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sabato 16 Luglio 2022, 18:13

C’è vita dopo la politica

Condivido un link al post di Federico Pizzarotti, in cui parla del suo futuro e di nuove iniziative che si è costruito in silenzio. Lo faccio non solo per mandargli un augurio, ma perché il dubbio che ha lui, anche se in condizione molto diversa, è il dubbio che ho avuto anch’io nel 2016 alla fine del mio impegno.

Quando successe, nel giro politico torinese erano tutti convinti che sarebbe successa una di due cose, cioé che mi sarei rimesso in silenzio a portare acqua al M5S a qualunque condizione, confidando poi in una candidatura in Parlamento due anni dopo, oppure che sarei entrato in qualche altro partito per sfruttare il seguito e la fiducia che mi ero costruito in otto anni di duro lavoro.

Sei anni dopo, posso dire che la scelta di lasciare la politica definitivamente, ancorché non completamente volontaria, è stata giusta, inevitabile, e fortunata.

Come ho scritto a Federico, la vita è breve e ci sono moltissime altre cose da scoprire nel mondo e in se stessi. Ripetere all’infinito la propria identità di un tempo esaurito è un modo precoce di morire lentamente; mentre trasformarsi, morire un po’ per poi rinascere nuovi, è forse più difficile e persino leggermente doloroso, ma è anche un modo per allontanare a lungo il sipario finale.

Come qualunque essere umano, io non so cosa riuscirò davvero a fare con le mie poche forze, né quanto tempo avrò ancora per farlo, ma una cosa la so; se avrò almeno un po’ di fortuna, cosa che non dipende da me, ne vedrete ancora parecchie. Per questo, mi auguro anche di vedere ancora molte nuove incarnazioni di tutti voi; possiate avere il coraggio ogni qual volta è possibile di lasciar cadere la pelle morta e mostrare al mondo una nuova farfalla.

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venerdì 8 Luglio 2022, 21:01

Aspettando una mail

È venerdì sera, il momento in cui faccio clic e su Wattpad appare un nuovo episodio della storia statica e strana che ho preteso di pubblicare per prova (vi ho mai detto che a me le allitterazioni piacciono molto?). Ma non è di questo che vorrei parlare; in realtà, volevo raccontarvi del senso del tempo completamente proprio che ha il mondo editoriale.

Per carità, io sono digitale e ingegnerista; per me, il tempo di risposta si misura in millisecondi e comunque, da buon server interrogato da un client, una risposta si deve sempre dare. Invece, quando entri nel mondo dell’editoria scopri un universo parallelo in cui alle mail non si risponde quasi mai, e in cui comunque nessuna risposta arriva mai in un tempo catturabile dalla mente umana.

Ma capiamoci bene, questa non è una lamentela; certo, è frustrante, è destabilizzante, ti porta a fissare il vuoto chiedendoti se tra due, cinque o sette mesi arriverà infine una mail o se il tuo entusiasmo creativo morirà lentamente d’inedia nel vuoto, non essendo alimentato da quel senso di senso che serve agli esseri umani in ogni cosa che fanno. Ma è una pratica che capisco, perché l’altro lato della medaglia è che milioni di italiani scrivono e inviano, riempiono le segreterie editoriali di manoscritti forse belli o forse manco adatti a un esame di terza media ma le riempiono, e a fronte di questo è meraviglioso, è miracoloso che ci sia ancora qualche editore che non sbarra tutto e non dice “pubblico solo chi scopro io per i fatti miei, gli esordienti senza calci in culo e senza culo si fottano”.

Però, ecco, vi faccio un esempio. Oggi la mia angoscia è contenta perché ho ricevuto finalmente una risposta da un editore che per ciò che si è scritto per tramite di Konan sarebbe perfetto, se si decidesse a pubblicare anche qualcosa di originale e di testuale; ed è un grosso enorme “se”, a fronte di una situazione in cui questi manco trovano la carta per stampare i manga che la gente si contende nelle fumetterie con la faccia di un Fry che grida “shut up and take my money”; per cui, non mi aspetto certo che mi prendano.

