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lunedì 8 Ottobre 2012, 13:41

La valutazione dei consiglieri e una richiesta di partecipazione

Venerdì scorso si è svolta la serata di valutazione sull’operato dei consiglieri comunali e circoscrizionali del Movimento 5 Stelle di Torino. Vorremmo ringraziare il centinaio di persone che sono intervenute alla serata e le 193 persone che hanno compilato online il questionario.

Un questionario del genere dà ovviamente risultati puramente indicativi, sia perché il campione che lo compila non è identificato né selezionato scientificamente e non rappresenta dunque in maniera precisa l’intero elettorato, sia perché il numero di compilazioni, in particolare quando si scende a livello di circoscrizione, è ridotto – in un paio di circoscrizioni abbiamo avuto meno di dieci risposte – e dunque rende i risultati molto aleatori. Tuttavia, nel complesso le osservazioni emerse sono state utili.

Abbiamo deciso di rendere pubbliche tutte le risposte al questionario (comunque anonime) e una breve analisi dei risultati che evidenzia alcuni punti, dalla difficoltà di penetrare in alcune circoscrizioni – in particolare la 6, che sconta il fatto di essere la più grande, la 8 e la 10 – fino alle questioni da voi ritenute più importanti (in primis ambiente e salute, seguite da istruzione, bilancio e trasporti) e meno importanti (ultime sport e animali, e poco prima patrimonio, sicurezza e cultura).

Abbiamo deciso di rendere pubbliche nell’analisi anche le percentuali di soddisfazione dei singoli consiglieri, con l’invito a non prenderle come una classifica dei più e meno bravi, dato che, vista l’aleatorietà, si tratta di indicazioni molto a spanne; comunque tutti i consiglieri sono ampiamente sopra il 50%, con punte del 94% per Nicola Santoro (Circoscrizione 4) e dell’89% per Monica Amore (Circoscrizione 9). Sia io che Chiara abbiamo avuto una percentuale di gradimento dell’87%, che è davvero alta anche considerando che il questionario è stato compilato da attivisti e simpatizzanti (d’altra parte questi questionari a compilazione volontaria tendono ad attrarre più gli scontenti che i contenti).

Durante la serata, ogni consigliere ha commentato il proprio risultato, e in particolare i suggerimenti e le critiche ricevute, talvolta un po’ ridicole e ingenerose ma spesso centrate e ragionevoli. Nel video potete ascoltare la presentazione iniziale dei risultati, poi da 8’46” i commenti dei consiglieri circoscrizionali e da 37′ 50″ i commenti di quelli comunali; esiste anche un secondo video con gli interventi dei cittadini.

Il problema maggiore emerso durante la serata è quello dell’organizzazione e dell’interazione tra consiglieri e attivisti: i consiglieri non riescono più a stare dietro a tutte le segnalazioni e a tutto il lavoro di commissione, gli attivisti vorrebbero sentirsi più coinvolti. Per questo motivo, abbiamo deciso di invitarvi tutti a offrirvi volontari per seguire gli argomenti delle commissioni consiliari, sia venendo alle riunioni per chi ha la disponibilità di tempo, sia semplicemente contribuendo a discutere e approfondire in rete le delibere in discussione e i problemi che ci vengono segnalati.

Queste sono le commissioni esistenti:
I – Bilancio, personale, patrimonio, partecipazioni
II – Urbanistica, trasporti, edilizia
III – Lavoro, commercio
IV – Sanità, servizi sociali
V – Istruzione, cultura, sport
VI – Ambiente, rifiuti
Controllo di gestione
Diritti e pari opportunità
Antimafia e legalità

Contattateci per email per segnalare la vostra disponibilità indicando la commissione a cui siete interessati e le vostre competenze in materia: in funzione delle risposte, valuteremo come organizzarci. Grazie!

[tags]movimento 5 stelle, valutazione, consiglieri, partecipazione, organizzazione[/tags]

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martedì 2 Ottobre 2012, 17:59

Gli schiavi della conoscenza

Emanuele è un lavoratore della conoscenza: una di quelle persone che non producono oggetti tangibili, ma idee, ricerche, prodotti immateriali. Gli economisti sostengono che se un Paese ricco vuole avere speranza di rimanerlo deve puntare proprio su questo settore, investendo nella ricerca scientifica e nei settori tecnologicamente avanzati.

In Italia, però, la realtà è ben diversa. L’impresa privata spesso concepisce la ricerca solo come un mezzo per ottenere finanziamenti pubblici, per cui, più che fare ricerca utile, si concepiscono sulla carta progetti che corrispondano a qualche bando e non di rado si falsificano i documenti per far apparire come ricerca (e quindi farsi rimborsare almeno in parte) anche le normali attività aziendali. Se non ci sono fondi pubblici, allora la ricerca – per definizione un investimento che ritorna nel lungo termine, ma che a breve è un costo – non si fa proprio.

Gli enti pubblici, invece, vedono normalmente la ricerca come un modo per far arrivare soldi alla corte di clienti, parenti e raccomandati di chi li gestisce; una consulenza, magari per studiare sulla carta un progetto che sin dal principio non si ha alcuna intenzione di realizzare, è un buon motivo per giustificare un esborso di denaro.

In questa situazione, chi invece veramente si dedica con passione e competenza al lavoro della conoscenza viene continuamente mortificato. Nel privato, di solito si trova a lavorare precariamente con contratti a progetto o finte partite IVA, da schiavo mascherato da professionista, per venire poi scaricato appena si deve tagliare qualcosa. Nel pubblico, l’ingresso nelle università è subordinato all’adesione al feudo del barone universitario di turno, accettando di mettersi in fila per poter vincere un concorso una volta esaurita la lista di figli, amanti e sodali che devono essere sistemati, e nel frattempo vivendo di assegni e contratti precari.

La storia di Emanuele è un po’ di tutto questo; ingaggiato in progetti di ricerca tra il Politecnico, la Città e la Provincia di Torino, il suo lavoro non è mai stato pagato; il primo progetto ha perso i fondi europei per via di gelosie politiche tra Torino e Milano, mentre nel secondo i soldi sono arrivati ma sono stati girati dall’ente pubblico ad altri, anziché a lui che aveva lavorato.

Nonostante le promesse di ripagarlo in qualche modo, alla fine Emanuele è finito in mezzo a una strada; era già all’estero per cercarsi un nuovo lavoro, quando è rimasto senza una lira ed è stato sfrattato e persino depennato dall’anagrafe e dalle liste elettorali italiane in quanto irreperibile. I nostri tentativi di fargli avere ciò che gli spetta sono stati vani, tanto che lui si è infine rivolto alla magistratura; potete sentire la sua storia nel video.

Ora Emanuele ha trovato un ingaggio dignitoso: alla Metropolitan University di Manchester. Questa, infatti, è la fine di molte delle persone che cercano di fare questo lavoro in Italia: l’emigrazione. All’estero chi lavora in questo settore con merito – non solo i geni, ma anche le persone normalmente preparate – viene accolto e incentivato, proprio perché loro sanno che da queste persone dipende la futura floridità della nazione. Non stupisce dunque che l’Italia sia sempre più in crisi.

