trasparente autocompiacimento e dal vecchiume intellettualoide e sinistrorso; sui suoi excursus politici a forza di girotondi, stendiamo un velo pietoso; insomma, mi son sempre guardato bene, da tempo, dall’inciampare in lui.

Questo film, però, è molto affascinante, per via della sua dimensione onirica; del continuo mescolarsi tra realtà, finzione, finzione che sembra reale (ossia il cinema) e realtà che sembra finzione (tra cui molto della vita di Berlusconi). Non è un Mulholland Drive di sinistra, eppure questo contrasto ipnotico tra lo squallore e il frantumarsi impotente della vita vera del protagonista da una parte, e il mito irreale dell’uomo sempre bello, sempre ricco, sempre ammirato, sempre vincente – sempre potente – dall’altra, colpisce davvero; così come il gioco (pur sempre narcisistico) di parlare di Berlusconi mettendo se stessi in un film a dire che non ha più senso parlare di Berlusconi in un film. In più, c’è quella svolta inquietante nel finale; essa ricongiunge l’estetica del mito con la bruttura del reale, ma anche Berlusconi (il nostro gemello interiore malvagio e vincente) con noi stessi-Moretti, e rende difficile da dimenticare la tesi della pellicola.

Avendo pertanto acquisito il messaggio che tutti noi siamo un po’ Berlusconi, mi compiaccio di ritrovare tale verità in Urbano Cairo, che di Berlusconi è stato il segretario particolare, compreso coinvolgimento in fondi neri Mediaset. Anche Cairo è un personaggio inquietante, soprattutto perché imperscrutabile: ha la lingua talmente lunga, e una tal scuola alle spalle, che non capisci mai se è serio o se ti sta cinicamente prendendo per il culo.

Io spero solo che con il calcio si diverta veramente, in modo da fare l’unica cosa che a noi poveri cittadini tifosi, anarchici e orgogliosi, resta da fare: sfruttare cinicamente il suo portafoglio, e fargli pagare un giusto biglietto d’ingresso per il grande gioco delle sue ambizioni.

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lunedì 7 Maggio 2007, 19:27

Ridotti male

Oggi, ritornando da un cliente, pedalavo allegro sul tratto di via Guido Reni che va da via Filadelfia a via Baltimora. Proprio lì, sull’aiuola spartitraffico centrale, si trovano alcuni alberi di discrete dimensioni, residuo di quando lì era tutta campagna; tra cui uno che pare un ciliegio o assimilabile.

Bene, mentre passo, mi accorgo di un tizio che, con in mano un sacchetto di carta, si arrovella attorno all’albero, tra le macchine che sfrecciano, cercando disperatamente di aggrapparsi ai rami per cogliere le ciliegie (che, data la posizione, conterranno per il 99% ossidi di azoto e polveri sottili).

Ma quanto si deve essere ridotti male, per pensare di andare a cogliere le ciliegie dello spartitraffico?

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lunedì 7 Maggio 2007, 19:20

Impegni presenti e futuri

No, scusate, ho almeno tre post per la testa, ma per un motivo o per l’altro il mio tempo di oggi è stato risucchiato completamente. Facciamo che adesso scrivo quello breve, mentre quello lungo lo rimando a domani mattina, visto che tra mezz’oretta devo uscire per andare a fare la cavia del sushi casalingo di Simone (il pesce palla però lo assaggia lui).

Nel frattempo segnalo questo evento mercoledì a Milano, in cui illustri intervenuti tra cui il sottoscritto (che ovviamente metterà insieme le slide martedì notte) discetteranno del futuro della rete e dei suoi problemi. Se qualcuno è interessato, c’è ancora qualche posto.

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domenica 6 Maggio 2007, 20:39

Tg5, sempre sulla notizia

Ore 20 di oggi, edizione principale del TG5: si sono appena chiusi i seggi per le presidenziali francesi e, grazie agli exit poll, si sa già chi ha vinto. Il TG5 apre e si collega con l’inviata a Parigi, Mimosa Martini, che parlando con lo sfondo dell’Arco di Trionfo annuncia il risultato: ha vinto Sarkozy.

Mentre parla, però, sembra un po’ distratta, e si guarda ripetutamente le parti intime. Dopo un po’, si interrompe, si ferma e dice che la candidata sconfitta, Segolene Royal, sta per fare la propria dichiarazione, che il TG5, primo tra tutti, riporterà in diretta. Poi sta zitta: attimo di confusione da studio, non si capisce cosa succeda, l’inviata invita ad attendere, poi dice “…no… stanno solo applaudendo…”. Poi ricomincia a parlare, poi si ferma di nuovo… e poi esulta: “Abbiamo le immagini!”