L’editore è Star Comics, e non vi gasate: la risposta è semplicemente “abbiamo ricevuto e messo in coda”. Ma era per darvi un’idea: io ho inviato la mail con la mia brava sinossi (prima o poi, giuro, parleremo anche della maledetta sinossi) in data 26 maggio, al loro generico indirizzo di contatto, visto che d’invio manoscritti il loro sito non parla; dopo cinque settimane di silenzio, il 3 luglio mi son deciso a riscrivere, senza vera speranza, semplicemente per provare a chiedere se la mail fosse mai arrivata; e oggi, cinque giorni dopo, alle sei di sera del venerdì, invece di andare a farsi un meritato aperitivo, un sant’uomo mi ha scritto che hanno ricevuto e inoltrato all’ufficio competente.

Mi son sentito in colpa; non volevo certo rompere le scatole, e posso immaginare il volume di mail d’ogni genere che gli arriva; e in più, come vi ho detto, il mio invio non è un fumetto e mi aspettavo che venisse scartato a prescindere. Quindi, sempre siano lodati gli Star, se collaboreremo magari gli regalerò anche dei personaggi decenti per la scuola di Ancient Magus Bride (scusate, è una polemica tra me e un’autrice giapponese); ma un’esperienza simile, ancorché più responsiva, più allegra e meno dilatata nel tempo, mi è capitata anche con J-POP (quindi, compriamo tutti Frieren).

Ovviamente, tu ti chiedi: ma una risposta di una riga “abbiamo ricevuto e messo in coda” non potrebbero dartela subito, evitando il peso di ulteriori scambi? Ma la mancata risposta è anzi istituzionalizzata: ci sono tanti editori che te lo dicono prima. Fanno una pagina di invio manoscritti, ti intimano la loro versione di come si impagina un documento (prima o poi, giuro, parleremo anche dei maledetti caporali) e ti dicono: manda qui, nessuno ti risponderà, se ci interessa ci faremo sentire noi, ma in ogni caso non prima di sei mesi.

Quindi, tranne che per un paio di grossi editori che hanno un santo risponditore automatico, tu resti comunque col dubbio che la mail sia andata persa in qualche gorgo di rete o più probabilmente in qualche filtro antispam; io faccio mail di mestiere, quindi posso fervidamente immaginare centinaia di motivi per cui una mail si sia persa senza essere mai stata aperta, non ultimo il fatto che (non ridete, mi è successo appunto con J-POP) tu hai copiato male l’indirizzo e non hai ricevuto il messaggio d’errore. Poi, ad ogni modo, riprendi la tua vita; e speri che tra sei mesi t’arrivi un imprevisto dono del destino.

Incidentalmente, e lo specifico solo perché qualcuno l’ha chiesto, la risposta arriverà solo nel raro caso che sia positiva; certo l’editore non si mette a dirti perché non gli è piaciuto il tuo testo, e nemmeno a lavorare con te a migliorarlo se non è già praticamente perfetto. Anche qui, è una impossibilità materiale; ci sono semplicemente troppi aspiranti scrittori per le nostre strade. Se non sei sicuro di quel che fai, esistono scuole di scrittura, manuali, agenzie formative, agenzie letterarie, insomma tante altre strade per imparare o prendere a prestito il mestiere prima di allagare la rete di manoscritti.

E anche di mestiere si dovrebbe parlare, ma per oggi ho già scritto troppo; che il vero motivo per cui temo di non interessare se non a una piccola minoranza di lettori già lo so da tempo e dai social network, ovvero che scrivo complesso (anche se il mio manoscritto è stato per questo artatamente piallato e semplificato nel lessico e nelle strutture, e garantisco che scorre proprio bene) e troppo, troppo lungo.

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sabato 2 Luglio 2022, 15:00

E per la prima volta sullo schermo: Konan

Dunque, avrete notato che negli ultimi tempi, con frequenza crescente, sono apparsi sul mio Facebook e sul mio blog dei post un po’ strani, scritti in maniera diversa e spesso dedicati a temi universali. Credo che sia quindi giunto il momento di menzionare l’esistenza di una strana entità che va sotto il nome di Konan (potete accentarlo come volete, ma io tendo al tronco); una entità che mi guarda e mi riguarda, ma che vede il mondo in maniera piuttosto diversa da un vecchio troll di Internet come me.