[tags]ricerca, conoscenza, lavoro, precariato, università, politecnico, comune, provincia, torino[/tags]

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lunedì 1 Ottobre 2012, 14:35

Quelli che vogliono abolire lo Stato

Vorrei cominciare raccontandovi un episodio accaduto alcuni giorni fa, qui in Comune, durante una conferenza dei capigruppo.

L’elenco degli atti all’ordine del giorno del consiglio comunale, difatti, ormai ha raggiunto le trentanove pagine di lunghezza: ci sono decine di atti (tipicamente mozioni) già discussi, concordati e sostenuti da tutti ma che sono lì fermi da mesi perché non si trova il tempo di discuterli e votarli in aula. Due settimane fa abbiamo fatto un consiglio comunale straordinario, mercoledì dalle 17 alle 20; ma siamo riusciti a trattarne solo una decina.

Uno dei motivi per questa situazione è che il tempo disponibile per i consigli comunali ordinari, che si svolgono il lunedì, è spesso ridotto. I consigli iniziano alle 15, ma spesso l’inizio slitta alle 16 o alle 16:30 perché vengono organizzate in Sala Rossa commemorazioni e feste di compleanno per gli ex consiglieri ed ex sindaci; la sera si chiude all’ora di cena e talvolta anche prima, per esempio lunedì scorso abbiamo chiuso alle 18:20 perché il PDL aveva un impegno di partito. Aggiungeteci la naturale verbosità dei politici e un incomprensibile ostruzionismo a tappeto della Lega (senza alcun risultato politico, solo per far perdere tempo e soldi alla macchina comunale sperando prima o poi di ottenere in cambio chissà cosa) e viene fuori che ogni volta trattiamo tre o quattro atti se va bene… e la lista d’attesa si allunga sempre più.

In realtà, formalmente il consiglio comunale inizia alle 10; però la mattinata è occupata dalle interpellanze, e vede dunque la presenza solo del Movimento 5 Stelle e di qualche altro consigliere di opposizione; verso le 13 si finisce, e fino alle 15 (se va bene) non si ricomincia. Tuttavia, vista la convocazione, tutti i consiglieri comunali che svolgono un lavoro dipendente sono in permesso retribuito da lavoro, a spese del Comune, a partire dalle 9 del mattino – anche se in realtà si presentano in aula poi solo alle 15.

A fronte dell’arretrato, noi abbiamo provato a proporre alternative; abbiamo chiesto di fare altri consigli straordinari e ci hanno detto di no; abbiamo chiesto di spostare le celebrazioni fuori dagli orari del consiglio comunale e ci hanno detto di no; abbiamo proposto di saltare qualche seduta di interpellanze per cominciare subito i lavori al mattino e ci hanno detto di no; abbiamo chiesto almeno di iniziare i lavori pomeridiani alle 13:30 anziché alle 15 e ci hanno detto di no. Perchè?

Perché i consiglieri sono abituati ad avere la mattinata libera, e perché alle 13:30 c’è la riunione di partito del PD, che deve appianare le divergenze interne e giungere a posizioni comuni prima del consiglio. In orario di consiglio comunale, con un permesso di lavoro pagato dalla collettività: andrebbe bene solo se il consiglio fosse in pausa forzata per altri motivi, ma a me sembra ovvio che, in caso di necessità, il consiglio dovrebbe avere la priorità.

E il bello è che il rappresentante della maggioranza me l’ha spiegato urlando, in modo piuttosto alterato, perché il mio sarebbe populismo e io non rispetto le esigenze personali dei consiglieri della maggioranza, che a differenza mia (che di fatto non riesco più a lavorare… ma di questo parleremo tra qualche giorno) non sono politici a tempo pieno e devono tenere insieme le due cose.

Ora, vorrei chiarire una cosa che a molti purtroppo non sembra chiara, e lo dico anche se è un concetto attualmente impopolare. Io non credo che, insieme alla pessima politica di questi anni, sia opportuno abolire lo Stato. Io sono molto preoccupato dalle mail e dai commenti che ricevo e che mi dicono che il Movimento dovrebbe abolire non solo le province, ma anche le regioni e il 90% dei comuni, ed eliminare il Senato “doppione inutile”, e dimezzare i deputati, e azzerare gli stipendi dei politici, e cancellare i fondi di funzionamento, e i politici dovrebbero anche pagarsi il computer e la scrivania da soli e però essere sempre in servizio e pronti a rispondere immediatamente a qualsiasi richiesta dei cittadini e non saltare mai nemmeno gli ultimi cinque minuti di una seduta e rinunciare a lavoro e pensione in allegria, e però farlo non per guadagnare e nemmeno per aspirare a posizioni più importanti e nemmeno per avere un riconoscimento di qualche genere, anche solo morale, o men che meno apparire sui media.

Perché una volta che abbiamo abolito tutte le istituzioni elettive e reso materialmente impossibile per una persona normale fare politica, resta una cosa sola: la dittatura.

Certamente la politica e la pubblica amministrazione hanno bisogno di una dimagritura e ripulitura, e il comportamento dell’attuale classe politica è intollerabile e vergognoso, ma attenzione: sono piuttosto sicuro che i nostri veri padroni, quelli che manovrano l’economia, l’hanno permesso e incoraggiato per decenni, favorendo il riempimento delle istituzioni con corrotti ed idioti, proprio per arrivare qui, per convincervi ad abolire la democrazia insieme ai suoi abusi e a tenerci Monti e i suoi cloni per l’eternità.

E’ proprio per questo che ho detto ai miei colleghi dei partiti che devono smetterla di fare le riunioni di partito in orario di consiglio, e che dalle dieci del mattino dobbiamo essere tutti presenti in aula fino a sera per trattare gli arretrati, almeno fino a quando non li avremo smaltiti. Perché non si rendono conto che ciò che a loro sembra normale o al massimo un peccato veniale, certo ben lontano dai festini della Regione Lazio, in questo momento è il coltello che altri usano per abolire lo Stato; e dunque la responsabilità di questo esito non è di noi “populisti”, ma di chi fa politica da anni e continua ad offrire ai cittadini motivi grandi e piccoli per disprezzarla.

Quelli che lavorano per abolire lo Stato dunque non siamo noi, sono loro: ed è un peccato che non riescano più a capirlo.

[tags]politica, costi della politica, casta, comune, torino[/tags]

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lunedì 24 Settembre 2012, 14:38

Il software libero mi fa arrabbiare

Come molti di voi sanno, da molto prima di interessarmi alla politica sono un attivista per le libertà digitali; dalle conferenze delle Nazioni Unite fino agli hackmeeting nei centri sociali, sin dagli anni ’90 ho discusso di software libero, diritto d’autore, censura in rete, net neutrality e via via tutti i temi che si sono negli anni sviluppati.

Sono insomma temi che conosco bene e che ho piuttosto a cuore, e per questo sono stato contento quando la maggioranza che sostiene Fassino ha presentato due mozioni che intendevano portarli avanti, una per diffondere il software libero e una per promuovere l’accessibilità dei dati comunali tramite formati e licenze aperte.

L’altro giorno le mozioni sono arrivate in aula e ho preso la parola per annunciare il nostro sostegno, ma anche per far notare che di parole se ne sono già fatte troppe, e che l’attenzione della maggioranza per questi temi rischia facilmente di rivelarsi ipocrita; una bella dichiarazione di principi che non costa nulla e che da dieci anni viene periodicamente ripetuta (qui la mozione praticamente identica del 2003) ad uso puramente elettorale, continuando poi ad amministrare esattamente nel senso contrario.

