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giovedì 13 Gennaio 2011, 20:47

Destra e sinistra ai tempi della rete

Oggi pomeriggio ho scritto la posizione del Movimento 5 Stelle torinese sull’accordo di Mirafiori, e l’ho pubblicata. Uno dei primi commenti è stato: “non siete di sinistra, di più”. E io sono rimasto perplesso: perché?

Destra e sinistra sono termini che ormai vogliono dire poco; le forze politiche attuali (anche quelle “di sinistra”) sono nei fatti allineate al sistema e ne traggono beneficio e rendita di posizione, e a quel punto il modo in cui partecipano al teatrino diventa francamente poco rilevante: alleandosi al primo o al secondo turno, alleandosi con entusiasmo o dopo parole di fuoco, alleandosi su tutto o solo sulle spartizioni interessate, ma sempre alleandosi col PD±L di turno e permettendo ad esso di restare al potere, in cambio di briciole del potere stesso.

Se vogliamo operare una distinzione, dobbiamo dunque operarne una teorica: tra forze politiche che pensassero al bene comune, ci si potrebbe dividere tra quelli che pensano che il bene comune si ottenga lasciando il più possibile liberi di fare i singoli cittadini, e quelli che pensano che il bene comune si ottenga con un grandioso schema pianificato in cui lo Stato è al centro di tutto. Questa, nella lontana galassia in cui i politici sono onesti e disinteressati, sarebbe la differenza tra la destra e la sinistra.

In questo schema, un internettaro come me non può che stare dalla parte della libertà; Internet è il meraviglioso prodotto della libera e incontrollata iniziativa individuale di tantissime persone, senza alcuna pianificazione o alcun controllo centralizzato, e con regole che (almeno nella sua fase costitutiva) si evolvevano davvero dal basso.

E allora com’è che su Mirafiori parlo di tassare le stock option all’80% o mettere dazi alle importazioni? Beh, vedete, Internet è anche il meraviglioso prodotto della libera condivisione, ovvero di tante persone che hanno usato la propria libertà per farsi tra loro del bene invece che del male, capendo che così si sarebbero ottenuti vantaggi superiori per tutti. La competizione a somma zero, quella in cui ognuno costruisce per sé solo sottraendo agli altri, non sta nello spirito della rete, né funziona.

Insomma, condivisione e competizione non sono – come ci hanno fatto credere – due concetti tra loro inconciliabili, ma sono due facce della stessa medaglia. La competizione promuove l’innovazione e l’ingegno, ma non potrebbe esistere se non partisse da una base condivisa di sapere e di opportunità. Compito della politica è mantenere l’equilibrio tra le due facce della medaglia, lasciando libere le persone di sviluppare al meglio le proprie attitudini e le proprie potenzialità, ma garantendo la solidarietà necessaria perché possano esistere diritti, sicurezze e opportunità per tutti, senza le quali non c’è civiltà ma solo la giungla, e a lungo termine non c’è benessere per nessuno.

E’ per questo che è così difficile interpretare secondo i vecchi schemi quello che diciamo; e intanto, io mi colloco fieramente a destristra. Ma anche un po’ a sinestra.

[tags]politica, destra, sinistra, rete, internet, condivisione, competizione, liberismo, comunismo, mirafiori[/tags]

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21 commenti a “Destra e sinistra ai tempi della rete”

  1. ff:

    Eccomi! mi sento tirato in causa e arrivo subito ;) Su una cosa hai ragione (e solo su questa): la divisione destra sinistra su un solo asse non ha (più) senso. Ho messo il più tra parentesi perché non lo ho mai avuto, questa monodimensionalità era dovuta ad semplificazione che aveva contrapposto un destra illiberale contro una sinistra illiberale, sintentizzati in un centro illiberale. Anche voi essenzialmente siete illiberali. Ad esempio non vi passa nemmeno per la testa che a qualcuno questo “ricatto” di mirafiori possa non sembrare tale e avete già dato un giudizio a priori come tutti i partiti totalitari del passato. Da questo punto di vista secondo il classico quadrato che classifica le opinioni politiche siete nella metà dirigista, autoritaria: la gente è stupida decidiamo noi per loro. Passiamo poi all’altra dimensione, che in genere è correlata al rispetto della proprietà privata: con i ragionamenti bieco-invidiosi letti riguardo la ricchezza e come punirla con le tasse lette in tuoi vari post di questi giorni, ho rivisto la peggiore sinistra. L’unico problema è che non posso neppure dire fate quello che volete, basta che mi lasciate in pace, perché l’obiettivo è proprio condizionarmi ogni aspetto della vita.

