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giovedì 30 Giugno 2022, 21:27

Parlando di valori

Dunque ricapitoliamo, perché non succede spesso che io prenda in mano la tastiera del possessore ufficiale di questo profilo e possa parlare, né tantomeno esprimere opinioni complesse e poco ufficialmente agibili, idee che vadano oltre allo stanco trollaggio-rantaggio minimo che caratterizza l’interfaccia con cui normalmente venite in contatto su Facebook. Come si dice quando si è votati a farsi divorare dal mondo, prendete e mangiatene tutti: è il motto dei social network moderni.

Coaguliamo quindi la circostanza attuale, quella per cui noi Occidente siamo impegnati in una strisciante guerra tiepida per la salvezza dei nostri valori, sottoposti all’aggressione di mostruose potenze che vogliono ridefinire il mondo in senso autoritario, e per senso non s’intende solo una direzione, ma proprio un significato.

E’ una guerra che ci costa cara, ma non importa; perché non è certo una guerra per miseri interessi finanziari o geopolitici, per il vantaggio di alcuni gruppi dominanti o di alcuni operatori economici della pace armata. Noi combattiamo per la salvezza dell’anima del pianeta, ed è per questo che la guerra non può essere fermata, che deve andare avanti fino alla vittoria; perché se fosse soltanto una guerra d’interesse, beh, allora non sarebbe irragionevole chiedersi se tal interesse può arrivare a un compromesso, e fino a dove è prevalente rispetto ai danni gravi ed evidenti che il conflitto sta causando ai cittadini dell’Occidente stesso, ricchi e militari esclusi. Ma no, è una guerra di principio per salvare la democrazia, e sui principi non si può negoziare; ed è una guerra per salvare le povere vittime ucraine, e sulle vite non si può mercanteggiare.

Quindi è per questo, per sostenere questa guerra fino alla vittoria, che abbiamo appena stretto un accordo per permettere l’ingresso della Svezia e della Finlandia nella NATO, un passo che migliorerà senz’altro la democrazia del mondo; ed è per questo che tale accordo prevede per la Turchia la libertà di procedere all’eliminazione fisica del popolo curdo, la cancellazione di ogni diritto civile in quella parte del mondo (se mai ve n’è stati) e un numero di vittime imprecisato, che però, non essendo locate a favor di telecamera, non sono vittime rilevanti.

Ma a ben vedere, notoriamente i nostri principî sono un po’ questi; che a seconda del momento e della convenienza le vite valgono di più o di meno, che s’usano i media per murare domande anziché per farle, che nulla fermerà il profitto e la sottomissione dell’interesse dei popoli a quello di chi li governa, che difendiamo fino alla morte una democrazia dell’astensione e dell’estinzione, ben simboleggiata da un teatrino di ex comici anziani e professori un po’ massoni e un po’ bolsi, molto presi a distrarre l’attenzione da chi comanda.

E quindi sì, chiaramente, combattiamo per difendere i nostri prìncipi e i nostri principî; son proprio questi e sempre siano lodati. Baciamoci in dolce giubilo fino alla prossima bolletta del gas.

Or me ne torno da dove son venuto, là dove, per dirla col poeta, non batte mai il sole. Ma non temete, il prossimo post sarà su una buca per strada; così potremo sbizzarrirci a modino nei commenti usuali.

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venerdì 24 Giugno 2022, 22:48