Man mano che parlavo mi sono venuti in mente i tanti esempi che ho visto anche solo in questo anno da consigliere, e mi sono arrabbiato. Sentirete nel video com’è la realtà dell’informatica comunale torinese; io spero solo che stavolta l’esito di questi atti sia diverso dal passato, e che non si rivelino un’altra volta una presa in giro.

[tags]software libero, free software, diritti digitali, internet, internet governance, open data,  torino, fassino, comune[/tags]

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martedì 18 Settembre 2012, 21:48

Ma sì, facciamoci un parcheggio

Ormai siamo abituati ai progetti di cementificazione di Torino, ma questo è uno di quelli che farà più discutere: il bando dell’amministrazione Fassino per venti nuovi parcheggi sotterranei sparsi per la città sotto il suolo pubblico (strade e giardini).

Si tratta in particolare di parcheggi pertinenziali, ovvero di box auto destinati a chi vive nei palazzi adiacenti; non di parcheggi a rotazione disponibili al pubblico. Se da una parte questa tipologia di parcheggio crea meno problemi in termini di attrazione di traffico, dall’altra anche i vantaggi per il pubblico sono ridotti, visto che in superficie si libera spazio soprattutto di notte, quando le strade sono occupate dalle auto dei residenti.

L’operazione è dunque essenzialmente di una speculazione immobiliare in cui a guadagnarci sono in due: il costruttore innanzi tutto, che ha solitamente margini di guadagno superiori al 50 per cento, e il Comune, che incassa un diritto di concessione del suolo pubblico definito mediante un’asta al rialzo. Ovviamente è contento chi, potendo permetterselo, compra uno dei nuovi box; meno contenti sono tutti gli altri abitanti della zona e in particolare i commercianti, che devono subirsi un cantiere che spesso si allunga all’infinito (io vivo a pochi metri da piazza Chironi, che ormai da diversi anni è un buco recintato di cui non si vede la fine).

E poi, c’è il danno ambientale, che ovviamente dipende da dove si fa il parcheggio. Secondo l’amministrazione, questa operazione è una “riqualificazione” delle piazze e dei giardini; la realtà è che un conto è farlo sotto un piazzale asfaltato, un altro è demolire un giardino pieno di alberi per sostituirlo con delle aiuole stentate, visto che sopra una soletta di cemento non è che cresca granché. C’è poi un danno più sottile: chi ci dice che tra cinquanta o cento anni non avremo bisogno del sottosuolo? Quali sono veramente gli effetti di spargere per la città degli enormi cubi di cemento sotterranei, eterni, impermeabili e fissi?

Noi non abbiamo una preclusione di principio verso i parcheggi sotterranei, anche se preferiremmo opere per il trasporto pubblico; tuttavia, bisogna verificare se veramente ce n’è necessità (spesso nei palazzi vicini alle zone prescelte ci sono dei box in vendita…), se si può realizzare nel luogo in questione senza danneggiare il paesaggio e l’ambiente, e soprattutto se la cittadinanza lo vuole: dovrebbero essere gli abitanti più vicini a decidere se una proposta di parcheggio è utile oppure no.

Aggiungo dunque l’elenco delle zone proposte dall’amministrazione comunale, di modo che ognuno possa commentare la propria: difatti molti cittadini non scoprono il progetto se non quando arrivano le ruspe. In fondo ne commenterò qualcuna.

Circoscrizione 1
Piazza Lagrange e primo tratto di via Lagrange fino a corso Vittorio Emanuele II
Piazza Paleocapa
Corso Stati Uniti tra corso Re Umberto e corso Galileo Ferraris

Circoscrizione 2
Corso Allamano 64 sotto il prato fronte incrocio di via Grosso
Via Gorizia angolo via Filadelfia lato nordovest (area Saint-Gobain)
Via Barletta tra piazza Santa Rita e corso IV Novembre

Circoscrizione 3
Via Tofane sotto il giardino sul retro della biblioteca Carluccio
Via Rivalta angolo via Osasco sotto la pista di pattinaggio

Circoscrizione 4
Via Carrera e via Salbertrand int. 57 sotto il campo di calcio
Via Servais int. 92 sotto il parcheggio esistente

Circoscrizione 5
Largo Giachino lato nordest fronte via Stradella 104-112
Piazza Mattirolo all’interno delle alberate del giardinetto

Circoscrizione 6
Corso Giulio Cesare 194-196 sotto il piazzale tra via Pergolesi e via Porpora

Circoscrizione 7
Piazza Gozzano sotto il rettangolo a est (compresa la parte più a est del giardino)
Largo Boccaccio sotto l’ovale centrale

Circoscrizione 8
Corso Marconi tra via Madama Cristina e corso Massimo d’Azeglio
Piazza Nizza (metà ovest)

Circoscrizione 9
Corso Benedetto Croce 29-31 sotto la banchina
Piazzale Pasquale Paoli (metà sud, verso via Asuncion)
Piazzale San Gabriele da Gorizia sotto la carreggiata nord-est (davanti n. 175-175bis)

Tranne la decima circoscrizione, tutta la città ha qualche progetto in vista; questi venti sono già quelli che restano da una sessantina di idee iniziali, selezionate poi in base alla fattibilità e ai pareri delle circoscrizioni.

La selezione tuttavia lascia un po’ a desiderare, visto che in commissione, appena ho visto la lista, ho alzato il sopracciglio e chiesto: ma sotto corso Stati Uniti tra corso Re Umberto e corso Galileo Ferraris non dovrebbe passare prima o poi la seconda linea della metropolitana? Attimi di panico e risposte confuse: no forse passa di là, ma magari la spostiamo un po’, ma non andava in via Sacchi? in effetti non sappiamo… In sostanza pare nessuno si fosse accorto del problema, anzi mi hanno molto ringraziato per la segnalazione e adesso verificheranno dove sta attualmente la riga sulla cartina della metro 2!

Ma non è mica l’unico caso problematico: a voi sembra sensata l’idea di abbattere tutti gli alberi di corso Marconi nella metà verso il Valentino per farci sotto un parcheggio? E quelli di piazza Nizza? O piazza Mattirolo, dove teoricamente gli alberi sono fuori dal perimetro del parcheggio, cioé a mezzo metro dai muraglioni di cemento: quante chance avrebbero di sopravvivere davvero al cantiere?

In piazza Gozzano è già nato un agguerrito comitato per salvare il pezzo di giardino che sarebbe eliminato; altri comitati si segnalano in corso Benedetto Croce e in piazza San Gabriele da Gorizia. Ma che senso ha un parcheggio privato per gli abitanti delle case di fronte, se gli abitanti delle case di fronte si organizzano per combatterlo?

E poi ci sono le piazze auliche: piazza Paleocapa e piazza Lagrange. E’ vero che se il risultato fosse una pedonalizzazione potrebbe anche avere un senso, ma i box privati non sostituirebbero i parcheggi pubblici in superficie e dunque così non è; e poi, ma davvero è utile continuare a scavare sotto il centro? E in piazza Paleocapa non saprebbero nemmeno dove mettere le rampe, visto che nella piazza sarebbero oscene e in via XX Settembre passano i tram.