  2. paolo:

    letto il testo linkato, estrapolo tra tutto -> questo:
    “[..]che piacciano a Bruxelles o no”

    eh?
    se non piacciono che facciamo? usciamo [anche]dall’ UE?

    (Ammetto, domanda fuori tema qui)

  3. Mike:

    Le proposte che hai fatto a me sembrano totalmente campate per aria, mi spiace dirlo. La tassazione delle stock option può essere aggirata che ne so, legando le opzoni a titoli esteri. I dazi ovviamente sono una tassazione mascherata sui consumatori ed inoltre serve a poco: noi da Torino abbiamo una prospettiva molto diversa rispetto a Detroit, ma credo che il mercato di riferimento non sia qullo di Fiat, ma quello di Chrysler.

    Per gli aiuti che ha avuto Fiat negli anni, se non si è pensato prima di mettere delle clausole compensative prima e` difficile tentare di metterle dopo. Per gli aiuti occulti ovviamente la cosa è impossibile.

    Sfortunatamente, poi i sindacati tirano fuori aspetti secondari come i dieci minuti in piu` od in meno o la pausa pranzo e nascondono accuratamente quali siano le vere motivazioni di marchionne nel minacciare di andarsene.
    A mio parere la Chrysler e gl Elkann sono poco abiutuati a trattare con i capetti che per qualunque cosa richiedono in cambio una contropartita. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il comportamento del governo quando ha annunciato la chiusura di Termini Imerese: ha minacciato di non fare nuovi ecoincentivi, e la Fiat li ha mandati a stendere (altra dimostrazione che i dazi servirebbero a poco).

    La mia impressione è quindi che ci sia uno scontro di potere di una parte di sindacato contro la Fiat ma in maniera srumewntare per andare contri una altra parte del sindacato, sulla pelle dei lavoratori.

    Del resto la Fiom non mi sembra abbia protestato per i turni e le condizioni di lavoro alla Thyssen. O che si sia occupato della Motorola che se ne è andata via dopo avere preso dei finanziamenti per venire a Torino, tanto per parlare di multinazionali che se ne vanno, o del rischio che la Indesit se ne vada dal Piemonte…

  4. MarcoF:

    @ff: il rispetto della proprietà privata è sacrosanto; bisogna solo capire quanto lo si può applicare a realtà come gli stabilimenti FIAT in Italia (all’estero non saprei), che per costruirli ed avviarli ha ricevuto palate di miliardi (dallo stato, cioè da noi) ed ogni sorta di agevolazione (cosa che non è criticabile in se, ma va tenuta nella giusta considerazione).

    Io sostanzialmente spero che passi l’accordo e che dopo pochi giorni ci siano iniziative di politica economica che dicano a tutte le case automobilistiche del mondo che, se vengono ad aprire stabilimenti produttivi in Italia avranno applicate le condizioni che attualmente sta proponendo Fiat ai suoi operai, oltre al fatto che abbiano le agevolazioni di ogni tipo che Fiat ha avuto in passato o che sta avendo ora in Serbia piuttosto che in Brasile (dove tra l’altro stanno costruendo un nuovo stabilimento, notizia non molto pubblicizzata http://www.alvolante.it/news/fiat_stabilimento_brasile-377061044 ) così vediamo se finalmente non gli viene un po’ di pepe al culo e non iniziano a fare seriamente modelli competitivi.

    Altra cosa: ieri parlavo con una persona che lavora tanto nell’indotto auto in Italia e ultimamente anche molto all’estero. Mi hanno colpito una sua affermazione (“uno dei problemi più grandi in Fiat, anche adesso che c’è Marchionne, è la corruzione che si presenta quando si ha a che fare con i loro buyer ai vari livelli”) ed una sua considerazione: in questi ultimi due-tre anni in cui l’alta dirigenza FIAT ha solo parlato altre case hanno sfornato diversi nuovi modelli (in particolare il gruppo Volkswagen).