Flusso d’agnello

Ho scoperto l’anno scorso la trattoria Bukaleta di Losnati, il tempio dell’agnello di Cherso, e come risultato quest’anno l’unica isola che visitiamo è Cherso, e io ho preso alloggio esattamente nella casa a fianco del ristorante, affinché io possa bearmi del profumo di agnellini in cottura sin dalle nove di mattina. Amo gli animali come Pacciani amava i giovani, nel modo cioè, da ogni punto di vista, più umano e assassino possibile; tranne i gattini, ovviamente, che per qualche motivo la nostra società considera animali non sacrificabili, a differenza degli agnelli. Ma a parte le questioni di scienza e coscienza, il fatto è che stasera è san Giovanni, che è il patrono anche di questo villaggio; e il ristorante era particolarmente pieno. E’ un ristorante villico, in mezzo alla campagna; uno di quei posti pieni di tavolate sotto il portico, circondati dal nulla, dal vento, dal buio e da un cimitero pieno di nonni di emigrati, che combatte l’oscurità che l’assedia con la carnazza e la musica; e che alla fine, quando paghi il conto, t’offre di cuore il diciotto isolabella. Non tutti capiscono un luogo del genere, e ho assistito così alla trita e tragicomica scena della sciura italiana in ciabatte che si presenta al ristorante alle otto e venti vantando una prenotazione per le otto e trenta, e all’obiezione del ristoratore che dovrà attendere il tavolo per dieci minuti risponde aggressivamente con la frase magica “MA IO HO I BAMBINI”. C’è uno strato di società convinto che avere dei figli rappresenti un titolo di precedenza, specialmente nell’accesso ai luoghi pubblici; ciò indipendentemente dal fatto che la suddetta frase venga solitamente accolta con sane pernacchie. Alla fine, l’uso o non uso del pratico goldone è una scelta personale; va detto però che, in tempi di carestia, cavallette e prossima apocalisse, quella di appesantire il mondo con ulteriori bocche da sfamare pare un tantino irresponsabile, anche se capisco che, come diceva mio nonno, i figli sono come le scorregge, vanno bene solo se sono tuoi. Ma dove vuole finire questo flusso di coscienza? Mah, non lo so: non sappiamo dove finisce l’universo né dove finisce il declino del Movimento 5 Stelle, vogliamo sapere dove finisce il mio pensiero? No; e quindi, concentriamoci sul fatto che l’agnello era meraviglioso in ogni sua forma; come sugo degli gnocchi e dei fusi, alla griglia, al forno, impanato e fritto; e ne ho mangiato persino il fegato e il cuore. Non è forse normale che i vecchi mangino il cuore dei più giovani? Succede spesso, suvvia. Infine, per la ricorrenza, siamo stati allietati anche da una band che ha riproposto i grandi successi della musica jugoslava; e da un circolo di mammutones sardi o qualcosa del genere, pronti a ballare con le signore d’ogni provenienza. Ma perché vi scrivo tutto questo? Beh, essenzialmente perché a me piace scrivere; e il fatto che invece a nessuno interessi leggere ciò che scrivo, codroipo, per una sera non è problema mio.

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sabato 23 Aprile 2022, 11:54

Anche il pacifismo serve

So che dovrei tacere, ma non ce la faccio, a costo di farmi prendere per il culo da quelli che prendono per il culo chi parla di complessità. Eppure io penso che si possa benissimo fare un manifesto del genere senza per questo giustificare Putin o sostenere che gli ucraini dovrebbero arrendersi o farsi ammazzare in silenzio.

Le due cose non sono per forza in contraddizione, anzi sono due facce della stessa medaglia. La guerra uccide, uccide perché esiste; non può esserci una guerra che non massacra, che non stupra, che non devasta, da ambo le parti (chi uccide e devasta di meno lo fa semplicemente perché non ne ha la possibilità materiale). Gli eserciti sono eserciti; non esiste e non è mai esistito un esercito gentile che risparmia le città che deve conquistare e non spara sulle postazioni nemiche perché in mezzo ci sono i civili. Per questo, logicamente, qualsiasi azione che prolunghi una guerra ne aumenta il numero delle vittime; e inviare armi all’Ucraina è senz’altro una azione che ha questo effetto.

Allo stesso tempo, inviare armi all’Ucraina, fin che sono loro a chiederle, è giusto; perché è una decisione loro, non nostra, se resistere a prezzo di altri morti o altra distruzione. A noi peraltro conviene, perché nemmeno a noi conviene che vinca Putin; dobbiamo semplicemente essere consapevoli che per questa nostra convenienza geopolitica stiamo chiedendo, anzi, stiamo attivamente contribuendo a far sì che migliaia di persone muoiano; e lo facciamo anche (non solo) perché l’alternativa, cioé entrare in guerra direttamente con la Russia, ucciderebbe noi e non loro, e noi preferiamo che muoiano loro.

Questo manifesto mette l’accento sulla prima parte del discorso, e fa bene: è la più famosa marcia pacifista d’Italia, che cosa dovrebbe dire se no? E’ irrealistico pensare che tutto si possa sempre risolvere senza sparare un colpo, ma è bello che ci sia qualcuno che ci crede e che non ha paura di ricordarlo sempre, persino in questo clima militar-celodurista di caccia al dissidente; a tante persone che, perdonatemi, con troppa leggerezza festeggiano i carri armati dell’antiputinismo cercando di nascondere alla propria coscienza il fatto che anche quei carri armati aumenteranno il numero dei morti.