È un po’ il segreto di Pulcinella che io e Konan abbiamo passato gli ultimi molti mesi a scrivere un libro. A dire il vero, volendo essere precisi, ne abbiamo scritti quattro, ma sono tutti parte della stessa storia e dello stesso universo. Verrà anche il momento di far leggere qualcosa, magari posterò i link o persino del testo, chi lo sa; al momento, e forse per sempre, non c’è un editore ma soltanto la rete; ma non è questo l’oggetto del post di oggi. In questi mesi, chiedendo consigli a molti vecchi e nuovi amici, mi sono accorto di quanta gente qui attorno scriva libri o lavori nell’editoria; e di quanta invece legga, ma non abbia bene idea di come funziona la pubblicazione di un libro (non ce l’avevo con chiarezza nemmeno io). Per questo, avrei voglia innanzi tutto di parlare dell’argomento in generale, di scambiare esperienze.

Nel mio caso, la storia è questa: scrivo un po’ di tutto sin da bambino; da tanto tempo tante persone mi dicono “scrivi bene, perché non pubblichi un libro?”; nei lustri ho dato a stampe fisiche e virtuali articoli, interviste, rapporti, pezzi di saggio, manuali di Internet, blog post anche non banali a centinaia, ma mai narrativa; non avevo alcuna intenzione di iniziare adesso; poi mi è apparsa in testa questa parte di me che non conoscevo e ha cominciato a raccontarmi una storia, e io ho cercato di ucciderla in tutte le maniere, ma non ci sono riuscito e alla fine ho ceduto e ho cominciato a scrivere sotto dettatura, e dopo un mese avevo trecento pagine, e dopo tre mesi e mezzo ne avevo novecento.

Bene, m’aspettavo comunque che questa fosse una gran bella cosa: finalmente anch’io sono stato capace di scrivere un libro, e già solo il fatto di finirlo, al di là del dubbio che sia bello abbastanza e che possa trovare mai un editore, è un risultato.

Invece no: è una merda. La mia vita non è mai stata tanto stressata: fisicamente, perché le cose migliori si scrivono dalle ventidue alle due, e psichicamente, perché per scrivere qualcosa di vero bisogna scavare e scavarsi e guardare in faccia l’abisso e i buchi neri e no, non se ne esce mai bene. Sono ingrassato, sono stanco, sono irritabile, il mio umore fa il Tour de France tra depressione ed esaltazione: così per mesi e mesi. Pensavo fossi io a esser fatto male, ma poi, ormai parecchie settimane fa, Marco Giacosa mi ha involontariamente fatto leggere un post di Christian Frascella (scusate, son bifolco e non lo conoscevo) e pare davvero che la complicazione mentale sia la condizione esistenziale necessaria per chiunque tracci finzioni con regolarità.

Tutto questo, si badi, nemmeno per scrivere la Divina Commedia e parlare di miseria e splendore della condizione umana; cioé, in realtà dentro di me ho fatto proprio questo, ma l’opera è travestita da avventuretta, da innocua sceneggiatura di manga giapponese, quindi non vale: e che vuoi dire, che è possibile star male per un libro (fintamente) per ragazzi? E poi, per quanto ne so e per quanto ne pensa una metà di me, tutto ciò che ho scritto potrebbe fare aulicamente cagare: banale, noioso, mal composto, ridicolo. L’avrei bruciato più e più volte, se non fosse che sta nel computer e ne ho pure diversi backup.