    Il gruppo Fiat ha il problema di avere una gamma prodotto obsoleta e di qualità dubbia oltre al fatto di arrivare sempre in ritardo sulle mode/abitudini di acquisto: vedi station-wagon, monovolume, SUV ecc.

  5. MarcoF:

    A proposito di stock option, un articolo interessante di Massimo Mucchetti:

    http://archiviostorico.corriere.it/2011/gennaio/09/Marchionne_stipendio_del_dipendente_Fiat_co_9_110109032.shtml

  6. Alberto:

    Quello che non mi è chiaro è come concili il tuo amore per la libertà con il fatto di definire vergognoso il fatto che Marchionne dica: “Se non state alle mie condizioni trasferisco le produzioni all’esteroâ€: Marchionne è un dirigente d’azienda che esercita la propria libertà imprenditoriale che gli consente di decidere, fatto salvo il rispetto delle leggi vigenti, di trasferire la produzione laddove ritenga, a suo soggettivo giudizio, che le condizioni siano le più propizie. Lo hanno fatto molti altri nel passato, non si capisce perché FIAT desti scandalo solo per le diverse dimensioni.
    Allo stesso modo criticare la retribuzione di Marchionne è come criticare quella di Ibrahimovic, se la FIAT ritiene che quella retribuzione le consenta di avere il meglio disponibile sul mercato in termine di Amministratore Delegato, così come il Milan ritiene che Ibra gli possa far vincere il Campionato, è espressione di libertà d’azienda dare a Marchionne quei soldi. Tra l’altro le stock option dal 2008 non hanno più un regime di tassazione agevolato quindi vengono tassate come reddito da lavoro dipendente (http://www.eurogroup.biz/web/canali-tematici/lavoro-previdenza/approfondimenti/ABOLIZIONE-DEL-REGIME-FISCALE-DELLE-STOCK-OPTION-PARTE-II_870_3.jsp).
    Vale a poco anche piangere sul latte versato a FIAT: i governi passati, così come questo, hanno omaggiato FIAT di finanziamenti e incentivi a gogò? Glieli hanno regalati senza chiedere in cambio un impegno ufficiale e duraturo in termini occupazionali in Italia, alla luce del quale oggi potrebbero dire: “Eh no, Marchionne, non te ne vai proprio di qui!� Colpa di quei governi e di chi li ha votati, cioè noi elettori, non certo di FIAT e Marchionne che hanno incassato ben contenti.
    Se si sposa un sistema libero nel quale l’azienda può prendere decisioni avendo come unico vincolo il rispetto della legge, non ci si può poi lamentare del fatto che quelle scelte non ci piacciano. Altro discorso è quello di preferire un modello di condivisione, nel quale ad esempio Marchionne definisca con i sindacati il piano industriale tenendo conto degli interessi dell’azienda e dei suoi lavoratori, anziché presentare ai sindacati il conto chiedendo solo di apporre la firma. Non è fantascienza, in molte aziende tedesche è già così, ma non mi risulta che nemmeno in Germania ci sia una legge che lo impone e va capito se il sindacato italiano sarebbe abbastanza maturo e preparato per sedersi nel CdA di una grande azienda.
    Altra cosa è poi chiedersi se la politica ha un piano di paese da confrontare con il piano industriale di un’azienda come FIAT e sulla base del quale trattare con Marchionne o con altre aziende eventuali incentivi o condizioni favorevoli, oppure chiedersi se la politica ha la forza per dire che ad esempio un monte di 120 ore di straordinari obbligatorio non ha senso se non come furbata elusiva.

  7. Gian:

    Gentile V.B. il tuo pensiero e’ condivisibile ma purtroppo (per noi poveri stupidi) idealizzato .

    L’idealismo non ha dato grandi frutti nella storia …e’ invece premiante il moderatismo e il realismo ( ma di quale realta’ ?).

    stock option ,globalizzazione ,trend di borsa ci vengono proposti come parole indelebili portate sulla terra da chissa’ quale alieno .