A me quello che spaventa di più di questo periodo, infatti, non è il fatto che mandiamo le armi; è l’esaltazione con cui così tanta gente le festeggia. Quella resterà e porterà altro male, ed è per questo che un manifesto così, oggi, è soltanto dovuto.

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domenica 17 Aprile 2022, 16:17

Auguri per una Pasqua di guerra

La Pasqua dovrebbe essere la festa della resurrezione della natura, dell’arrivo della primavera e dell’energia vitale. Eppure anche oggi ognuno di noi ha dentro di sé una parte oscura in attesa di qualcuno da odiare. E’ così facile additarle una preda! Oggi i fiori sono pochi, e cadono in basso, e sono persi in un labirinto di rami secchi contro il cielo grigio. Oggi l’odio tracima dappertutto, anche dietro l’angolo di casa, anche nella nostra città; è nella misteriosa mano che lascia una granata nel cortile dell’Ipercoop perché “comunisti” o nella penna del console ucraino che scrive all’Università per far togliere le borse di studio ai ragazzi russi.

E’ una Pasqua di odio e oggi saranno poche le persone per cui risorgerà qualcosa, anche se molte di più saranno quelle che lo penseranno a sproposito.

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mercoledì 6 Aprile 2022, 18:39

In difesa delle Nazioni Unite

Ho a che fare con pezzi di Nazioni Unite ogni giorno da oltre vent’anni e ne conosco perfettamente tutti i limiti: l’inefficienza burosaurica, la logica spesso disconnessa dalla realtà, il peso sproporzionato di Paesi arretrati e dittatoriali, e anche la loro sostanziale impossibilità di intervenire su un certo numero di situazioni specifiche (oggi si parla di Russia, ma parliamo anche di Palestina) che deriva dall’essere figli dell’ordine stabilito con le armi alla fine della seconda guerra mondiale.

Con tutto questo, le Nazioni Unite sono l’unica parvenza di istituzione globale che abbiamo, e oltre a guardarne i limiti dobbiamo guardarne anche i meriti: magari non potranno fare niente in Ucraina, ma in tanti altri conflitti in questi decenni l’intervento dei caschi blu è stato decisivo per riportare e mantenere la pace. Parliamo poi del lavoro oscuro ma importante sui profughi, sull’alimentazione, sulla malattia, sulla cultura; criticare la FAO, l’UNESCO o l’UNHCR è uno sport facile, molto praticato e talvolta anche più che giustificato, ma davvero il mondo sarebbe migliore senza di esse?

Scrivo questo perché in questi giorni leggo cose assurde. C’è gente che scrive che bisognerebbe chiudere le Nazioni Unite, o che l’Occidente dovrebbe abbandonarle per farsi il proprio club chiuso, sancendo ufficialmente la divisione del pianeta in blocchi contrapposti. Sono davvero follie: il progresso non può che essere verso un pianeta unito e sempre più integrato fino al punto da rendere le guerre inconcepibili come oggi lo sarebbe una guerra tra Lombardo-Veneto e Regno di Napoli. La direzione opposta è quella del regresso, del ritorno alla preistoria e alla violenza permanente.

Questo è a maggior ragione vero perché le vere sfide di fronte all’umanità di oggi non sono affatto i gasdotti o i confini tra Russia e Ucraina. Le sfide importanti per l’umanità, quelle che determineranno il suo futuro e la sua sopravvivenza o distruzione, sono il riscaldamento globale, le migrazioni e l’autosufficienza alimentare ed energetica su scala planetaria. Sono sfide che possono essere vinte esclusivamente con la cooperazione tra tutti i popoli del mondo, nessuno escluso. Spaccare il mondo in due blocchi che non si parlano sarebbe il primo passo verso la distruzione dell’umanità, persino senza dover scatenare una guerra nucleare. Come concorderemo obiettivi collettivi di riduzione delle emissioni se saremo impegnati a farci la guerra tra di noi?

Demolire l’ordine uscito dalla seconda guerra mondiale può sembrare una buona idea soltanto a chi non l’ha vissuta, a chi non capisce che un nuovo ordine mondiale potrebbe emergere solo dopo una nuova guerra mondiale con milioni di vittime e con la devastazione delle vite di miliardi di persone. Attaccare l’ordine mondiale è un crimine ancora di un ordine di grandezza superiore che attaccare un Paese; equivale ad attaccarli tutti. Per questo, chi cerca di demolire le Nazioni Unite, chiunque sia, è un pazzo criminale e come tale deve essere trattato.

