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domenica 15 Ottobre 2006, 02:20

[[Bert Jansch – Moonshine]]

Stanotte avevo troppo rumore a rimbombarmi nella testa, e troppa confusione ancora. Avevo bisogno di una pace antica e perduta, e, per vie strane, l’ho trovata in un brano di ben 33 anni fa, poetico e stupefacente insieme. Si tratta di Moonshine di Bert Jansch, il chitarrista inglese che ha influenzato praticamente tutta la musica folk, progressive e rock da metà anni ’60 in poi (si dice che Jimmy Page abbia scritto la parte di chitarra di Stairway To Heaven copiando quelle dei suoi brani).

E siccome voi siete nati fortunati, potete addirittura ascoltare il brano in streaming via MySpace (cliccate per scegliere quello giusto)!

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sabato 14 Ottobre 2006, 12:49

Ruspe

Questo post è in memoria di una entità che non c’è più. E non si tratta dell’immensa e ben visibile trasformazione dello storico Stievani di largo Giachino, il primo supermercato di elettronica di consumo della storia del Piemonte nonchè promotore di alcuni leggendari spot della nostra infanzia, nel nuovo gigantesco punto vendita di un altro e recentemente rinato marchio storico degli anni ’80, il mobilificio Aiazzone (c’è certamente una morale in tutto questo, ma al momento mi sfugge).

Si tratta invece della più modesta e marginale sparizione di un luogo davanti al quale, se abitate a Torino, sarete probabilmente passati molte volte, magari senza nemmeno notarlo: il giardinetto della curva di via Stradella.

Chiuso tra la curva in salita più intasata di Torino, la ferrovia per Milano, e la stazione Dora, si trattava di un quarto di cerchio semiabbandonato, dotato di qualche albero, qualche aiuola, qualche panchina, e tanta immondizia abbandonata qui e là. Non serviva a molto, non era nemmeno attraversabile per andare da qualche parte, era proprio un angolino di verde in una zona che non ne ha molto, ma che sta per ricevere in dono il nuovo parco sulla Dora, o meglio quello che ne resterà dopo la realizzazione di bonifiche, palazzi, ferrovie e strade di scorrimento.

Per me, comunque, era anche il luogo di alcuni ricordi specifici, legati alle mie pause pranzo nel periodo in cui lavoravo a Vitaminic in via Cervino. Non è l’unico luogo in cui ho ricordi specifici a sparire, anche se ultimamente stanno diventando parecchi. Ma arrivare lì in bicicletta e scoprire che un intero giardinetto, certo piccolo, ma comunque dotato di tutte le caratteristiche di un giardinetto, è stato sostituito da una spianata di terra gialla…

L’hanno raso al suolo, letteralmente, e ora non è nemmeno più un luogo, è uno spazio non significativo perchè trasparente allo sguardo, una intercapedine urbana al bordo della via. Visto così è microscopico, e non diresti mai che prima lì potesse starci qualche cosa; proprio come quando prendi la vecchia e grigia casa della nonna e la ristrutturi in modo moderno, unendo l’ingresso, il tinello e il salone, e poi ti chiedi come facessero a starci tre camere in quell’area lì.

L’hanno raso al suolo per allargare la strada, perchè dopo aver abbattuto la sopraelevata di corso Mortara le macchine strabordano ovunque, e la città è tagliata in due da un serpentone di auto in coda e bestemmianti. E così, allargheranno il ponte di via Stradella, taglieranno i binari della Torino-Ceres per tornare in giù, e passando davanti alla vecchia fabbrica si ricongiungeranno a corso Mortara davanti alle nuove “torri del parco”, un mostro urbanistico dei palazzinari che ha sfigurato un quartiere di vecchie casette.

Le auto, finalmente, potranno sciamare un po’ meglio. Basteranno pochi anni perchè del giardino si perda la memoria, nella storia anonima della periferia di una grande città, che respira, cresce e cambia proprio come le sue persone. Ma mi piaceva, nel mio piccolo, lasciarne una traccia.

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sabato 14 Ottobre 2006, 12:06

Antisociale

Mentre ero in treno, mi si sono rotti definitivamente gli auricolari dello Zen. Essendo stato pesante passare una dozzina di ore di viaggio senza musica, ieri a pranzo mi sono proiettato da Fnac ad acquistarne un paio nuovo. Ho valutato attentamente prezzo e prestazioni della ventina abbondante di modelli esposti, e alla fine ne ho comprato uno.

Solo stamattina ho realizzato che avevo comprato praticamente l’unico modello di auricolari neri.