    E noi ,”poveri stupidi” , li abbiamo fatti nostri ,forse invidiando ,nelle stanze chiuse a chiave del nostro “conscio” quelli che “hanno studiato” e che ne parlano sul media.

    bene …io voglio dirti che la vita e’ la cosa piu’ importante che esista su nostra Madre Terra .

    Un operaio di massa e’ uno “SCHIAVO” che passa la sua giornata in atti ripetitivi ,senza creativita’ ,senza passione verso i gesti innaturali a cui e’ obbligato a sottostare .

    cosi’ e’ la macchina a diventare il suo padrone …e’ la macchina che impone i tempi (proprio come il semaforo per strada) .

    La ribellione porta all’assenteismo ,al cercare in tutti i modi di trovare una soluzione per fottere il sistema .

    Ma come tu ben saprai siamo stati tutti ben educati a criticare chi “a la nen voja ed traje ! ”

    in fondo ‘sti napuli a sun tuti di fagnan !

    Quante volte hai sentito queste parole ?

    Ma come ho gia’ scritto in altre occasioni il problema sta forse in quel “travaje” …ovvero sull’interpretazione che attribuiamo a questa parola .

    Penso che una persona castrata della volonta’ di intendere sia il veleno di una societa’ liberale .

    se devono esistere gli operai di massa e’ giusto che vengano considerati civilmente e non impoveriti dei loro diritti (per qualche euro in piu’ pero’) .

    Bada che non lo dico per loro : lo dico per me !

    Quando ,adolescente, il tizio al bar mi disse : quando sono entrato facevo 10 pezzi al giorno ma quando sono andato in pensione ne facevo 400 …mi fece riflettere .

    Quei 400 pezzi erano il risultato della schiavitu’ …dell’essere diventato quel nullo che impoverisce giorno dopo giorno la nostra civilta’ .

    Dovremmo incominciare a riflettere sul perche’ abbiamo una classe dirigente di questo livello …in fondo stanno li perche’ li abbiamo messi noi .

    ma questo noi “poveri stupidi” non lo pensiamo piu’ …siamo tutti presi dai regali che gli alieni ci hanno fatto .

    Si deve costruire una societa’ post petrolifera …chissa’ quanti progetti sommersi ci sono in giro e quanti giovani creativi ci sono (mi viene in mente Bono alla Ecomotive solution ) .

    E’ tempo di imporre il cambiamento …se il popolo non ha piu’ occhi per vedere ,almeno noi dovremmo essere coesi (invece di andare dietro ad una minestra riscaldata ) .

    Almeno tu V.B. stai pensando ad un cambiamento .

    e penso che questo sia nobile .

    Gian

  8. ff:

    vb ti rendi conto di che hai combinato? L’hai sparata talmente grossa che per la prima volta sono d’accordo al 100% con Alberto…

  9. vb:

    Rispondo velocemente che sono di corsa…

    Marchionne fa il suo lavoro, che è fare l’interesse dei suoi azionisti; non è lì la vergogna. La vergogna è che non abbia nello Stato italiano e nei sindacati una controparte che sia in grado di fare veramente gli interessi dei lavoratori e del Paese (che tendono a coincidere ma non sono la stessa cosa).

    Le proposte che io ho fatto sono volutamente provocatorie e voi mi avete risposto con la “vulgata standard”: non si possono mettere i dazi perché li vieta una autorità superiore (Bruxelles), e senza Bruxelles saremmo perduti; non si possono tassare le stock option perché esistono le fiduciarie e i trighi fiscali per aggirare la legge. E’ proprio questo che contesto: questa dichiarazione di impotenza, questo dire che siccome il più forte è troppo forte allora bisogna rinunciare a perseguire qualsiasi opera di equilibrio sociale.

    E invece io contesto alle basi il senso di tutta l’organizzazione geopolitica planetaria; e poiché non sono pazzo so che non si può cambiare in un minuto, però qualcosa bisogna cominciare a fare. Se la globalizzazione porta alla schiavitù e alla morte per fame di una parte consistente degli italiani, davvero non possiamo fare altro che accettarla e basta? Non è immaginabile una economia un po’ più chiusa e protetta, proprio perché abbiamo verificato che l’economia non protetta magari ti fa anche avere i cellulari cinesi a dieci euro, ma provoca danni sociali ingestibili? Poi guarda, io dalla globalizzazione personalmente non ho che da guadagnare, faccio parte di una minoranza qualificata e benestante. Ma gli altri?

