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venerdì 24 Agosto 2007, 20:37

Los Angeles (2)

(segue dalla prima puntata…)

Mulholland Drive è la strada che si snoda, in modo estremamente tortuoso, proprio sul crinale delle colline che separano Los Angeles dalla Los Angeles aggiuntiva che si è sviluppata sull’altro lato, che comprende posti come Van Nuys, Glendale e Burbank, oltre agli Universal Studios. E’ giustamente famosa non solo come posto per imboscarsi, ma anche perché la vista è magnifica, e la guida sarebbe divertente se non ci fosse di mezzo il cambio automatico. Il cinema l’ha sfruttata ampiamente per queste sue caratteristiche: del resto, sarebbe difficile ambientare un incidente stradale minimamente pittoresco in qualsiasi altro posto di Los Angeles, visto che il resto è costituito da stradoni larghi e dritti con un semaforo ogni duecento metri.

Lungo il percorso, si attraversano le più alte e remote delle villazze, perchè tutto il versante a sud è occupato dalle ville degli straricchi, e tappezzato di cartelli che invitano a non passare di lì, che sparano a vista (metaforicamente, si spera). Ci si può fermare ogni tanto a fare foto, schivando i cartelli che intimano di non mettersi lì. Insomma, un ambiente dove ti senti benvenuto… Però è davvero un bel giro.

Arrivati al passo Cuenahoga, occupato in forze dall’autostrada 101, potete persino, come ho fatto io, provare l’inseguimento alla scritta HOLLYWOOD. Già, perchè la famosa scritta sulla collina, nonostante tutte le immagini che avete visto, non solo è chiusa e guardata dai cani, ma è anche a parecchi chilometri dal mondo civilizzato (ve l’avevo detto che tutto è molto più lontano di quello che sembra…). Io sono riuscito ad arrivarci piuttosto vicino solo col mio fiuto per l’orientamento, per cui annoto le indicazioni: percorrendo il passo verso nord sul Cahuenga Boulevard, potete infilarvi nelle villette di Hollycrest come ho fatto io, anche se sparano a vista; oppure potete prendere il Barnham Boulevard. In entrambi i casi, dopo un po’ incrocerete sulla destra Hollywood Lake Drive; salendo di lì, si incrocia Wonder View Drive (nomen omen) e poi si piega a destra verso il lago Hollywood, che è in realtà un enorme bacino artificiale.

A questo punto siete veramente nella terra di nessuno, fuori dalle villette; ci sono solo il sole, il lago e qualche jogger solitario. Imboccate Montlake Drive lasciando il lago sulla destra, e dopo un po’ di curve vi apparirà la Scritta. Andando ancora avanti, entrerete in un’altra zona di villette per Tahoe Drive, fino alla sua fine; quello è uno dei punti più vicini. Proseguendo a destra, si sale e si finisce in Mulholland Highway, che è una strada strettissima: siete arrivati proprio in mezzo alla famosa lottizzazione per cui la Scritta fu creata. Le strade e le case sono quasi interamente di inizio secolo: ve le raccomando. Potete comunque scendere per la ripida Ledgewood Drive, che poi confluisce in Beachwood Drive, che sarebbe l’arteria principale di questo quartiere augusto, collinare ed esclusivissimo. Vi stupirà per quanto tempo dovrete guidare prima di sbucare sulla Franklin Avenue in un incrocio totalmente anonimo – mai direste che quella è la svolta per un quartiere tanto grande e ricco.

Ecco, questo è ciò che vale la pena veramente di fare, a Los Angeles. Ve lo dico perché, in compenso, Hollywood vera e propria è un pacco clamoroso: in pratica, si riduce a un solo isolato di Hollywood Boulevard, quello col centro commerciale, la fermata della metro (Hollywood/Highland) e il famoso cinema orientaleggiante, il Mann’s Chinese Theatre. Lì è dove mettono il tappeto rosso e fanno le riprese in televisione: anche quando sono passato io, c’era la prima di tal film Superbad – dagli autori di Quarant’anni vergine – con due sconosciuti in mezzo ai flash, e centinaia di persone in delirio. Ma in delirio perché?

Attorno a quello, il resto di Hollywood – gli isolati con le stelle sul marciapiede, che viste da vicino sono solo simpatiche decorazioni da marciapiede e anche un’idea un po’ cheap, adesso piazziamo i nomi dei compositori classici davanti al Regio e diventiamo la capitale della lirica? – sono edifici cadenti e pieni solo di negozi di chincaglieria per turisti. Basta girare l’angolo per ritrovarsi nel solito mare di casette, negozietti e fast-food col drive in.

Il centro non è tanto meglio: esso si divide in tre parti. Quella più meridionale, attorno alla settima strada, è piena di centri commerciali, alberghi storici e grattacieli di banche; non è male, ma è come la zona degli affari di qualsiasi altra città americana, cioè uno scimmiottare Manhattan. Bella la salita sulla collinetta di Bunker Hill, con il piccolo museo Wells Fargo, da cui si sbuca sul Museo d’Arte Contemporanea (pensavo che Isozaki fosse sopravvalutato, ma dopo aver visto questo suo edificio – indistinguibile dai palazzi dove abito – mi chiedo se sia veramente un architetto famoso) e sulla nuovissima Walt Disney Concert Hall, del cui andamento a nastri metallici certamente avete già visto milioni di foto.

Quella subito più a nord, invece, è la zona dei palazzi pubblici: il peggio del peggio. E’ come Bucarest, moltiplicata dieci volte in dimensione. Squallida uguale, tronfia uguale, sporca uguale, e piena di barboni uguale (anche se i barboni a Los Angeles sono ovunque, persino sull’elegante passeggiata a mare di Santa Monica). Ci sono persino i fregi a mosaico in stile Alexanderplatz.

A margine, c’è Little Tokyo. Che è una fregatura: sono due isolati, di cui uno nel parcheggio di un hotel. Vero, ci sono negozi giapponesi veri, con scritte giapponesi e persino le guide telefoniche in giapponese. Ma il cosiddetto “villaggio giapponese” è un fintume commerciale per turisti. Stessa cosa Chinatown: in realtà non c’è, perchè la rasero al suolo negli anni ’30 per farci la stazione. Poi si son resi conto che non era gentile e che ai turisti piacciono le Chinatown, e allora hanno costruito una impalcatura di tubi su una strada a mo’ di portale, e hanno detto “questa è la nostra Chinatown”.

L’unica parte del centro che merita veramente è quella messicana, di cui vi parlerò domani!

(continua…)

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Un commento a “Los Angeles (2)”

  1. .mau.:

    a ciascuno il suo. Io andai a Blue Jay Way.

 
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