Ok, nell’era dell’Ipod, sono decisamente antisociale: provate a buttare un occhio attorno a voi su un autobus o per strada, e non vedrete altro che gente con auricolari bianchi. Ma c’è un vantaggio: sarò subito di moda quando Apple farà uscire il misterioso, rivoluzionario, agognatissimo Ipod nero.

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venerdì 13 Ottobre 2006, 14:21

Ancora sul treno di notte

A primo parziale complemento del post precedente, posso aggiungere che ieri notte le mie motivazioni hanno subito un certo colpo quando un po’ più tardi, appena passata Piacenza, ho cominciato a sentir arrivare un motivetto ossessivo da qualche sedile dietro a me: si trattava dell’attuale canzoncina degli spot Vodafone.

L’impatto della musichina è ovviamente devastante, visto che siamo tutti stanchissimi e cerchiamo di dormire; essa finisce, ma poi dopo qualche decina di secondi riprende ancora più forte di prima, e così via per un quarto d’ora abbondante, nel quale tre diverse persone attorno a me sbuffano, raccolgono le loro cose e vanno a cercarsi un posto meno rumoroso in un’altra carrozza, per riuscire a dormire un po’.

Alla sesta o settima ripetizione non ce la faccio più nemmeno io, e decido di girarmi e vedere cosa succede: scopro così che nei sedili dietro al mio sta un ragazzotto di Rovigo (come ha dichiarato lui stesso in una delle sue precedenti, rumorose, lunghissime telefoninate) che avrà una ventina d’anni, vestito firmatissimo, che tiene appoggiato sul tavolino davanti a sè un videofonino nuovo fiammante, col quale sta guardando all’infinito, in maniera ebete, una versione estesa dell’ultimo spot della Vodafone, col vivavoce attaccato per allietare col sonoro l’intera carrozza. C’è persino la possibilità che fosse in streaming UMTS, nel qual caso si sarà tranquillamente fumato una decina di euro… Il bello è che quando mi giro e lancio un’occhiataccia, lui mi vede e (forse avendo subodorato qualcosa per l’improvviso svuotamento della carrozza) mi dice: “AH, MA DISTURBA??”

Io non rispondo nemmeno, tanto siamo già oltre Lodi… mi appunto però mentalmente che gli italiani (meglio: parecchi italiani) si meritano appieno le bollette gonfiate, le suonerie addebitate a tradimento e gli operatori in regime di cartello. Mi spavento soltanto quando, a Milano Centrale, scopro che anche il figuro in questione è diretto verso il mio stesso treno, e bado bene di salire in una carrozza la più distante possibile.

Il suddetto treno, tra l’altro, è l’interregionale per Torino di mezzanotte e mezza, l’ultimo treno in assoluto a lasciare Milano ogni sera, che per le sue frequentazioni è stato ormai ufficialmente denominato “Freccia della Nigeria“. Aggiungerò soltanto che a Porta Susa, nel corridoio d’uscita, c’era un grosso manifesto con un numero verde e la scritta “Vittime del razzismo? Chiamateci!”; e davanti una fila di italiani per segnarsi il numero.

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venerdì 13 Ottobre 2006, 11:35

Perché

Anche se le posterò probabilmente domani mattina, mentre scrivo queste righe sono seduto sulla poltrona di un Eurostar da Roma a Milano, appoggiato sul tavolino con la matita in mano, mentre vedo scorrere fuori dal finestrino le luci della periferia di Firenze. Ho appena finito di mangiare il panino gnecco che ho arraffato al volo al supermercato della stazione Termini, e prima di passare ai wafer ho sentito il bisogno di rispondere per iscritto, come in una interrogazione tra me e me, a una domanda semplice ma ricorrente: perché lo fai?

Voglio dire, cosa spinge una persona che in questo momento, anziché aver davanti altre cinque ore di treno nel cuore dell’Italia addormentata, seguite da una lunga passeggiata fino all’automobile e da un letto raggiunto ad ore proibitive, potrebbe essere tranquillamente in poltrona davanti al televisore, o al cinema, o in birreria con gli amici? Invece di dedicare del tempo ad inseguire obiettivi nemmeno ben definiti e utopie di vario genere, non potrei dedicarmi anch’io a quello a cui mirano la gran parte delle persone della mia età, cioè farsi una famiglia e costruirsi una carriera remunerativa e sicura?

C’è certamente del piacere in questo mio girovagare da un incontro all’altro, sui treni e sugli aerei di mezza Europa e di un buon quarto di mondo. Ci sono la gratificazione del riconoscimento tra pari, il piacere della visibilità personale, l’ambizione di raggiungere prima o poi posizioni sociali riconosciute, la sensazione appagante di avere voce in capitolo, insomma di provare a cambiare qualcosa in questo mondo di cui tutti, ma proprio tutti, si lamentano, ma per cui ben pochi hanno la fiducia e la voglia di fare qualcosa.