    Dopodiché, ovviamente, ci sono anche questioni morali: per esempio, Marchionne e Ibrahimovic saranno sicuramente dei campioni nel proprio mestiere, e io sono assolutamente a favore della meritocrazia e contrario a quel grigio concetto di uguaglianza italica che porta a livellare tutti verso il basso e a premiare fagnani e incapaci; ma davvero la meritocrazia giustifica l’arricchimento sfrenato, il guadagnare migliaia di volte più degli altri? Cento volte non basterebbe? Perché la progressività fiscale non può essere tale da dire che una volta che guadagni, che so, un paio di milioni di euro l’anno, il resto è un tuo contributo (meritorio e di cui non ti ringrazieremo mai abbastanza) allo sviluppo di tutta la società, peraltro senza la quale tu da solo non potresti fare nulla?

  10. vb:

    vb, non cercare di spiegare che cadi sempre di più nel ridicolo (per l’ingenuità da suscitare quasi tenerezza, cosa preoccupante per uno che vorrebbe fare il sindaco): con una roba del genere secondo te ci sarebbe sarebbe ancora qualcuno di quelli che resta in italia? E se ci fosse anche qualcuno che si accontenta, secondo te lavorerebbe ancora un giorno di più una volta raggiunti i due milioni?

  11. ff:

    Sorry, il commento sopra è mio non di vb: ulteriore dimostrazione che devo sempre fidarmi di meno del mio cervello.

  12. vb:

    Fabio, guarda che Marchionne è già residente all’estero… però le stock option le vende sul mercato di Milano, e allora io Stato italiano mi riterrei in diritto di tassarle per bene a casa mia, così come, altro esempio, penso che sia uno scandalo che la Vodafone possa avere decine di milioni di clienti in Italia ma pagare le tasse in Olanda: va bene scegliersi il regime fiscale migliore, ma tu credi davvero che la lotta tra poveri tra gli Stati europei per accaparrarsi le sedi legali delle multinazionali, basata sulla gara a chi svende di più, abbia un senso? Io troverei più sensato che Vodafone pagasse le tasse sui clienti italiani allo stato italiano e quelle sui clienti olandesi allo stato olandese. Non mi sembra né illiberale né “anti-mercato”, mi sembra solo giusto!

    Quanto alle motivazioni: non è vero che le persone in generale sono motivate solo dal denaro e comunque, per una persona che guadagna un paio di milioni di euro l’anno, il denaro diventa un incentivo debole; l’incentivo più forte per le persone è ciò di cui hanno più carenza, che può anche essere riconoscimento sociale o tempo libero. E poi non sono convinto che Marchionne vada protetto in quanto crea ricchezza per tutti: per ora mi sembra che Marchionne crei ricchezza per sé e per i suoi azionisti succhiando ricchezza ai suoi lavoratori e ai contribuenti italiani, nel perfetto stile dello squalo finanziario che è l’opposto dell’industriale, e allora mi chiedo davvero se è meglio perderlo o trovarlo.

    Dopodiché non sono scemo e so anche che certe misure non possono essere imposte unilateralmente da un singolo Stato (o se lo sono hanno potenziali effetti negativi su sviluppo, innovazione, capacità di attirare capitale e talento, che vanno valutate per bene) ma io sto anche parlando di uno scenario futuro e ideale a cui tendere: una alternativa alla schiavitù di buona parte della società, che ci prospetta l’evoluzione dell’attuale sistema socioeconomico.

  13. italo:

    Vittorio, ti leggo spesso e volentieri; tuttavia la distinzioni che hai fatto in premessa tra destra e sinistra è insostenibile, soprattutto nella città di Bobbio.