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domenica 3 Aprile 2022, 18:13

Forza pippa

È sera. Dopo ventidue ore di viaggio e due ore e mezza di coda all’immigrazione, arrivo all’albergo di Washington scelto da ICANN, un boutique hotel con ambizioni di lusso a metà tra Foggy Bottom e Georgetown, popolato da gente in impeccabili vestiti blu e cravatta regimental.

Arrivo al check-in completamente rincoglionito. L’addetto prende il passaporto e mi fa: “Italy? Which city?”

“Turin.”

“Ah, Torino!”

Oddio, penso. Fa’ che non succeda, fa’ che non succeda, fa’ che non succeda.

Succede.

“Forza Juve!”

Ma vaffanculo, va’.

“Here, look here!”

Invece di darmi la benedetta chiave e mandarmi a dormire, il tizio interrompe il check-in, prende il suo cellulare, armeggia, e mi fa vedere.

C’è una foto di lui abbracciato con Del Pippa.

“Do you recognize the guy?”

“Yes, of course.”

“Are you sure? Do you know his name?”

Io so che se gli dico “Del Pippa” non capirà, per cui ho pietà di lui e rispondo per bene.

“He is my childhood idol”, continua lui. “I travelled to Los Angeles on purpose to meet him.”

“Mecojoni”, sospiro io. Lui non capisce, però gli viene un sospetto.

“But are you for Juventus or for Torino?”

Sorrido. “Torino, of course. You know, I’m actually from Turin. Juve is more of a national team.”

“Ah! Sorry for you!”

Non fosse che io sono il cliente e lui l’impiegato, probabilmente mi darebbe anche del “loser”.

Ma io sono una persona gentile. Gli dico anzi che ho incontrato anch’io Del Pippa, vent’anni fa. (Adriano lo portò un giorno in ufficio a Vitaminic per fargli fare una compilation.) E poi dai, oggettivamente è un bravo ragazzo e un gran giocatore: fuori dal tifo, massima stima.

Ma per me sono le tre del mattino e voglio solo andare a letto: next time, “forza Juve” tell it to your mother.

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domenica 13 Marzo 2022, 11:19

Dov’è la pace?

Dov’è la pace?

La pace è nella resa? Nel chinare la testa a uno che è più grosso di te, nel porgere l’altra guancia senza combattere? Ma anche se lo si facesse sarebbe solo altro odio nascosto sotto la cenere, fino a quando chi si arrende oggi riproverà a ribellarsi domani. La pace tra nemici che si guardano con odio, uno dominante e uno sottomesso, che pace sarebbe?

La pace è nella guerra? Non esistono proiettili giusti o omicidi giusti. Va di moda l’idea che si costruisca la pace ammazzando tutti quelli che sono nemici della pace: una bella pace solo per noi e i nostri amici sopra un cimitero in cui abbiamo seppellito tutti gli altri. Ma ci hanno costretti loro, quindi va bene: una strana idea di pace.

La pace è nelle manifestazioni? Ma quali, quelle in cui fanno parlare il presidente e capo di uno dei due eserciti che si sparano addosso? Ma che pacifismo, che tentativo di pacificazione sarebbe? Ma non si sentono ridicoli?

La pace è nelle sanzioni? Ma le sanzioni generano sofferenza vera, nel nemico e in noi stessi. Creano odio e frustrazione qui e là, creano nuove faglie sociali anche a casa nostra, tra chi le può pagare senza problemi e chi resta senza benzina e senza riscaldamento perché non può più permetterselo. Quanta altra guerra sociale nascerà da questo nei prossimi anni? Che pace può esserci se il prezzo è distruggere la vita di molti di noi?

La pace è nella propaganda? Abbiamo identificato un nemico e ne abbiamo silenziato la voce. Spesso era una voce biforcuta, vaneggiante, malevola, ma era la sua voce. Che pace si può costruire con una persona senza voce? Adesso abbiamo anche deciso che è giusto insultarlo e minacciarlo. Ma si può costruire la pace con le minacce?