Invece, un’altra metà di me pensa che quel che ho prodotto sia bellissimo, che faccia veramente piangere e ridere e consolare e sognare e che piacerebbe a chiunque sia dotato d’amore e intelligenza, ma tutto questo è inutile perché allora vien fuori l’altro problema: che la parte bella da vivere è il primo mese, quello in cui scrivi sul foglio bianco, e tutto il resto è poi tormento. Primo, un arrovellarsi sulle virgole di ogni tua frase, con la sensazione che non sia mai all’altezza di esistere; e l’unica cosa che mi ha confortato un po’ su questo è un documentario in cui il vecchio Miyazaki (non son degno, assolutamente) faceva esattamente lo stesso col suo storyboard. Poi, una questua continua d’attenzione in mezzo a miliardi d’altri come te, ognuno con qualcosa di forse o certamente meraviglioso da condividere, perchè l’arte umana se fatta con l’anima è meravigliosa a prescindere; ma ognuno offre una meraviglia di cui nessuno legge mai nemmeno le prime righe, e se legge le prime righe si stufa molto prima di darti l’attenzione che serve a costruirgli un mondo in testa, e non parliamo di arrivare alle ultime, che son quelle che in un buon libro rivelano il senso del tutto.

Del trauma dell’autore novizio a confronto con l’editoria, comunque, parleremo un’altra volta; ci vorrebbe un libro solo per quello. Io, in sostanza, solo questo volevo dire: che tanti sognano di diventare scrittori, ma essendomici trovato in mezzo, un settantadue virgola cinque per cento di me ha concluso che era meglio se nascevo stupido e incapace di usare condizionale e congiuntivo dopo il verbo concludere.

Ma volevo parlarne con voi, specialmente con chi ha vissuto simili esperienze: è proprio così?

P.S. Comunque, se qualcuno usa Wattpad e vuol fare un beta test o è solo curioso, me lo scriva qui o in privato e qualcosa faremo; ovviamente, qualsiasi commento, insulto, bacio o spintarella vale.

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giovedì 30 Giugno 2022, 21:27

Parlando di valori

Dunque ricapitoliamo, perché non succede spesso che io prenda in mano la tastiera del possessore ufficiale di questo profilo e possa parlare, né tantomeno esprimere opinioni complesse e poco ufficialmente agibili, idee che vadano oltre allo stanco trollaggio-rantaggio minimo che caratterizza l’interfaccia con cui normalmente venite in contatto su Facebook. Come si dice quando si è votati a farsi divorare dal mondo, prendete e mangiatene tutti: è il motto dei social network moderni.

Coaguliamo quindi la circostanza attuale, quella per cui noi Occidente siamo impegnati in una strisciante guerra tiepida per la salvezza dei nostri valori, sottoposti all’aggressione di mostruose potenze che vogliono ridefinire il mondo in senso autoritario, e per senso non s’intende solo una direzione, ma proprio un significato.

E’ una guerra che ci costa cara, ma non importa; perché non è certo una guerra per miseri interessi finanziari o geopolitici, per il vantaggio di alcuni gruppi dominanti o di alcuni operatori economici della pace armata. Noi combattiamo per la salvezza dell’anima del pianeta, ed è per questo che la guerra non può essere fermata, che deve andare avanti fino alla vittoria; perché se fosse soltanto una guerra d’interesse, beh, allora non sarebbe irragionevole chiedersi se tal interesse può arrivare a un compromesso, e fino a dove è prevalente rispetto ai danni gravi ed evidenti che il conflitto sta causando ai cittadini dell’Occidente stesso, ricchi e militari esclusi. Ma no, è una guerra di principio per salvare la democrazia, e sui principi non si può negoziare; ed è una guerra per salvare le povere vittime ucraine, e sulle vite non si può mercanteggiare.

Quindi è per questo, per sostenere questa guerra fino alla vittoria, che abbiamo appena stretto un accordo per permettere l’ingresso della Svezia e della Finlandia nella NATO, un passo che migliorerà senz’altro la democrazia del mondo; ed è per questo che tale accordo prevede per la Turchia la libertà di procedere all’eliminazione fisica del popolo curdo, la cancellazione di ogni diritto civile in quella parte del mondo (se mai ve n’è stati) e un numero di vittime imprecisato, che però, non essendo locate a favor di telecamera, non sono vittime rilevanti.