  14. Alberto:

    vb,
    non so bene se è la vulgata standard ma, per quanto riguarda il punto sui dazi, la mia risposta non è: “non si possono mettere i dazi perché li vieta una autorità superiore” che è semmai un effetto, ma perché esiste un processo storico che va verso la progressiva cancellazione dei confini nazionali e questo non a a causa del grande disegno delle multinazionali (la cui formazione è di nuovo un effetto non la causa) ma perché certi fattori sociali (in particolare quelli che ruotano intorno alle comunicazioni) hanno subito delle pesanti trasformazioni negli ultimi 50 anni legate principalmente a scoperte tecnologiche.
    L’Unione Europea, o alternativamente il WTO, vigila semplicemente che questo processo si sviluppi senza che qualcuno “tenga il piede in due staffe” ovvero che cerchi, da un lato di usufruire dei benefici in termini di costi sulle merci che importa e non produce, e dall’altro di non pagarne il costo in termini di necessità di competere sui mercati in regime di concorrenza. Chiedere l’introduzione di dazi significa chiamarsi fuori da questo processo, che è una scelta azzardata ma praticabile. Tuttavia ciò significa uscire dall’Unione Europea e dal WTO e creare una microeconomia tutta da inventarci spezzando un rapporto di dipendenza con il resto del mondo globalizzato. Siamo sicuri che è ciò vogliamo per l’Italia?

  15. MarcoF:

    @Alberto: ci sono, in effetti, processi storici che portano ad una sostanziale cancellazione o per lo meno attenuazione dei confini nazionali e dei loro effetti sugli scambi di merci, capitali ed in alcuni casi del lavoro. Anche io penso che chiedere l’introduzione di dazi sia una scelta, oltre che azzardata e difficilmente praticabile, sostanzialmente sbagliata.
    Uno dei problemi però irrisolti di questi primi 10 anni del nuovo millennio rimane l’ingresso della Cina nel WTO l’11 dicembre 2001 (un altro 11 nel 2001 da ricordare) che non ha portato conseguentemente a quello che ci si aspettava accadesse insieme a questa logica operazione: avere come contropartita la libera fluttuazione della loro moneta.

    Questa situazione è stata sicuramente aggravata dalla tendenza degli Stati Uniti (settore pubblico ma soprattutto privato) ad avere un tenore di vita ben al di sopra delle loro possibilità: tendenza in parte innata in parte abilmente indotta dallo strapotere delle grandi corporations e dal settore pubblico in generale.
    Questo sembra essere uno di quei casi in cui il WTO non ha vigilato molto affinchè qualcuno non tenesse come dici tu “i piedi in due staffe”. Ora, a distanza di 10 anni, con gli squilibri che si sono accumulati, rimediare a questa situazione diventa difficile e problematico poichè, per rimediare in tempi brevi alla evidente sottovalutazione dello yuan, sono più i danni che si rischiano di fare rispetto agli aggiustamenti che si potrebbero ottenere.

    La strada è lunga e stretta: ma magari c’è un proverbio cinese che ci può chiarire le idee :-)

  16. MarcoF:

    Errata
    “…delle grandi corporations e dal settore pubblico in generale…” – mio errore, intendevo dire “…e del settore privato in generale…”

  17. vb:

    @Italo: Sicuramente esistono altri modi di classificare “destra” e “sinistra” (peraltro una discussione che trovo ormai poco interessante), a me interessava quello relativo alle politiche economiche, piuttosto che, per esempio, quello relativo alle classi sociali rappresentate. Comunque sono tutt’orecchi.

    @Alberto: Il processo di progressiva cancellazione dei confini esiste e secondo me è pure positivo, almeno in termini di sviluppo futuro e pacifico del pianeta e anche di possibilità di governare fenomeni globali (in questo senso, come dimostra la questione del riscaldamento globale, la globalizzazione è troppo lenta!). Ciò nonostante non capisco bene qual è l’alternativa proposta: non mettiamo i dazi perché non si può e perché non servono, va bene, ma allora come possiamo non morire di fame? O consideri giusto accettare senza opporsi una disoccupazione crescente e la riduzione progressiva del livello di vita e delle sicurezze sociali della gran parte della popolazione?

    Si è sempre detto che bisognava chiudere le fabbriche e spostarci tutti sui lavori qualificati, avanzati, innovativi; eppure mi sembra che questa strada non funzioni, primo perché l’operaio trentenne di Mirafiori e dell’indotto (sì, ne esistono) non può certo riconvertirsi in ingegnere, né si può pensare che l’intera popolazione abbia le capacità e l’attitudine per fare l’imprenditore o l’inventore. L’80-90% degli italiani non ha una laurea e finisce a fare lavori non qualificati (e peraltro ci finiscono anche molti laureati), di questi cosa ne facciamo?

