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Archivio per il giorno 28 Luglio 2010


mercoledì 28 Luglio 2010, 14:28

Come farsi voler bene

La lezione di stamattina verteva sui modi di fare affari in Cina, descrivendoci l’importanza di questo Paese come mercato per le merci italiane, specialmente di lusso: anche nell’anno della crisi mondiale le esportazioni italiane, crollate in tutto il mondo, qui sono salite del 30%. Ci hanno ribadito che loro stessi vivono il loro grande attivo commerciale come un problema, per cui vorrebbero importare di più e far crescere i consumi, passando da fabbrica di prodotti senza nome di bassa qualità a competitor diretto dell’Occidente sull’innovazione, sulla tecnologia e persino sui brand.

E poi, ci hanno fatto vedere come non entrare sul mercato cinese: vincitrice del primo premio per il peggior marketing in Cina è stato uno spot della Nike del 2004 con protagonista LeBron James (per chi non lo conoscesse, è un nero americano che gioca a basket) che in un minuto riusciva a stendere un vecchietto cinese a pallonate, sconfiggere due dragoni (in Cina animale portafortuna nonché sacro simbolo nazionale), semidistruggere una pagoda e infine trionfare su un avversario cinese, con i grattacieli di Shanghai e le torri tradizionali sullo sfondo. Come a dire: arriviamo noi americani, manchiamo di rispetto a tutti i vostri simboli e spacchiamo tutto; veramente un messaggio ben concepito per essere accolti favorevolmente (infatti lo spot fu vietato sull’onda della furia popolare).

Fuori categoria, comunque, si classifica una pubblicità di un’auto Toyota dove la marca giapponese presenta il proprio modello che corre su un ponte cinese decorato da due classici leoni di pietra con le zampe alzate in segno di resa. A nessun cinese può sfuggire che sul Ponte Marco Polo di Pechino, decorato da centinaia di leoni identici a quelli della pubblicità, nel 1937 un incidente tra soldati giapponesi e cinesi divenne il pretesto per l’invasione e sottomissione giapponese della Cina; e probabilmente non sfuggiva neanche al pubblicitario giapponese che ha ideato il messaggio. Ah, l’amicizia tra vicini!

E’ anche vero che l’italiano nell’approccio alla Cina non è meglio, anzi si distingue per la difficoltà nel relazionarsi con un minimo di buone maniere. Oggi l’università locale ci ha organizzato una visita in un piccolo villaggio rurale alla periferia di Shanghai, nascosto tra strade e superstrade ma ancora dedito all’agricoltura. Si tratta essenzialmente di piccoli orti di frutta e verdura – nessuna coltura intensiva e tutto fatto a mano – circondati da qualche grappolo di case; da una parte c’era uno stradone nuovissimo con una serie di villette a due piani che sembravano venire dalla periferia americana e non vi avrebbero affatto sfigurato, mentre dall’altra sopravviveva il villaggetto di case un po’ più vecchie, ma non molto diverse – a parte lo stile decorativo un po’ tronfio, con tanto di colonne corinzie all’ingresso – dal genere di villette che si trovano nei paesi liguri o nelle campagne del centro-sud, con tanto di vicoletti percorsi da motorini e fazzoletti di terreno con gli alberi di pesche o le viti.

In una casa di questo villaggio ci hanno invitati a fare cena, con tutte le vecchiette a guardarci nel cortile – e i vecchi qui sono veramente grinzosi e sdentati, consumati da decenni di lavoro manuale nei campi. Ci hanno fatti entrare e ci hanno sistemati un po’ in salotto e un po’ in cucina, e ci hanno dato un piatto di riso con maiale e verdure e una zuppa con dentro uovo (frittata) e pomodoro, in buona parte roba coltivata da loro.

I piatti erano decisamente buoni, ma anche non lo fossero stati avremmo dovuto onorare l’ospitalità; e invece alcuni degli studenti (non tutti per fortuna) hanno cominciato a lamentarsi che non volevano il riso, che chissà dove l’avevano cucinato, che la zuppa era poco salata, troppo salata, mezza salata, troppo oliata, insomma era una zuppa e stando lì rischiavano di fare tardi per andare in centro in tempo per due spaghetti alla carbonara al ristorante italiano e poi il Mint, che sarebbe la discoteca più di moda della Cina orientale. Alla fine, molti piatti sono stati lasciati lì intonsi o quasi.

Da bravi italiani abbiamo un po’ recuperato con la simpatia, facendo i piacioni con le vecchiette (in qualche caso sfiorando un po’ la sindrome specchietto & perline, cioè facendo loro la foto e poi facendo vedere che schiacciando un pulsante compariva la loro faccia). Alla fine credo che l’evento sia andato bene, anche se non lo sapremo mai perché comunque un ospite cinese non ti verrebbe certo a dire in faccia che ti sei comportato da maleducato; mi ha stupito comunque l’assoluta incapacità di comprendere la differenza di comportamento che deve esserci tra andare al ristorante ed essere ospiti di qualcuno, anche (anzi a maggior ragione) di un contadino cinese per cui la tua visita è un evento importante.

Certo che alla fine questa manciata di ventenni italiani, quasi tutti figli di buona famiglia del Varesotto, seduti lì con le loro magliette firmate e i loro iPhone sui gradini di pietra in un cortile di cemento cinese (lamentandosi che per terra c’era la polvere e i pantaloni si sporcavano), ci hanno fatto tenerezza: non sono per niente cattivi, è che oggi i giovani in Italia vengono generalmente su così. Nel gruppo dei docenti ci dicevamo che magari tra quarant’anni qualcuno di loro si troverà così, seduto nel cortile di una casetta padana e senza denti, a vedere i ricchi turisti cinesi che passano e lo indicano col dito. Non glielo auguro, ma non è affatto improbabile.

[tags]viaggi, cina, shanghai, cultura, diversità culturale, spot, nike, toyota, ospitalità[/tags]

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