La pace è nel nostro privato? Ma se siamo i primi a non essere in pace, a passare i giorni litigando sulle diverse idee per fermare la guerra. Prima litigavamo sul covid, sulla politica, sulle preferenze sessuali, sulla ricetta della carbonara e sul gol di Turone. Abbiamo mai passato un giorno senza arrabbiarci con qualcuno? Quanto veleno di rabbia circola nelle nostre società e da lì avanti e indietro nell’animo di tutti, generalmente perché qualcuno ci deve guadagnare sopra?

Forse il problema è che la pace non esiste? Forse è un concetto astratto che non esiste nel mondo reale, in cui ogni giorno siamo violenti con qualcosa o con qualcuno? Subiamo e riflettiamo violenza a ogni semaforo, a ogni riga di social, a ogni incontro pubblico e privato. In fondo, l’intera nostra società è una violenza sul mondo, sulle altre specie viventi, sulla natura ultima delle cose e probabilmente anche sul nostro originario equilibrio con essa. Ma non sappiamo vivere altrimenti; certamente non in un sistema a risorse finite in cui la gratificazione personale è in gran parte basata sulla soddisfazione di desideri materiali.

Ma allora, cosa possiamo fare? Probabilmente possiamo solo essere imperfetti e convivere con la nostra naturale violenza. Nel frattempo, non sarebbe più onesto cancellare la parola pace dal vocabolario, o perlomeno usarla con molta più parsimonia?

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giovedì 24 Febbraio 2022, 21:48

La fiaba cinese dell’orso sulla montagna

(dal grande libro delle fiabe di Luo Gen)

Molto tempo fa, in una terra lontana lontana, un orso viveva nella sua foresta sulla montagna. Era il re incontrastato di tutto quello che c’era nel bosco: tutti gli altri animali erano molto più deboli e si inchinavano a lui. Certo, nella foresta non c’era molto, e mentre lui viveva in una grotta mangiando quello che trovava, poteva vedere in fondo alla valle gli esseri umani nella loro città, con le loro case di mattoni riscaldate, le loro macchine veloci, i loro computer. Lui manco sapeva fare il fuoco con le pietre e gli stecchini, ma quella era la sua foresta, e lui ci viveva bene.

Dopo un po’ di tempo, però, gli umani ebbero bisogno di spazio. Aspettarono il momento in cui l’orso era in letargo e cominciarono a tagliare la parte più bassa della foresta. Quando l’orso si risvegliò, vide che la sua foresta era più piccola, e che al posto del grande albero in fondo alla valle su cui andava spesso a cagare in santa pace c’erano ora delle villette. Gli animali che vivevano attorno a quell’albero erano ora gli animali di casa degli umani nelle villette, e sembravano più grassi e più contenti di prima. Quando si affacciavano, dicevano all’orso e agli animali rimasti nella foresta: qui si sta molto meglio eh! Per fortuna che non siamo più nella foresta.

Venne un altro inverno, un altro letargo: e la foresta dell’orso si ridusse ulteriormente. Ogni anno il progresso degli umani abbatteva un po’ di alberi e cancellava il mondo primordiale in cui l’orso aveva vissuto; ogni anno la foresta rimasta era più piccola e triste e l’orso aveva meno spazio per andare a cagare in santa pace. Non solo: gli animali rimasti in quel piccolo pezzo di foresta cominciarono a non rispettare più l’orso. I loro amici ora vivevano tutti in comode cucce, avevano da mangiare e un futuro felice davanti. Anche loro volevano andarsene dalla foresta.

Infine, arrivò l’ultimo inverno. Quando l’orso si risvegliò, praticamente la foresta non c’era più; la città degli umani era arrivata fin quasi davanti alla sua grotta. Era chiuso in un angolo: vedeva gli umani lì pronti con escavatori, motoseghe, ruspe, betoniere, a tagliare gli ultimi alberi, murarlo dentro alla sua grotta e trasformare anche il suo ultimo spazio vitale in una nuova periferia della loro città, piena di supermercati e concessionari di auto elettriche.

Come tutti gli animali chiusi in un angolo, l’orso si infuriò e si fece più grosso che poteva, anche più grosso di quello che era, minacciando di entrare nelle loro nuove villette e cagare in santa pace proprio al centro dei loro televisori 65 pollici. Cercò di spaventarli perché andassero via, e per cominciare prese a spaccare tutti i vetri delle villette tirando tutte le pietre che gli erano rimaste.