Ma a ben vedere, notoriamente i nostri principî sono un po’ questi; che a seconda del momento e della convenienza le vite valgono di più o di meno, che s’usano i media per murare domande anziché per farle, che nulla fermerà il profitto e la sottomissione dell’interesse dei popoli a quello di chi li governa, che difendiamo fino alla morte una democrazia dell’astensione e dell’estinzione, ben simboleggiata da un teatrino di ex comici anziani e professori un po’ massoni e un po’ bolsi, molto presi a distrarre l’attenzione da chi comanda.

E quindi sì, chiaramente, combattiamo per difendere i nostri prìncipi e i nostri principî; son proprio questi e sempre siano lodati. Baciamoci in dolce giubilo fino alla prossima bolletta del gas.

Or me ne torno da dove son venuto, là dove, per dirla col poeta, non batte mai il sole. Ma non temete, il prossimo post sarà su una buca per strada; così potremo sbizzarrirci a modino nei commenti usuali.

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venerdì 24 Giugno 2022, 22:48

Flusso d’agnello

Ho scoperto l’anno scorso la trattoria Bukaleta di Losnati, il tempio dell’agnello di Cherso, e come risultato quest’anno l’unica isola che visitiamo è Cherso, e io ho preso alloggio esattamente nella casa a fianco del ristorante, affinché io possa bearmi del profumo di agnellini in cottura sin dalle nove di mattina. Amo gli animali come Pacciani amava i giovani, nel modo cioè, da ogni punto di vista, più umano e assassino possibile; tranne i gattini, ovviamente, che per qualche motivo la nostra società considera animali non sacrificabili, a differenza degli agnelli. Ma a parte le questioni di scienza e coscienza, il fatto è che stasera è san Giovanni, che è il patrono anche di questo villaggio; e il ristorante era particolarmente pieno. E’ un ristorante villico, in mezzo alla campagna; uno di quei posti pieni di tavolate sotto il portico, circondati dal nulla, dal vento, dal buio e da un cimitero pieno di nonni di emigrati, che combatte l’oscurità che l’assedia con la carnazza e la musica; e che alla fine, quando paghi il conto, t’offre di cuore il diciotto isolabella. Non tutti capiscono un luogo del genere, e ho assistito così alla trita e tragicomica scena della sciura italiana in ciabatte che si presenta al ristorante alle otto e venti vantando una prenotazione per le otto e trenta, e all’obiezione del ristoratore che dovrà attendere il tavolo per dieci minuti risponde aggressivamente con la frase magica “MA IO HO I BAMBINI”. C’è uno strato di società convinto che avere dei figli rappresenti un titolo di precedenza, specialmente nell’accesso ai luoghi pubblici; ciò indipendentemente dal fatto che la suddetta frase venga solitamente accolta con sane pernacchie. Alla fine, l’uso o non uso del pratico goldone è una scelta personale; va detto però che, in tempi di carestia, cavallette e prossima apocalisse, quella di appesantire il mondo con ulteriori bocche da sfamare pare un tantino irresponsabile, anche se capisco che, come diceva mio nonno, i figli sono come le scorregge, vanno bene solo se sono tuoi. Ma dove vuole finire questo flusso di coscienza? Mah, non lo so: non sappiamo dove finisce l’universo né dove finisce il declino del Movimento 5 Stelle, vogliamo sapere dove finisce il mio pensiero? No; e quindi, concentriamoci sul fatto che l’agnello era meraviglioso in ogni sua forma; come sugo degli gnocchi e dei fusi, alla griglia, al forno, impanato e fritto; e ne ho mangiato persino il fegato e il cuore. Non è forse normale che i vecchi mangino il cuore dei più giovani? Succede spesso, suvvia. Infine, per la ricorrenza, siamo stati allietati anche da una band che ha riproposto i grandi successi della musica jugoslava; e da un circolo di mammutones sardi o qualcosa del genere, pronti a ballare con le signore d’ogni provenienza. Ma perché vi scrivo tutto questo? Beh, essenzialmente perché a me piace scrivere; e il fatto che invece a nessuno interessi leggere ciò che scrivo, codroipo, per una sera non è problema mio.