C’è una cosa che colpisce di questo piano: non c’è nessuna vera valutazione della necessità di posti auto nelle singole zone, e nemmeno degli impatti sulla viabilità. Un piano parcheggi avrebbe senso se il Comune prendesse una per una le microzone cittadine, studiasse se mancano parcheggi e di che tipo (diurno, serale o notturno; per residenti o per visitatori; eccetera), nonché i problemi di viabilità e di vivibilità, e in base a quello decidesse un piano complessivo che può anche prevedere un parcheggio sotterraneo, ma funzionale ad altri interventi come pedonalizzare una piazza o ridisegnare il trasporto pubblico o introdurre una ZTL o così via.

Invece, qui per prima cosa si apre un cantiere e si fa un buco perché il Comune deve incassare e qualcuno deve provare a vendere dei box, e poi dopo, ammesso che il cantiere vada a buon fine, si capirà che effetto avrà sul quartiere e si aggiusteranno le cose alla bell’e meglio: la classica approssimazione all’italiana.

[tags]parcheggi, viabilità, traffico, torino, speculazione, cemento, paesaggio[/tags]

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sabato 8 Settembre 2012, 11:27

Il mio fuori onda: riflessioni sul futuro del Movimento

La sparata televisiva di Favia ha provocato un’ondata di reazioni articolate da tutti i consiglieri a cinque stelle d’Italia; dunque mi permetto di aggiungere la mia e di parlare per una volta, in modo più costruttivo, dell’organizzazione del Movimento. Se a me un giornalista avesse chiesto (fuori onda o no cambia poco, io dico le stesse cose) quali sono le questioni interne aperte per il Movimento, cosa avrei risposto?

Favia ha detto o insinuato diverse falsità di cui non poteva non sapere la falsità: che ci sono gli infiltrati, che Casaleggio sceglie i candidati, che chi non la pensa così è un burattino di Casaleggio (magari è soltanto qualcuno che i suggerimenti e le critiche li fa, ma non davanti alle telecamere di regime e non con toni esasperati). Casualmente noi giovedì sera avevamo la riunione cittadina: il Movimento è quello, sono stanze con dozzine di persone che discutono, non è l’immagine che viene dipinta in televisione, e se qualcuno non è convinto farebbe bene a venire a vedere con i propri occhi e solo dopo giudicare.

Il punto difatti è che il Movimento, con tutti i suoi difetti, è l’unica forza politica che non viene da un sistema ventennale e marcio in cui tutti hanno scheletri nell’armadio e convenienze da difendere, e che presenta progetti e usanze che possono essere più o meno condivisibili, ma che sono certo molto più moderni degli altri. L’obiettivo dei media è nascondere questa differenza e portare gli italiani a discutere invece, e a prendere come base per decidere del proprio futuro, stupidaggini: non i piani per il futuro del Paese, ma il taglio di capelli di Casaleggio (il nuovo calzino azzurro del momento). C’è chi lo fa perché è pagato, e chi lo fa perché purtroppo il taglio di capelli di Casaleggio, vista l’attitudine degli italiani televedenti, fa molta più audience della riforma del lavoro.

L’obiettivo della manovra mediatica è stato raggiunto. Non solo quello di screditarci, ma anche un obiettivo ancora più facile da raggiungere: quello di costringerci sulla difensiva. Da settimane, se uno apre il blog di Grillo non trova quasi più discussioni di sostanza e informazioni poco note, trova solo risposte obbligate ad attacchi pretestuosi, smentite e sfuriate sull’informazione venduta. Questo ci costringe a dare l’impressione di non avere niente da proporre e rafforza l’immagine artefatta di vaffanculi e basta. Il programma c’è, ma non riusciamo a tirarlo fuori e la prima domanda è: cosa possiamo fare per comunicarlo meglio? E come possiamo rovesciare la situazione e, mediaticamente parlando, passare all’attacco?

Poi: Favia era complice, Favia era ingenuo? Alla fine lo scopriremo solo vivendo, ma cambia poco. La vicenda di Favia, se mai, spinge a una riflessione che nel Movimento non si è quasi mai fatta: come selezioniamo le nostre persone, specie quelle da mandare agli incarichi più importanti? Che caratteristiche devono avere? E la nostra idea di politica come servizio civile a tempo determinato, in pratica, può funzionare? Richiede degli aggiustamenti? L’esperienza di questi primi anni di presenza nelle istituzioni cosa ci insegna?

La prima parte della discussione è il punto veramente cruciale se vogliamo partecipare con successo alle elezioni nazionali. Se ci vogliamo partecipare per sport, per piazzare venti persone che vadano a gridare vaffanculo, allora possiamo anche non preoccuparcene. Ma io vorrei che partecipassimo alle elezioni nazionali per provare a vincerle, ma non per il potere, ma perché è l’unico modo per riuscire a cambiare l’Italia, e altri anni di pastone Monti – Passera – CasiniItalia – Bersani – Vendola – Berlusconi non li posso reggere.

Ma se vogliamo anche solo essere considerabili come alternativa di governo, dobbiamo smentire coi fatti e con la comunicazione l’immagine che ci vogliono appiccicare, quella di ragazzini dietro un comico urlante, ben disposti ma inesperti, e presentare al Paese la proposta di una nuova classe dirigente. E no, non giovanotti simpatici e non casalinghe di Voghera, ma persone che nel loro settore abbiano un curriculum così, la competenza per realizzare il programma e la capacità di esporlo in pubblico; che siano credibili per mettere mano al casino che è l’Italia di oggi, nel disastro in cui si trova. Non basta scrivere una riga in un PDF con “abolizione del precariato” per abolire il precariato, e la vera sfida del Movimento è, nel momento in cui gli italiani ci danno la chance di provarci, passare dalle buone intenzioni ai risultati concreti. Ma come troviamo queste persone, come le selezioniamo?

Ma non servono solo questi; serve un organismo di migliaia di persone coese e motivate che lavorino insieme verso lo stesso obiettivo, dall’attivista di quartiere fino al candidato premier. Siamo sicuri di esserlo? In qualsiasi organizzazione umana, dalle aziende al volontariato, motivare le persone e farle sentire parte di un progetto è la chiave del successo. Ma da noi? Bene hanno fatto in molti a rimarcare che tipicamente il problema dei consiglieri del Movimento è l’opposto di quanto dice Favia: altro che ingerenze di Casaleggio, la realtà è che rimani spesso solo con le tue responsabilità e i problemi della tua città, con appena qualche attivista di buon cuore a darti una mano; e che ogni gruppo generalmente non sa cosa fa il vicino e reinventa la ruota ogni volta.

Da noi il consigliere-dipendente dei cittadini, a parte i regionali, è pagato poco o nulla rispetto alla mole di lavoro, è precario con contratto di sei mesi in sei mesi, sacrifica il lavoro e la famiglia, si mette contro il potere di tutta la città, che spesso gli fa terra bruciata attorno; in alternativa, con la scusa di una battuta, cercano di capire se sei il tipo che prima o poi cede alle lusinghe (a noi hanno già offerto di tutto, dall’assessorato alla candidatura al Parlamento… sempre per “scherzo” s’intende). Dal lato del Movimento c’è tanto lavoro, parecchi vincoli e doveri aggiuntivi, tanta gente che ti fa ossessivamente le pulci, nessuna prospettiva di promozione (anzi: è esplicitamente vietato essere promossi), una presunzione di colpevolezza (dal momento in cui vieni eletto sei considerato per principio un carrierista che aspetta solo l’occasione per vendersi) e un atteggiamento stile “non ce ne frega niente di te, se non ti piace vattene” (così poi confermi la presunzione precedente).