A questo punto, la regia manda in onda le immagini esclusive del TG5 da Parigi… che si rivelano avere il marchietto BBC World e le sovrimpressioni in inglese (nel dubbio controllo: sì, il TG5 sta ritrasmettendo BBC World). Dopo un po’ staccano di nuovo sull’inviata, visto che Segolene non parla; ma, dopo qualche frase priva di significato per prendere tempo, non parla neanche l’inviata, che continua a guardarsi le parti intime (evidentemente aveva un monitor sul pavimento).

Da studio si stufano, mandano un altro servizio, e poi si ricollegano, con l’inviata eccitata che annuncia che adesso Segolene parlerà. Allora riparte BBC World, ma con una pecetta azzurra a coprire le sovraimpressioni in inglese, che non si vedano troppo. E poi… Segolene attacca a parlare, ma in inglese: difatti anche l’audio è quello della BBC, che fa (incredibile) persino la traduzione simultanea. A quel punto, l’inviata a Cologne Monzaise, afflosciandosi davanti alla foto dell’Arco di Trionfo, rinuncia; e da studio annunciano che “vi diremo in seguito cosa ha dichiarato la Royal”.

In fondo, perchè fare i giornalisti con serietà e professionalità, quando si può semplicemente riciclare il lavoro degli altri, senza nemmeno provare prima se funziona davvero?

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sabato 5 Maggio 2007, 20:48

Movimenti

La notizia che devo darvi da un po’ di tempo è che alla fine ho comprato casa. Come sapete, già vivo da solo da anni, ma pur sempre allo stretto e in una mansarda: e quindi, da qualche tempo mi sono messo a cercare una casa vera. Nulla di clamoroso, insomma, un appartamento da single o da giovane coppia: camera, sala, cucina e bagno; e però, un certo ampliamento.

Ciò che mi ha convinto nella scelta è stata la posizione all’ultimo piano, con vista sui tetti, l’indipendenza su tre lati, e l’abbondanza di ripostigli da trasformare in sala dati; nonchè il luogo, in una via tranquilla, a 250 metri dalla metropolitana, accanto a un giardinetto. Insomma, dovendo comprare ai prezzi folli di oggi – ma credo che per andarci ad abitare ne valga ancora la pena – io ho preferito spendere un po’ di più ma prendere una casa con una serie di pregi; anche se manca il garage e già so che questo sarà un potenziale problema.

E così, a fine estate diventerò un orgoglioso abitante di via Zumaglia, considerandolo come un progresso sulla scala sociale. Già, perchè non solo mi sono avvicinato al centro di un paio di chilometri, ma ho acquisito, si badi bene, una posizione centrale in uno dei quartieri classici della media borghesia torinese. Non sono mica andato a stare nel primo isolato di via Zumaglia, così affollato di case pigiate l’una sull’altra; e nemmeno nel terzo isolato, con il rumore delle scuole e ormai lontano dalla metro. No, io ho comprato nel secondo isolato, quello più verde e signorile. I miei nonni operai ne sarebbero felici, se avessi dei nonni operai.

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venerdì 4 Maggio 2007, 19:47

Quattro maggio

Quasi tutti gli anni, a Torino il quattro maggio piove. Succede persino in quest’anno di siccità globale: quattro mesi di deserto, e poi tac, arriva il quattro maggio e sembra novembre: una giornata di tregenda, con l’acqua che viene a rovesci, i tombini che saltano, il traffico che impazzisce tra alberi caduti, giovani tamponati e vecchie zie inchiodate a trenta all’ora sui viali, nella loro uscita in macchina annuale.

C’era stata, è vero, l’eccezione dell’anno scorso, con una splendida grigliata al Filadelfia, le partite di calcio dei bambinetti, la sfilata dei giocatori, il concerto conclusivo. Ma il 2006 era un anno speciale. Questo, invece, è un anno qualsiasi; uno di quegli anni in cui le cose vanno un po’ bene e un po’ male, e poi arriva il quattro maggio e piove.

Piove come pioveva nel grigio e nella nebbia del 1949 stremato di post-guerra, il giorno della tragedia di Superga (the Superga air disaster). Un giorno che riguarda il calcio solo superficialmente; perché il disastro vero e incredibile è il simbolo dell’unità della vita e della morte, della basilare imperscrutabilità della vita umana.

Se non le avete mai viste, prendetevi il tempo di guardare le immagini di quella storia, quei rottami lì, a un metro, distrutti ma non disintegrati, talvolta beffardamente interi; quel funerale impossibile, con più gente di quanta il centro di Torino ne abbia mai potuta contenere, le persone ridotte a pallini che si affacciano schiacciati ed impazziti, straripanti da ogni angolo e finestra e buco disponibile; e quegli stadi così diversi, pieni di umanità, del sangue e del vino a cui testardamente, contro ogni logica ed ogni evidenza, il tifoso del Toro rimane attaccato.