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sabato 23 Aprile 2022, 11:54

Anche il pacifismo serve

So che dovrei tacere, ma non ce la faccio, a costo di farmi prendere per il culo da quelli che prendono per il culo chi parla di complessità. Eppure io penso che si possa benissimo fare un manifesto del genere senza per questo giustificare Putin o sostenere che gli ucraini dovrebbero arrendersi o farsi ammazzare in silenzio.

Le due cose non sono per forza in contraddizione, anzi sono due facce della stessa medaglia. La guerra uccide, uccide perché esiste; non può esserci una guerra che non massacra, che non stupra, che non devasta, da ambo le parti (chi uccide e devasta di meno lo fa semplicemente perché non ne ha la possibilità materiale). Gli eserciti sono eserciti; non esiste e non è mai esistito un esercito gentile che risparmia le città che deve conquistare e non spara sulle postazioni nemiche perché in mezzo ci sono i civili. Per questo, logicamente, qualsiasi azione che prolunghi una guerra ne aumenta il numero delle vittime; e inviare armi all’Ucraina è senz’altro una azione che ha questo effetto.

Allo stesso tempo, inviare armi all’Ucraina, fin che sono loro a chiederle, è giusto; perché è una decisione loro, non nostra, se resistere a prezzo di altri morti o altra distruzione. A noi peraltro conviene, perché nemmeno a noi conviene che vinca Putin; dobbiamo semplicemente essere consapevoli che per questa nostra convenienza geopolitica stiamo chiedendo, anzi, stiamo attivamente contribuendo a far sì che migliaia di persone muoiano; e lo facciamo anche (non solo) perché l’alternativa, cioé entrare in guerra direttamente con la Russia, ucciderebbe noi e non loro, e noi preferiamo che muoiano loro.

Questo manifesto mette l’accento sulla prima parte del discorso, e fa bene: è la più famosa marcia pacifista d’Italia, che cosa dovrebbe dire se no? E’ irrealistico pensare che tutto si possa sempre risolvere senza sparare un colpo, ma è bello che ci sia qualcuno che ci crede e che non ha paura di ricordarlo sempre, persino in questo clima militar-celodurista di caccia al dissidente; a tante persone che, perdonatemi, con troppa leggerezza festeggiano i carri armati dell’antiputinismo cercando di nascondere alla propria coscienza il fatto che anche quei carri armati aumenteranno il numero dei morti.

A me quello che spaventa di più di questo periodo, infatti, non è il fatto che mandiamo le armi; è l’esaltazione con cui così tanta gente le festeggia. Quella resterà e porterà altro male, ed è per questo che un manifesto così, oggi, è soltanto dovuto.

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domenica 17 Aprile 2022, 16:17

Auguri per una Pasqua di guerra

La Pasqua dovrebbe essere la festa della resurrezione della natura, dell’arrivo della primavera e dell’energia vitale. Eppure anche oggi ognuno di noi ha dentro di sé una parte oscura in attesa di qualcuno da odiare. E’ così facile additarle una preda! Oggi i fiori sono pochi, e cadono in basso, e sono persi in un labirinto di rami secchi contro il cielo grigio. Oggi l’odio tracima dappertutto, anche dietro l’angolo di casa, anche nella nostra città; è nella misteriosa mano che lascia una granata nel cortile dell’Ipercoop perché “comunisti” o nella penna del console ucraino che scrive all’Università per far togliere le borse di studio ai ragazzi russi.

E’ una Pasqua di odio e oggi saranno poche le persone per cui risorgerà qualcosa, anche se molte di più saranno quelle che lo penseranno a sproposito.

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mercoledì 6 Aprile 2022, 18:39

In difesa delle Nazioni Unite

Ho a che fare con pezzi di Nazioni Unite ogni giorno da oltre vent’anni e ne conosco perfettamente tutti i limiti: l’inefficienza burosaurica, la logica spesso disconnessa dalla realtà, il peso sproporzionato di Paesi arretrati e dittatoriali, e anche la loro sostanziale impossibilità di intervenire su un certo numero di situazioni specifiche (oggi si parla di Russia, ma parliamo anche di Palestina) che deriva dall’essere figli dell’ordine stabilito con le armi alla fine della seconda guerra mondiale.