Ora, nel mondo ideale il Movimento potrebbe contare su una abbondante scorta di santi votati al martirio, ma, scendendo nel mondo delle persone reali, quanto può essere psicologicamente (de)motivante questo modo di impostare il lavoro dei consiglieri? C’è da stupirsi se poi qualcuno se la prende con Casaleggio, qualcuno contesta le regole, qualcun altro comincia a lavorare per se stesso, e più semplicemente nel giro di qualche tempo nessuno si offrirà più di fare il consigliere comunale e ci sarà la fila solo per il Parlamento?

E quanti degli scazzi pubblici che tanto ci danneggiano si potrebbero evitare semplicemente costruendo gli spazi per parlarsi e chiarirsi, invece di mandarsele a dire da una città all’altra a mezzo stampa e rete, prima che i rapporti personali si deteriorino e incancreniscano? Ma spazi per parlarsi tra compagni di avventura, non congressi con alzate di mano, votazioni e spaccature in maggioranze e minoranze; e persone il cui ruolo (informale) non sia quello di coordinare o dirigere, ma di ascoltare, consigliare e aiutare a far funzionare la rete di collaborazioni in orizzontale, e non per l’autorità concessagli da una regola ma per l’autorevolezza dei singoli ottenuta con il lavoro.

E poi, nel lungo termine, quanto può essere attraente la nostra “offerta di lavoro” nelle istituzioni e per chi? Perché non è affatto vero che eleggere Tizio o eleggere Caio è la stessa cosa perché sono solo terminali di una rete; nella realtà, la capacità, l’onestà, l’altruismo, la voglia di fare della persona che mettiamo nelle istituzioni sono vitali per un risultato positivo o negativo. Nessuno di noi è insostituibile, ma non tutti sono in grado di svolgere in modo soddisfacente determinati ruoli, come dimostra la moltiplicazione dei “PS” o la variabilità del lavoro fatto, per qualità e quantità, nelle diverse istituzioni (di cui peraltro il Movimento non ha alcuno strumento sistematico di misurazione, e anche su questo bisogna lavorare). E non di rado, più uno sgomita per venire eletto e meno è adatto al ruolo; mentre quelli adatti sono proprio quelli che hanno meno possibilità, o meno incentivi, per accettare il difficile ruolo di cui dicevamo sopra.

La prospettiva delle elezioni nazionali, poi, ha fatto letteralmente impazzire una parte del Movimento. Onesti attivisti si improvvisano concionatori, cominciano ad aprirsi siti personali e a pubblicare arringhe improponibili in un italiano stentato. Nascono gruppetti dai nomi equivoci che organizzano eventi a colpi di slogan populisti semplicemente per arruolare futuri cliccatori alle primarie. Il messaggio che è passato è che l’unica cosa che conterà per andare in Parlamento è la popolarità in rete. Ma siamo sicuri che sia il criterio giusto? E prima di pensare ai candidati, non dovremmo pensare a tutte le cose che ho elencato più sopra? (A parte che non ha senso pensare ai candidati prima di conoscere la legge elettorale…)

Ecco, queste sarebbero le osservazioni costruttive che avrei voluto sentir sollevare da Favia – non le paranoie su Casaleggio dittatore o sulla “democrazia interna” (slogan che vuol dire tutto e niente). Queste, e altre, sono le questioni che spero di vedere affrontate da Grillo e da Casaleggio, meglio se prima ascoltando e chiedendo alla rete suggerimenti e proposte, e solo dopo prendendo le decisioni. Entro sei mesi capiremo se il Movimento sarà riuscito a fare il salto di qualità: io confido di sì, perché è vitale per il futuro del Paese.

[tags]movimento 5 stelle, grillo, casaleggio, favia, organizzazione, democrazia, politica[/tags]

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lunedì 27 Agosto 2012, 15:35

Bratislava o Marte

L’Europa si divide in due: quelli che da piccoli guardavano Tom e Jerry e quelli che da piccoli guardavano Nu pogodi. Bratislava appartiene alla seconda categoria e, a differenza di Praga, è sufficientemente fuori dalle rotte turistiche e finanziarie principali da mostrare ancora evidenti, in modo affascinante, le contraddizioni del suo passato. Da una parte è una delle zone a maggior crescita economica dell’Europa orientale, con un centro storico asburgico, restaurato e pieno di locali e di vita, e con una infilata di palazzi di vetro più centro commerciale sulle rive del Danubio; dall’altra, basta aprire gli occhi e allargare un po’ il raggio per ritrovarsi d’improvviso in quegli angoli alieni tipici delle città ex comuniste.

Chi arriva, come noi, a piedi dalla stazione ferroviaria comincia salendo sul castello dal lato della terra, su una ripida salita che passa davanti al monumento di Raoul Wallenberg. Il castello è carino, in stile rinascimentale, ma non è molto grosso ed è abbastanza vuoto; fu bruciato nelle guerre di Napoleone e rimase lì in rovine fin che non nacque la Cecoslovacchia nel 1918.

Da allora cominciarono a pensare di ricostruirlo, ma fino al secondo dopoguerra non ci fu il modo. Ci pensarono i comunisti, dando l’incarico a un noto professore di architettura; peccato che il progetto si sia poi fermato dopo che egli fu arrestato per “pubblica diffamazione di una potenza amica” (chissà quale). Dagli anni ’60 in poi i lavori vanno avanti, ma a tutt’oggi il castello è spoglio e incompleto: ci si sale soprattutto per guardare dall’alto la città.

Alla fine della salita, entrati nelle mura, si spunta dal piazzale del castello e la vista appare improvvisa, inattesa e per un attimo meravigliosa: il bel Danubio verde scorre là sotto in primo piano. E’ solo alzando lo sguardo che progressivamente si rimane sempre più perplessi, come se si capisse solo allora che le cose non sono come dovrebbero essere. Avete presente il finale del Pianeta delle scimmie? Ecco, la rivelazione è simile ma opposta: pensavate di essere sulla Terra, e invece questa non è la Terra.

Difatti, dall’altra parte del fiume, oltre gli alberi del parco sulla riva, si notano alcuni palazzi di case popolari, dei parallelepipedi perfetti di cemento appena risegati dalle casette degli impianti sui tetti piatti. E poi, dietro di loro, ce ne sono altri uguali. E poi dietro ancora. E anche di fianco, su tutto il fronte della città. E così via, a perdita d’occhio, fino a svanire nella foschia dell’orizzonte. E’ come se avessero preso un casermone alto e largo, il peggio delle periferie urbane, e l’avessero ricopiato e incollato digitalmente nella vista, ruotandolo appena un po’ di qua e un po’ di là, dozzine di volte; digitalmente, perché nessuno in natura potrebbe ripetere così pervicacemente lo stesso identico enorme oggetto.

Per completare la vista, proprio davanti al tutto c’è un ufo di cemento, sospeso in aria sopra i tetti dei palazzi; un disco volante come quelli dei film anni ’50. In realtà è un ristorante panoramico per la nomenklatura del tempo che fu, attaccato in cima all’unico enorme pilone che sostiene il Ponte Nuovo, collegando la città umana dove siete voi con la città aliena dall’altra parte del fiume.