Eppure, c’è anche la stanchezza, la delusione le volte in cui tutto il tuo sforzo sembra non portare a nulla, la solitudine imposta dai non-luoghi qualsiasi in cui passi le giornate di mezzo, un punto imprecisato in cielo tra un biscotto e un salatino, una stazione di campagna dove Trenitalia ti dimentica per mezz’ora prima di rilanciare il tuo treno, un albergo uguale ad ogni altro albergo come una catena di supermercati.

E’ probabilmente un circolo autoalimentato, se la fortuna di un discorso ben venuto – che, peraltro, è molto più preparazione e fatica che caso – ti porta in giro a fare altri discorsi, e ti toglie invece il tempo per sperimentare altre strade, i percorsi di vita più battuti, quelli generalmente più noti e prevedibili, e quindi un po’ noiosi ma tanto rassicuranti. Bisogna essere un po’ pazzi per rinunciare a uno stipendio, chiudersi con se stessi, e scommettere che tutto questo su e giù in nome di una tua personale interpretazione del bene collettivo ti porterà prima o poi non dico a mantenerti, ma almeno a qualche risultato di cui poi parlare ai nipotini altrui (che i tuoi, di questo passo, non esisteranno mai).

So però che non sono il solo: l’Italia è piena di persone che, a costo di rinunce, dedicano tempo ed energie a qualcosa che non ha come obiettivo principale un compenso monetario personale, ma qualcosa di più grande e meno chiaro; forse un ideale astratto e nemmeno detto forte, nell’era in cui l’ideologia è peccato; forse il fantasma di un sogno già stinto; forse solo quella pacca sulla spalla e quel sorriso che non c’erano quando era necessario, e che alla fine ripagano più di un intero deposito di Zio Paperone.

Siamo i monaci di Santa Maria Novella, su e giù per i binari come api o formiche, nel volontariato come in politica, come in tanti mestieri di valore sociale dove il futuro è dubbio e lo stipendio è secondario. Nel mio caso, però, c’è un po’ di sconcerto in più, perché se lo facessi per un’azienda o per un partito saprei che, prima o poi, ne sarei ricompensato.

Così, invece, non si sa. Ma d’altra parte cosa, oggi come oggi, si può sapere in anticipo della propria vita?

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mercoledì 11 Ottobre 2006, 08:26

AFK

Sarò offline per due giorni: sono in partenza per Roma, dove domani si terrà l’incontro pubblico del “comitato Nicolais“. Dovrò fare una presentazione, ma ancora non ho preparato nulla… mi saranno utili le sette ore di treno.

Comunque, sono veramente indietro con la posta: perdonatemi. Mi succede anche di rispondere di fretta, e poi trovarmi citato a pensare: ah, avessi avuto un attimo per scrivere un po’ meglio…

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martedì 10 Ottobre 2006, 22:25

L’improvviso interesse per la privacy

Il Garante per la Privacy esiste ormai da una decina d’anni; dopo la famosa gestione Rodotà, è ora in mano al professor Pizzetti.

Dopo un inizio alla garibaldina che ha veramente fondato una nuova cultura delle libertà individuali in Italia, specialmente in un contesto tecnologico, l’ufficio del Garante si è un po’ spento; negli ultimi anni si è distinto più che altro per l’infame tassa che obbliga tutte le aziende italiane a versare 150 euro a testa per comunicare che, sì, ogni tanto vengono elaborati dei dati.

Eppure, ci sarebbero questioni che richiedono un urgente intervento del Garante; tra quelle che seguo direttamente, c’è l’inqualificabile pratica, pervicacemente imposta dal governo americano, di pubblicare obbligatoriamente i dati di chi registra un dominio. Su questo s’è vista scarsa, se non nulla attività.

Tuttavia, il Garante si è prontamente risvegliato dal torpore in un paio di occasioni recenti. Prima, allo scoppiare dello scandalo sulle intercettazioni telefoniche, si è affrettato a dire che bisognava proteggere la privacy dei politici coinvolti, prima che i politici stessi, a tempo di record, non si votassero da soli la distruzione delle intercettazioni stesse.

E poi, adesso che le Iene hanno colto sul fatto le abitudini dei parlamentari italiani in materia di droga, sono bastati due giorni perchè, per proteggere la loro riservatezza, il Garante censurasse l’intero servizio.

