Atterraggio
Succede in anticipo, già quando scendi dal treno per Stansted e ti avvii verso la zona del check-in dei voli per Bergamo, che Ryanair ha appropriatamente collocato proprio in fondo all’aeroporto, separata da quelle degli altri. Lì avviene già la selezione, e ti ritrovi di colpo in mezzo agli italiani.
E così, è dura lasciare Londra, e ritrovarsi d’improvviso in Italia, tra gruppi di scout e scolaresche in viaggio studio che non hanno imparato una parola d’inglese, ma che chiacchierano di canne, di furti reciproci, di compiti in classe copiati di straforo, e di svariati libri di Federico Moccia; e poi applaudono all’atterraggio, come chi non ha mai visto un aereo in vita sua, per poi alzarsi in massa quando l’aereo è ancora sulla pista, fregandosene dei divieti, e accendere in blocco i telefonini. Poi scendi e vai in bagno all’aeroporto di Bergamo, dove i cessi sono sporchi in modo indescrivibile, e c’è pure uno che caga senza chiudere la porta; e poi ti infili su un’autostrada piena di cantieri infiniti, e di vasi di geranio schiantati sulla corsia di sinistra.
Non sono affatto esterofilo, ma tocca purtroppo dire, avendole viste entrambe, che l’Italia di oggi assomiglia molto di più all’Argentina che all’Inghilterra. Temo che sia un po’ come quella sensazione di cui ti parla chi è venuto a studiare o a lavorare a Torino dalla campagna o da un paese del Sud, e ti dice che gli fa sempre piacere tornare, rivedere i posti e gli amici, ma non riuscirebbe più a viverci per troppo tempo; perché tutto sembra così piccolo, chiuso di mentalità , e provinciale, e anche marcio e strafottente, e limitante, e destinato comunque a rimanere così, con piena soddisfazione di chi ci vive, che si lamenta spesso ma poi ci sguazza, perché altrimenti se ne sarebbe già andato.