Il sobborgo di Petrzalka doveva essere il trionfo dell’uomo nuovo socialista; tutti dovevano vivere nelle stesse case (prefabbricate col cemento) e diventare un collettivo senza volto. Oggi gli abitanti cercano di dare un’anima a questi casermoni dipingendoli a colori vivaci, chi rosso, chi viola, chi arancio. Almeno, così li si distingue.

In generale, Bratislava sembra una città che sta lentamente tornando alla vita; i palazzi vengono a uno a uno restaurati e resi nuovi e lucenti come un pezzo di Germania, con tanto di Audi e Mercedes parcheggiate davanti. Il problema è che i palazzi ripuliti sono solo una parte, concentrati nelle strade principali del centro storico, e gli altri vanno dal degradato al pienamente fatiscente. Anche in pieno centro ci sono palazzi coi muri a pezzi, i vetri rotti, le pareti puntellate (c’erano anche a Torino, ma gli ultimi sono spariti vent’anni fa). Basta uscire un po’ dal centro perché il degrado si moltiplichi: i marciapiedi sono pieni di buche, le aiuole una savana, le fermate dell’autobus arrugginite e sfondate. Il Ponte Vecchio è sbarrato e oscillante, con un vecchio binario ferroviario il cui accesso è coperto dalle erbacce e protetto da reti sfondate che nessuno si preoccupa di tirare su; ed è comunque in uso pedonale. Oltre il ponte, c’è uno stadio in abbandono.

Le ferite saranno dure da risanare, in certi casi impossibili. Per esempio, dato che ai comunisti la religione non piace, il regime decise che il tracciato migliore per la tangenziale era proprio sul sagrato del Duomo. Per questo, la cattedrale oggi si affaccia su uno svincolo autostradale di cemento cadente, con le auto che sfrecciano a un metro dalla facciata.

Si percepisce che gli slovacchi non hanno nessuna voglia di restaurare il proprio patrimonio post-1918, e che forse sarebbero più contenti se potesse crollare e basta. Appena fuori dal centro c’è una meravigliosa chiesa Jugendstil di colore azzurro, tutta restaurata, ridipinta e luccicante. Di fronte c’è un tronfio palazzone di otto piani in stile aulico: è sporco, semiabbandonato, con i vetri rotti e le erbacce che crescono. Sotto gli immancabili fregi posti accanto all’ingresso principale qualcuno ha commentato con lo spray “Mega Death”.

Ma il punto più surreale è piazza della Libertà, un grande quadrato subito fuori dal centro circondato sui lati dagli edifici dei ministeri. La bruttezza degradabile e la monumentale ingestibilità dello stile architettonico dell’immediato dopoguerra (di cui a noi resta il Palazzo del Lavoro) qui si esprime al meglio. Al centro c’è un giardino che, nonostante il verde, dà subito l’impressione di un inospitale deserto di pietra, un tempo luogo dei fasti di qualche civiltà aliena e ora abbandonato per i secoli dei secoli. L’arredo urbano, tutto scrostato e arrugginito, sembra uscito dal Solaris di Tarkovskij; al centro c’è una gigantesca fontana a forma di fiore, bordata di travertino, in cui l’acqua sembra non scorrere più da tempo immemorabile. Come sempre, il cemento e la pietra sono in frantumi e nessuno ha voglia di sistemarli.

Oltre il quadrato della piazza, appare come una rivelazione l’ultimo enigma architettonico: la grande piramide rovesciata della Radio Slovacca. Penso che la sua forma totalmente innaturale volesse simboleggiare, oltre alla solita supremazia della scienza umana sulla natura, l’emissione delle onde che si allargano verso il cielo per raccontare al mondo i trionfi del comunismo cecoslovacco. In verità, ora la base è piena di graffiti e di erbacce, l’incuria è totale e l’unica percezione che può avere un essere umano davanti a un simile oggetto è “qui c’è qualcosa di profondamente sbagliato”.

Di fronte hanno costruito un grattacielo di vetro con la sede della Banca Nazionale Slovacca, con tanto di mostre sull’euro e monumenti alla moneta, probabilmente sperando di far passare inosservata la piramide grazie alla presenza a fianco di un edificio più grosso e moderno. Alla fine, però, nonostante gli slovacchi comprensibilmente facciano di tutto per occultarli e per ripresentarsi al mondo come la nazione asburgica che sono stati per mille anni, i residui comunisti di Bratislava sono un monito interessante: i segni di una cultura tragica rimasti nella pietra.

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venerdì 17 Agosto 2012, 19:32

A proposito di TV locali

D’estate, si sa, i giornali non sanno cosa scrivere e si dilettano a pompare quel poco che hanno in mano; se poi possono criticare il Movimento 5 Stelle, ancora meglio. Si spiega così la vicenda della settimana, ovvero l’accusa ai consiglieri regionali del Movimento, che hanno pagato le televisioni locali in cambio di spazi in cui parlare al pubblico.

Il primo motivo per cui ne parlo è che ci tengo a dire che io non ho mai pagato nessuna televisione per nessuna apparizione. Io non appaio molto spesso sulle TV locali torinesi, con l’eccezione di una sola: Torinow, ovvero una rete che mi invita più o meno una volta al mese, non mi ha mai chiesto una lira, non ha mai cercato di manipolare la mia partecipazione e mi permette di dire liberamente tutto ciò che penso, davanti a un giornalista che non è né sdraiato a nostro favore né determinato ad attaccarci, ma fa semplicemente il giornalista. A queste condizioni, credo che sia giusto partecipare; avendo ritrovato proprio uno spezzone di Torinow in cui qualche mese fa ragionavo di questo, ve lo linko lietamente (vedrò prossimamente di caricarne altri, così chiunque potrà valutare se il mio giudizio è corretto).

Credo invece che sia sbagliato entrare nel meccanismo perverso per cui la politica finanzia o compra le televisioni che in cambio forniscono informazione di parte; è il meccanismo inventato da Berlusconi su cui si basano le fortune di tutti i partiti di questi anni. Anche l’informazione fatta da noi, se paghiamo la TV per non essere incalzati o contraddetti, è di parte, e dunque l’argomento “pago per raggiungere più elettori” – parlando di trasmissioni e non di spot – non regge, a meno che il nostro approccio verso gli elettori non voglia essere quello di imbonirli.

L’obiettivo del Movimento, difatti, non è solo quello di sostituire i vecchi politici con gente nuova, ma è quello di scardinare il sistema; eliminare la disinformazione catodica è di questo progetto un elemento fondamentale, forse persino più importante che raccogliere voti e vincere le elezioni; per questo non dobbiamo alimentare nemmeno di striscio i modelli precedenti. Dopodiché, credo però che sia eccessivo gettare la croce addosso a Favia e a Bono: si prova, si sperimenta, si capisce che non funziona e si torna indietro, e finita lì; tra l’altro queste spese furono decise quando la riflessione sul rapporto tra Movimento e televisione era molto meno avanzata, e in Piemonte la scelta del gruppo regionale di seguire questa strada fu discussa e sostenuta a maggioranza dagli attivisti, per quanto non mancassero le critiche.