I tempi sono cambiati, e si vede; per gli altri, il ricordo è sbiadito. Certo, c’è qualcosa di cocciuto e di perdente, nel rimanere attaccati a un fatto diventato leggenda e forse mito, nel cercare nel pallone volgare e sguaiato di oggi una conseguenza qualsiasi di quello di un tempo. C’è, però, che il gioco è la rappresentazione della realtà, e il calcio è un condensato della vita.

Nelle partite del Toro – ormai siamo abituati – le cose vanno un po’ bene e un po’ male, e poi, alla fine, di solito piove; ma non fa niente, perché l’importante non era stare al caldo. Quando in terra comincia a piovere, il Toro ha già vinto; perché l’importante è esserci sempre, nonostante la pioggia.

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venerdì 4 Maggio 2007, 16:44

Scarpe

Oggi avevo una serie di appuntamenti, ma nessuno particolarmente ufficiale (nè clienti nè conferenze). Così, mi sono vestito normalmente, con una camicia e una vecchia giacca, e sono uscito.

Solo dopo un’oretta, mentre camminavo riparandomi dalla pioggia sotto i portici di via Roma, mi sono reso conto che, senza pensarci, anziché le solite scarpe da ginnastica mi ero messo le scarpe da vestito (che avevo usato ieri per andare da un cliente).

Ci ho pensato un attimo, e ne sono stato contento: vuol dire che ho cominciato automaticamente a sentirmi degno di una certa eleganza.

P.S. Tanto per cambiare, anche stamattina all’ingresso del settore videogiochi di Fnac troneggiava una enorme Playstation 3, con un gigantesco schermo su cui girava la dimostrazione di un gioco dalla grafica incredibile, e circondata da espositori, pile di giochi, manifesti eccetera; e anche stamattina era desolatamente abbandonata. In compenso, nell’angolino più indietro, la gente faceva ancora a botte per provare le chitarre di Guitar Hero, sia sulla XBox 360 che sulla PS2.

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giovedì 3 Maggio 2007, 17:39

Monaco

Non ero mai stato a Monaco, se non all’aeroporto; questa volta invece ho avuto la possibilità di visitare la città.

L’esito è senz’altro positivo, ma per motivi forse diversi da ciò che ci si aspetterebbe. Come la maggior parte delle città tedesche, Monaco è priva di monumenti di vero rilievo e quei pochi che ci sono sono in gran parte ricostruiti. Non c’è, insomma, una torre Eiffel o una Sagrada Familia, ma nemmeno un British Museum. C’è, però, una atmosfera piacevole, da città medievale nella parte più centrale, ma comunque molto verde.

Il trucco, quindi, è non andare a Monaco per vedere qualcosa, ma per godersi la situazione, camminare per le strade, e apprezzare la vita. Che, certo, non è economica, come nulla a Monaco; credo di non aver visto tanta diffusa (relativamente alle zone centrali e semicentrali) e visibile ricchezza in alcuna altra città d’Europa; nelle vie clou, è un susseguirsi di negozi di lusso con davanti parcheggiate una sequenza di AudiPorscheBMW – Porsche – Porsche – BMW – Porsche. Ma alla fine, per qualche giorno, si può fare.

E poi, l’attrattiva principale è quella culinaria: per me che apprezzo la carne in vari modi, è stato un susseguirsi di wurstel di ogni genere – nulla a che vedere con quelli confezionati nostrani – inframmezzati da arrosti e stinchi e contornati da patate; e mi sono piaciuti persino i crauti! Su di tutto, ampie dosi di birra, che non è particolarmente economica – il litrozzo costa tra i sei e i sette euro, e in certi locali non servono misure inferiori – ma è varia e buona.

Soprattutto, ho scoperto una cosa eccezionale: il panino con dentro una fetta di cipolla fresca – magari anche un cetriolo – e un trancio di aringa marinata. Non l’avrei mai detto, e invece è subito diventata una passione: cercherò aringhe alla Bismarck per ogni dove.

L’unica nota negativa è invece relativa alla voglia di lavorare dei tedeschi: voglio dire, era il primo maggio, ponte in tutta Europa, la città era piena di turisti… e loro hanno chiuso tutto. Menzione speciale per la pinacoteca, il museo più rinomato della città, che ha chiuso lunedì perchè era lunedì, e martedì perchè era il primo maggio: customer orientation, saltami addosso. Non ci si stupisce che le aziende tedesche spostino le fabbriche in Ungheria.

Nel frattempo, io mi segno sul calendario le date dell’Oktoberfest.

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mercoledì 2 Maggio 2007, 23:07

Link strani

Mi hanno passato questo link. Sulla lista del Board di ICANN. Chissà a cosa serve.

Pare che sia collegato a quelli dell’AACS (il sistema di protezione usato sui DVD Blu-Ray e HD-DVD, l’equivalente di ciò che è il CSS per i DVD di prima generazione) che si lamentano che gliel’hanno già craccato. Possibile?

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