Con tutto questo, le Nazioni Unite sono l’unica parvenza di istituzione globale che abbiamo, e oltre a guardarne i limiti dobbiamo guardarne anche i meriti: magari non potranno fare niente in Ucraina, ma in tanti altri conflitti in questi decenni l’intervento dei caschi blu è stato decisivo per riportare e mantenere la pace. Parliamo poi del lavoro oscuro ma importante sui profughi, sull’alimentazione, sulla malattia, sulla cultura; criticare la FAO, l’UNESCO o l’UNHCR è uno sport facile, molto praticato e talvolta anche più che giustificato, ma davvero il mondo sarebbe migliore senza di esse?

Scrivo questo perché in questi giorni leggo cose assurde. C’è gente che scrive che bisognerebbe chiudere le Nazioni Unite, o che l’Occidente dovrebbe abbandonarle per farsi il proprio club chiuso, sancendo ufficialmente la divisione del pianeta in blocchi contrapposti. Sono davvero follie: il progresso non può che essere verso un pianeta unito e sempre più integrato fino al punto da rendere le guerre inconcepibili come oggi lo sarebbe una guerra tra Lombardo-Veneto e Regno di Napoli. La direzione opposta è quella del regresso, del ritorno alla preistoria e alla violenza permanente.

Questo è a maggior ragione vero perché le vere sfide di fronte all’umanità di oggi non sono affatto i gasdotti o i confini tra Russia e Ucraina. Le sfide importanti per l’umanità, quelle che determineranno il suo futuro e la sua sopravvivenza o distruzione, sono il riscaldamento globale, le migrazioni e l’autosufficienza alimentare ed energetica su scala planetaria. Sono sfide che possono essere vinte esclusivamente con la cooperazione tra tutti i popoli del mondo, nessuno escluso. Spaccare il mondo in due blocchi che non si parlano sarebbe il primo passo verso la distruzione dell’umanità, persino senza dover scatenare una guerra nucleare. Come concorderemo obiettivi collettivi di riduzione delle emissioni se saremo impegnati a farci la guerra tra di noi?

Demolire l’ordine uscito dalla seconda guerra mondiale può sembrare una buona idea soltanto a chi non l’ha vissuta, a chi non capisce che un nuovo ordine mondiale potrebbe emergere solo dopo una nuova guerra mondiale con milioni di vittime e con la devastazione delle vite di miliardi di persone. Attaccare l’ordine mondiale è un crimine ancora di un ordine di grandezza superiore che attaccare un Paese; equivale ad attaccarli tutti. Per questo, chi cerca di demolire le Nazioni Unite, chiunque sia, è un pazzo criminale e come tale deve essere trattato.

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domenica 3 Aprile 2022, 18:13

Forza pippa

È sera. Dopo ventidue ore di viaggio e due ore e mezza di coda all’immigrazione, arrivo all’albergo di Washington scelto da ICANN, un boutique hotel con ambizioni di lusso a metà tra Foggy Bottom e Georgetown, popolato da gente in impeccabili vestiti blu e cravatta regimental.

Arrivo al check-in completamente rincoglionito. L’addetto prende il passaporto e mi fa: “Italy? Which city?”

“Turin.”

“Ah, Torino!”

Oddio, penso. Fa’ che non succeda, fa’ che non succeda, fa’ che non succeda.

Succede.

“Forza Juve!”

Ma vaffanculo, va’.

“Here, look here!”

Invece di darmi la benedetta chiave e mandarmi a dormire, il tizio interrompe il check-in, prende il suo cellulare, armeggia, e mi fa vedere.

C’è una foto di lui abbracciato con Del Pippa.

“Do you recognize the guy?”

“Yes, of course.”

“Are you sure? Do you know his name?”

Io so che se gli dico “Del Pippa” non capirà, per cui ho pietà di lui e rispondo per bene.

“He is my childhood idol”, continua lui. “I travelled to Los Angeles on purpose to meet him.”

“Mecojoni”, sospiro io. Lui non capisce, però gli viene un sospetto.