Sono invece un po’ preoccupato per come la vicenda si è evoluta a livello comunicativo. Grillo ha criticato pubblicamente la scelta dei consiglieri, peraltro facendo confusione tra il fondo stipendi (quello alimentato dal taglio degli stipendi dei consiglieri) e il fondo di funzionamento (altri soldi pubblici dati al gruppo per pagare l’ufficio, a partire dai portaborse); e ha annunciato l’intenzione di eliminare il fondo stipendi, cosa secondo me sbagliata perché con quel fondo sono state finanziate varie iniziative a vantaggio dei cittadini, dai ricorsi al TAR dei comitati ambientalisti fino alla distribuzione di pannolini lavabili, che mi sembrano preferibili al dare quei soldi indietro alla Regione. D’altra parte, i consiglieri regionali hanno difeso le proprie posizioni e scaricato le colpe sull’attacco mediatico dei giornali di regime (indubbio); da Favia avrei preferito sentire una indicazione chiara sul fatto che non lo farà più, invece che un “vedremo”.

Questa situazione deriva comunque da una questione irrisolta: a chi spetta stabilire se un determinato uso dei fondi a disposizione dei consiglieri, pur se assolutamente legale, è anche opportuno? A Grillo? Al consigliere? Al gruppo di attivisti del consigliere? A tutti i suoi elettori? E’ proprio su questa zona grigia che si creano divergenze tra Grillo e alcuni suoi consiglieri.

Personalmente credo che questo sia uno di quei pochi punti qualificanti su cui Grillo in qualità di garante ha l’ultima parola, e difatti immagino che direttive vincolanti sull’uso dei soldi verranno prossimamente aggiunte agli impegni di chi richiede la certificazione per candidarsi. D’altra parte, un modo più costruttivo di uscirne sarebbe quello di mettersi tutti attorno a un tavolo, Grillo da una parte e i consiglieri dall’altra, condividere le esperienze ed elaborare insieme delle linee guida che vadano bene per tutti; perché se sulle ospitate TV a pagamento non dovrebbero esserci dubbi, ci sono tante situazioni in cui il metro di valutazione non è uniforme e in cui magari un gruppo o un consigliere seguono una linea che poi si scopre non essere condivisa a livello nazionale.

Infine, da consigliere in carica, non posso evitare di fare una osservazione. Gira nel Movimento una corrente di pensiero per cui tutte le persone che vengono elette diventano improvvisamente dei potenziali criminali da tenere costantemente sott’occhio, a cui fare le pulci per qualsiasi cosa facciano e a cui imporre sempre nuove regole e nuovi vincoli per evitare che facciano non si sa bene cosa di male.

Naturalmente è giusto che chi ci ha votato e sostenuto, da Grillo al cittadino qualsiasi, eserciti una attività di controllo e chieda conto di ciò che facciamo, e che esprima tranquillamente le sue critiche; ma ricordatevi che siamo umani, che possiamo sbagliare anche noi o avere opinioni diverse, che possiamo decidere di organizzare l’attività in un modo diverso da quello che vorreste senza che questo voglia immediatamente dire che siamo diventati politicanti in carriera o abbiamo tradito lo spirito del Movimento. Sarei molto deluso se il Movimento naufragasse in un continuo battibecco pubblico, perché sprecheremmo l’occasione di cambiare l’Italia; per la quale serve innanzi tutto coesione, tolleranza e rispetto tra le persone più stimate nella nostra comunità.

[tags]movimento 5 stelle, grillo, favia, bono, televisione[/tags]

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lunedì 13 Agosto 2012, 12:26

Iren, la multiutility molto utile al PD

Molti torinesi non hanno mai ben capito che cosa sia cambiato negli ultimi anni nella gestione dell’energia torinese. In fondo, le bollette elettriche sono sempre più o meno le stesse; cambiano solo il nome e il logo in alto a sinistra. Una volta c’era scritto Enel o AEM, società che si dividevano la città; poi dal 2002 AEM Torino, che comprò la rete di Enel; poi dal 2006 Iride, quando AEM si fuse con l’AMGA di Genova; poi dal 2009 Iren, quando Iride si fuse con l’Enìa di Reggio Emilia, Parma e Piacenza. (E non è finita: adesso si parla di fondere Iren con la lombarda A2A.)

Cosa c’è dietro a questo turbinio di operazioni societarie? Il progetto viene etichettato come Multiutility del Nord: mettendo assieme tutte le vecchie società elettriche municipali, si crea una enorme azienda energetica che potrà effettuare risparmi di scala e competere efficacemente a livello europeo, evitando che anche in questo settore gli stranieri vengano qui a spadroneggiare.

La realtà, purtroppo, è ben diversa, se non altro perché il progetto, dal punto di vista industriale, è stato un misero fallimento: Iren si ritrova ora con quotazioni di Borsa in picchiata (dunque facilmente comprabile) avendo accumulato in pochi anni un debito di oltre tre miliardi di euro. Se considerate che Torino è il maggior socio e detiene in varie forme circa il 26% del capitale, vuol dire altri 800 milioni di euro di debiti in testa ai torinesi, da sommarsi a quelli già mostruosi del Comune; tutto questo senza alcun vantaggio percepibile per i clienti in termini di servizi e tariffe.

La verità è se mai che Iren è la cassaforte privata del PD del Nord; una società prevalentemente pubblica in teoria, guardando l’elenco dei soci, ma gestita come una SpA privata da manager e notabili allineati al partito. Per esempio, fino a pochi giorni fa il presidente di FSU – la scatola cinese che contiene le quote Iren di Torino e di Genova – era il notaio Angelo Chianale, verbalizzatore di riferimento di tutta la Torino bene insieme alla moglie, il notaio Francesca Cilluffo.

Lui ricopriva altre cariche di prestigio, come la presidenza della Fondazione che organizza MiTo, per conto dell’amministrazione torinese; lei è diventata deputato PD subentrando a Fassino quando si è dimesso per fare il sindaco, e il suo unico atto rimasto nelle cronache (oltre al prendere ogni mese anche lo stipendio da parlamentare) è un intervento in aula in cui sciacallava sull’attentato al povero Musy insinuando, ovviamente senza la minima prova, che fossero stati i No Tav (insinuazione subito spinta anche da La Stampa) o in alternativa i difensori dell’articolo 18. Peccato che l’Agenzia delle Entrate abbia appena scoperto che, sui propri milionari guadagni da notaio, i due fossero usi ad evadere le tasse facendo passare per rimborsi spese una parte dei propri compensi.

Il controllo su Iren è spartito tra le varie città, tutte storicamente rosse. Iren è difatti amministrata da un comitato di quattro dirigenti in rappresentanza dei quattro soci principali, ovvero Torino, Genova, Reggio Emilia e Parma: la crema del Nord democratico. Peccato che qualcosa si sia inceppato e che da qualche mese Parma (già prima non molto allineata e dunque titolare del dirigente meno potente) sia fuori controllo; bene, qual è la risposta democratica? Torino, Genova e Reggio Emilia si accordano per escludere Parma dal governo di Iren, affidandolo a tre persone invece di quattro, con la scusa di riorganizzare Iren in modo più efficiente.