Gli umani si risentirono molto. Loro non avevano torto un capello a quell’orso; avevano semplicemente dato una casa agli altri animali della foresta, stufi di stare al freddo a mangiare bacche con lui. Loro erano i protettori dei diritti degli animali che quell’orso aveva maltrattato per secoli; avevano portato in quelle lande progresso e conoscenza. Perché adesso quell’orso li attaccava? Era veramente cattivo. Che ragionamento aveva mai fatto? Quali erano le sue vere intenzioni? Voleva davvero spaccargli tutte le villette?

Fu proprio allora, con una magia, che il dio degli animali benedì l’orso e gli diede il dono della parola, affinché l’orso potesse finalmente spiegare le sue azioni.

Così l’orso guardò negli occhi gli immobiliaristi davanti a lui e con la bava alla bocca gli disse: “Ma porco Zeus, sono un orso di duecento chili con l’uccello grosso e il cervello piccolo, per trent’anni mi avete demolito la foresta e mi avete chiuso in un angolo, che cazzo vi aspettavate che facessi?”

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sabato 22 Gennaio 2022, 12:20

Giovani illuminati

Credo di non ripostare mai abbastanza spesso questo brano e video degli Eugenio in Via Di Gioia, che dopo quasi cinque anni inopinatamente ha ancora meno di un milione di visualizzazioni. Una piccola odissea di tre minuti scritta e musicata benissimo, il miglior video sul vuoto di senso della società digitale, il miglior video su Torino, il miglior video sul viaggiare, il miglior video sul vuoto di senso del viaggiare a rotta di collo dappertutto, nel mondo reale e in quello virtuale, per non andare mai da nessuna parte.

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venerdì 14 Gennaio 2022, 20:54

Problemi di seconda generazione

Dieci o venti anni fa, qualcuno deve aver pensato che – invece di affrontarli con fermezza tirando delle righe e facendole rispettare, che oddio è razzismo e colonialismo culturale – fosse possibile mettere sotto il tappeto i problemi dell’immigrazione, in primis il problema drammatico dell’integrazione di una cultura arcaica e patriarcale come quella di molte famiglie del Nord Africa, creando un bel ghetto circoscritto alla zona tra Porta Palazzo e il trincerone di via Gottardo e poi disinteressandosene il più possibile, contando che da lì i problemi non sarebbero mai usciti.

Come risultato, dal portone del Municipio fino al fondo della Barca adesso abbiamo una vera banlieue parigina, con “italiani” ventenni e trentenni di seconda generazione, tutti palestrati e vestiti firmati con chissà quali soldi, che passano il tempo (dicono gli inquirenti) a palpeggiare turiste in gruppo in piazza Duomo a Milano o a buttare giù dal balcone i figli altrui, quindi figliastri, delle donne che frequentano; giovani a cui della religione islamica, di cui spesso non potrebbe fregargli di meno, non sono nemmeno rimasti addosso più i principi e i vincoli, ma solo la mentalità del maschio padrone.

Ovviamente non tutti i giovani di seconda generazione e non tutti gli abitanti di quelle zone sono così, anzi quasi tutti non lo sono, come non lo sono nelle banlieue parigine. Ovviamente non è che gli italiani di millesima generazione siano tutti dei campioni di femminismo, anzi gli episodi non mancano. Ovviamente nemmeno i ghetti sono una cosa nuova, e quarant’anni fa, quando l’immigrazione era quella meridionale, magari si sarebbe parlato delle Vallette o di via Artom.

Eppure, già dopo i saccheggi di gruppo nei negozi di via Roma dello scorso marzo, un’altra scena che pensavamo possibile solo a Parigi o a Los Angeles, ci si era chiesti come evitare la prevedibile futura escalation di degrado privato e crimini di gruppo, con la trasformazione di molte parti di Torino nord in un gigantesco Molenbeek in cui la polizia non ha nemmeno più il coraggio di entrare, da cui nel fine settimana escono le bande e tanto per fare qualcosa vanno a picchiare i ragazzini di buona famiglia in centro per derubarli, cosa ormai data talmente per scontata che i giornali non ci fanno nemmeno più gli articoli.

La risposta non ce l’ha nessuno e non ce l’ho nemmeno io, anche se probabilmente passa per un faticoso mix di educazione, pugno duro e costruzione di alternative, ma la sensazione è che il tempo stia rapidamente scadendo.

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