E mi lasciasse qui a meditare se sarà mai possibile che in Italia i diritti vengano applicati anche quando sono dei poveracci, e non solo di chi deve usarli per difendere la propria posizione da qualsiasi ancorchè vaga minaccia.

E se davvero chi ci governa ci ritenga così stupidi da non accorgerci di questo uso spudoratamente privato del potere pubblico.

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martedì 10 Ottobre 2006, 20:24

La notizia

La notizia non è che Google compri Youtube per qualche fantastiliardo di dollari.

La notizia è che ne parli il TG5, alle 20:15 scarse, persino prima dell’infilata di cronaca (e di una perdibile, infinita intervista promozionale a Giampaolo Pansa da parte della signora Rutelli… ah, l’Italia).

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lunedì 9 Ottobre 2006, 15:32

Nerd pride

Sicuramente avrete sentito parlare di World of Warcraft, il gioco di ruolo online in cui un nerd si deve iscrivere, creare un personaggio fantasy, e passare davanti al computer dalle quattro alle sei notti a settimana – più qualsiasi altro intervallo di tempo libero dal lavoro ove disponibile – ripetendo ossessivamente la pressione di determinate sequenze di tasti, fino a completa distruzione della propria vita sociale (ammesso di averne avuta una in precedenza). Io, preferendo la vita sociale faccia a faccia, ne sono uscito dopo tre mesi, ma la maggior parte dei miei amici è ancora lì dentro dopo quasi due anni, e così oggi a pranzo mi hanno prontamente segnalato il recentissimo crossover tra World of Warcraft e South Park.

Da Youtube, potete guardare il trailer, e poi la prima, seconda e terza parte della puntata. Tutto sommato, mi sembra uno sfottimento ancora gentile; d’altra parte i nerd sono il pubblico principale di South Park… Sono anche uno dei più ambiti in generale, visto che il nerd medio è single o equiparabile, ha pochi amici, e pertanto ha allo stesso tempo soldi da spendere, tempo disponibile, necessità di gratificazione e bisogno di attività ossessivo-ripetitive (dal collezionismo all’uccisione di cinghiali virtuali) per non dover fare i conti con le proprie frustrazioni; insomma, i nerd sono un’ottima cash cow per le aziende di entertainment.

Niente a che fare insomma rispetto all’orrido La pupa e il secchione, di cui peraltro ho solo notizie indirette, non avendone mai visto nemmeno cinque minuti, ma che mi pare il genere di sfottimento cattivo che hanno gli autodefinitisi normali nei confronti degli eterodefiniti disabili (sociali): dalla descrizione che me ne fanno, pare che gli autori del programma volessero inizialmente metterci dei ritardati mentali e sfottere quelli, ma poi si sono resi conto che sarebbe stato illegale e hanno ripiegato sui nerd, che non sono ancora categoria protetta.

D’altra parte, tempo fa un marchettaro (il nemico naturale dei nerd) mi disse con boria che i videogiochi – e a maggior ragione quindi quelli online e invasivi come World of Warcraft – erano stati inventati proprio per tenere chiusi in casa i nerd, in modo che non disturbassero le persone normali facendosi vedere per strada o nei locali…

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domenica 8 Ottobre 2006, 18:21

Riviste da bagno

Interrompo un attimo il mio furibondo torneo domenicale di Gino Pilotino per segnalare una meravigliosa rivista che ho scoperto nel bagno di Simone, che si è rivelato una autentica fucina di letture coprologiche che non facevo da anni (tra cui Gente e TV Sorrisi e Canzoni).

La rivista si chiama Mondo Sudoku e contiene, ovviamente, sudoku (ma anche altre varianti esoteriche). La cosa meravigliosa però è il titoletto riportato in copertina subito sotto la testata, che dice testualmente: “Originali dal Giappone, creati senza computer”.

E io mi sono immaginato la vecchina che va in un’edicola e chiede un giornale di sudoku, “ma me ne dia uno bello, eh, non quelli con i sudoku tutti uguali che li finisco subito”, e l’edicolante che si avvicina e le fa sottovoce: “Signora, guardi, ne ho uno speciale tutto per lei, guardi, questo qui!” Le porge Mondo Sudoku e aggiunge “Questo qua lo fanno apposta in Giappone, eh, mica come quelle copie cinesi da poco… e poi, pensi, è fatto tutto a mano, non è una produzione industriale, di quelle disegnate col computer…” E la vecchina che fa “oooh…”, compra il giornale e se ne va a casa tutta soddisfatta, immaginando anziani monaci giapponesi che, recitando mantra per ringraziare gli dèi, disegnano lentamente nuovi sudoku su grandi fogli di carta, con il pennello intinto nell’inchiostro…

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