I cittadini, in questo scenario, sono soltanto vacche da mungere, privati di ogni controllo e sottoposti a un monopolio di fatto sulle forniture energetiche. Di esso fa parte anche il teleriscaldamento, spinto e decantato in nome di presunte virtù ambientali ed economiche che abbiamo già smentito in passato, ma che di fatto serve a trasformare un mercato (quello in cui potete comprare il gasolio per la caldaia da chi vi pare) in un monopolio (visto che lasciare il teleriscaldamento dopo averlo installato è quasi impossibile), che Iren in futuro potrà manipolare più o meno a piacere.

Lo stesso discorso vale per i rifiuti: Fassino sta procedendo con la vendita di Amiat e TRM (rifiuti e inceneritore) e in Municipio si dà per certo che l’acquirente sarà Iren. Per capire cosa succederà, basta vedere cosa ha scoperto in poche settimane la nuova giunta a cinque stelle di Parma: è venuto fuori il piano industriale dell’inceneritore che Iren vuole realizzare a Parma, da cui si scopre che era stato stipulato un accordo per cui l’incenerimento dei rifiuti sarebbe stato pagato a Iren 168 euro a tonnellata, contro un prezzo di mercato di 90-100 euro, garantendo a Iren un margine tra il 15 e il 25 per cento annuo, ovvero, su vent’anni, utili per centinaia di milioni di euro ricavati gonfiando il prezzo del 70%. Capite che il dare in mano a Iren per vent’anni il nostro inceneritore, al di là di tutti i gravissimi problemi di inquinamento che esso comporta, è un modo per spremerci meglio e per garantire a chi controlla Iren vent’anni di lucro a nostre spese, anche se domani l’amministrazione di Torino dovesse essere diversa.

Nemmeno i rappresentanti dei cittadini possono immischiarsi in Iren: a una richiesta formale – nemmeno nostra: della maggioranza – che chiedeva di accedere all’elenco delle consulenze date da Iren, è stato risposto che i consiglieri comunali di Torino non hanno alcun diritto di accedere a tali informazioni. Dunque Iren è pubblica quando c’è da pagare il debito, ma è privata quando c’è da gestire senza scocciature e senza controlli l’immenso giro di soldi che essa genera, e che può venire aumentato a piacimento in caso di necessità, a spese degli utenti che pagano le bollette.

Iren è sempre pronta a garantire una mano al PD quando serve, che si tratti di aiutare Fassino a non fallire o di sponsorizzare la festa nazionale del PD in piazza Castello nel 2010; tanto, i soldi vengono trovati facendo debiti che resteranno sulle spalle dei soci, ossia noi. Quando il buco diventa troppo grande, in ossequio alla “finanza moderna” tanto cara al centrosinistra, si organizza una fusione con qualche azienda simile spacciandola per un grande passo avanti verso un luminoso futuro, in modo da gabbare qualche piccolo investitore di Borsa. Quando il sistema salterà, qualche privato – italiano o straniero – comprerà le nostre ex municipalizzate per un tozzo di pane, mentre noi cittadini dovremo pagare debiti all’infinito. Benvenuti al Nord.

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lunedì 6 Agosto 2012, 10:30

Acqua alta a Falchera

È tempo di vacanze e molti sognano di andare a Venezia. Ma perché? Anche se quasi nessuno lo sa, anche a Torino c’è una piccola Venezia: alla Falchera. Nell’area più vicina alla stazione Stura, infatti, garage, ascensori e cortili si trasformano in piscine estive, in molti casi con quasi un metro d’acqua. E lo fanno ogni estate. Da dieci anni.

A chi non farebbe piacere avere le fondamenta della casa invase dall’acqua per almeno tre mesi l’anno, con il rischio che a lungo andare marciscano e crolli tutto? Magari una casa comprata a prezzo di grandi sacrifici e per la quale ci si sta tuttora impiccando con il mutuo, nonché si pagano regolarmente IMU, TARSU e altre tasse?

Gli abitanti delle case si organizzano come possono, ad esempio dotandosi di grandi pompe. Ma è inutile, perché questa non è acqua fuoriuscita una tantum da qualche parte, ma è proprio la falda acquifera che sta sotto la pianura tra Torino e Lanzo, e che qui (ma anche al Villaretto e a Bertolla, proprio dove vogliono costruire decine di nuove palazzine, e dove hanno risolto il problema vietando alle nuove case di avere le cantine) è pochi metri sotto il terreno. E dunque, puoi pompare tutta l’acqua che vuoi, ma il livello non scende: c’è un intero pezzo delle Alpi a riempire di nuovo la vasca.

Quando le case sono state costruite, però, non era così; tanto è vero che tutte queste case sono regolarmente autorizzate dal Comune. La falda è risalita, dicono le istituzioni, perché non ci sono più le industrie che consumano l’acqua. Sicuramente è vero, tanto che anche altre città del Nord ex industriale, Milano in testa, hanno lo stesso problema.

E però, colpisce la coincidenza per cui il fenomeno è improvvisamente diventato pesante proprio tra il 2002 e il 2004, ovvero quando GTT ha costruito il nuovo sottopasso del 4, che parte dal fondo di corso Giulio Cesare, passa sotto la stazione Stura e riemerge a Falchera poco oltre queste case. Un’opera da decine di milioni di euro salutata come un grande regalo per Falchera, la fine del suo storico isolamento, con tagli di nastro e giubilei chiampariniani.

In realtà, gli abitanti e i loro periti sostengono che proprio quel sottopasso, costruito in maniera improvvida perpendicolarmente alla falda, ha creato una diga sotterranea che fa risalire l’acqua subito a monte, ovvero nelle case che vedete nel video. Ma le istituzioni negano: perché altrimenti il Comune potrebbe dover pagare decine di milioni di euro di danni ai cittadini. E dunque, è colpa delle piogge, della crisi industriale, del tempo che passa.

Da anni le istituzioni si rimpallano il problema senza risolverlo. Noi avevamo citato questa vicenda come esempio, nel discorso in piazza Castello, e quindi vogliamo mantenere le promesse; appena eletti, la scorsa estate, abbiamo fatto una interpellanza, a cui la giunta ha risposto che avrebbero provveduto insieme a Provincia e Regione a finanziare uno studio.

Ne abbiamo fatta un’altra in primavera, per chiedere come andava: la nuova risposta è stata che lo studio non si è fatto, naturalmente secondo il Comune per colpa della Regione, secondo la Regione per colpa del Comune. Sta di fatto che un altro anno è passato senza che si facesse niente; e colpiscono i ringraziamenti dell’assessore perché gli abitanti sono stati “civili e oggettivi” (si aspettavano torce e forconi?) e l’impegno in conclusione di discuterne quanto prima in Commissione Ambiente (sono passati tre mesi e ancora la riunione non è stata fissata).

A questo punto il Movimento ha deciso di finanziare, con i soldi tagliati dagli stipendi dei consiglieri regionali, delle analisi per verificare se quest’acqua oltretutto è anche inquinata, con conseguente emergenza sanitaria e obbligo di intervento rapido.

Sorpresi? Si sa che a Torino tutto va bene, non ci sono tagli, non ci sono problemi. Notizie come questa devono passare per forza a mezza voce, confinate al massimo alla pagina dei quartieri de La Stampa, se non in qualche caso eccezionale o quando ci scappa il morto, caso in cui sono concessi un paio di giorni di visibilità seguiti da grandi promesse della politica, che poi invariabilmente finiscono nel nulla.

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