“But are you for Juventus or for Torino?”

Sorrido. “Torino, of course. You know, I’m actually from Turin. Juve is more of a national team.”

“Ah! Sorry for you!”

Non fosse che io sono il cliente e lui l’impiegato, probabilmente mi darebbe anche del “loser”.

Ma io sono una persona gentile. Gli dico anzi che ho incontrato anch’io Del Pippa, vent’anni fa. (Adriano lo portò un giorno in ufficio a Vitaminic per fargli fare una compilation.) E poi dai, oggettivamente è un bravo ragazzo e un gran giocatore: fuori dal tifo, massima stima.

Ma per me sono le tre del mattino e voglio solo andare a letto: next time, “forza Juve” tell it to your mother.

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domenica 13 Marzo 2022, 11:19

Dov’è la pace?

Dov’è la pace?

La pace è nella resa? Nel chinare la testa a uno che è più grosso di te, nel porgere l’altra guancia senza combattere? Ma anche se lo si facesse sarebbe solo altro odio nascosto sotto la cenere, fino a quando chi si arrende oggi riproverà a ribellarsi domani. La pace tra nemici che si guardano con odio, uno dominante e uno sottomesso, che pace sarebbe?

La pace è nella guerra? Non esistono proiettili giusti o omicidi giusti. Va di moda l’idea che si costruisca la pace ammazzando tutti quelli che sono nemici della pace: una bella pace solo per noi e i nostri amici sopra un cimitero in cui abbiamo seppellito tutti gli altri. Ma ci hanno costretti loro, quindi va bene: una strana idea di pace.

La pace è nelle manifestazioni? Ma quali, quelle in cui fanno parlare il presidente e capo di uno dei due eserciti che si sparano addosso? Ma che pacifismo, che tentativo di pacificazione sarebbe? Ma non si sentono ridicoli?

La pace è nelle sanzioni? Ma le sanzioni generano sofferenza vera, nel nemico e in noi stessi. Creano odio e frustrazione qui e là, creano nuove faglie sociali anche a casa nostra, tra chi le può pagare senza problemi e chi resta senza benzina e senza riscaldamento perché non può più permetterselo. Quanta altra guerra sociale nascerà da questo nei prossimi anni? Che pace può esserci se il prezzo è distruggere la vita di molti di noi?

La pace è nella propaganda? Abbiamo identificato un nemico e ne abbiamo silenziato la voce. Spesso era una voce biforcuta, vaneggiante, malevola, ma era la sua voce. Che pace si può costruire con una persona senza voce? Adesso abbiamo anche deciso che è giusto insultarlo e minacciarlo. Ma si può costruire la pace con le minacce?

La pace è nel nostro privato? Ma se siamo i primi a non essere in pace, a passare i giorni litigando sulle diverse idee per fermare la guerra. Prima litigavamo sul covid, sulla politica, sulle preferenze sessuali, sulla ricetta della carbonara e sul gol di Turone. Abbiamo mai passato un giorno senza arrabbiarci con qualcuno? Quanto veleno di rabbia circola nelle nostre società e da lì avanti e indietro nell’animo di tutti, generalmente perché qualcuno ci deve guadagnare sopra?

Forse il problema è che la pace non esiste? Forse è un concetto astratto che non esiste nel mondo reale, in cui ogni giorno siamo violenti con qualcosa o con qualcuno? Subiamo e riflettiamo violenza a ogni semaforo, a ogni riga di social, a ogni incontro pubblico e privato. In fondo, l’intera nostra società è una violenza sul mondo, sulle altre specie viventi, sulla natura ultima delle cose e probabilmente anche sul nostro originario equilibrio con essa. Ma non sappiamo vivere altrimenti; certamente non in un sistema a risorse finite in cui la gratificazione personale è in gran parte basata sulla soddisfazione di desideri materiali.

Ma allora, cosa possiamo fare? Probabilmente possiamo solo essere imperfetti e convivere con la nostra naturale violenza. Nel frattempo, non sarebbe più onesto cancellare la parola pace dal vocabolario, o perlomeno usarla con molta più parsimonia?

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