    Hai la bacchetta magica per far sì che da domani mattina (da domani, che la gente deve mangiare domani, non tra 20 anni) gli italiani diventino più intelligenti e dunque più competitivi? O vuoi dirmi che il 10-20% più qualificato (quello in grado effettivamente di competere a livello internazionale) deve lavorare per mantenere tutto il resto della popolazione che è “non competitivo”? Oppure chi non è competitivo va fucilato o buttato fuori dal Paese e spedito in Cina? Sono queste le soluzioni alternative ai dazi (che hanno sempre fatto concettualmente schifo pure a me)?

  18. Antonio Verteramo:

    Ciao Vittorio, al contrario di altri in questo blog, io condivido molte delle osservazioni economiche che fai. Il mio commento volevo farlo invece relativamente ai concetti di destra e sinistra.
    Se nel Novecento questi concetti potevano avere un senso, con una sinistra attenta alle esigenze dei lavoratori e alla creazione di uno stato capace di difendere queste categorie. E una destra interessata a garantire la libertà del cittadino e la sua libera iniziativa. Oggi questi concetti non hanno più senso. Nessun partito politico oggi si permetterebbe di mettere da parte operai o “padroni”. Tutti sanno benissimo che vanno difesi i diritti dei lavoratori, così come vanno protetti piccoli, medi e grandi imprenditori, perché creano lavoro eccetera eccetera…
    Credo che questo sia ormai accettato e compreso da tutti. Proprio per questo tra PDL e PDmenoELLE ci sono così poche differenze. Credo invece che le nuove categorie politiche vadano fatti su nuove istanze, più globali.
    Voglio l’energia nucleare oppure no?
    Voglio una globalizzazione selvaggia oppure no?
    Voglio una difesa dell’acqua pubblica (e di altri settori a mio avviso strategici come le comunicazioni, i trasporti… ecc.. ma su questo perdonami sono veterostatalista) oppure no?
    I futuri partiti politici dovranno differenziarsi su queste scelte, perché obiettivamente tra la politica economica di un Tremonti o di un Bersani, qualcuno saprebbe distinguere qual’è di destra e qual’è di sinistra?
    Saluti, Antonio V.

  19. Alberto:

    vb,
    non ho la bacchetta magica e, non facendo il politico, non mi interessa sostenere di averla. Conseguentemente non ho un modo per risolvere i problemi domani, né con i dazi, né senza dazi, ma non penso ce l’abbia nemmeno tu. Mi limito a ricordare le conseguenze dell’introduzione dei dazi come ho fatto sopra, cioè una sostanziale autarchizzazione della nostra economia, con effetti forse positivi nel breve termine, nei termini di salvaguardia dello status quo, ma che ci consegna a una progressiva arretratezza nel lungo periodo che fatalmente non può che voler dire regressione del benessere di tutti.
    Del fenomeno dell’eliminazione dei confini non possiamo prendere la parte che ci piace (progressiva pacificazione, governo dei fenomeni globali, costi bassi della tecnologia, eccetera) e scartare quelli che non ci piacciono, ovvero la progressiva eliminazione del gap tra paesi poveri e paesi ricchi (cioè impoverimento per noi). Quello che possiamo sperare è che la crescita rapida del benessere nei paesi poveri determini una condizione di equilibrio tra noi e loro ad un livello accettabilmente alto e dobbiamo inoltre sperare che l’opinione pubblica nostrana sia in grado di accettare una divisione equa dei costi di questo fenomeno e per far questo è fondamentale una forte coesione sociale. La mia impressione è che valga la pena di concentrarsi su questo punto più che provare ad invertire le lancette dell’orologio ma naturalmente è una mia opinione.

  20. vb:

    Nessuno contesta la progressiva parificazione dei livelli di vita tra le varie aree del mondo, che per certi versi è anche un fenomeno di equità. Quello che si contesta è che questa progressiva parificazione venga sfruttata per aumentare a dismisura le disparità sociali della nostra società, senza provare a mitigarle in alcun modo.

    I cambiamenti sociali troppo rapidi e non gestiti sono distruttivi per le società, vale per l’immigrazione e vale per la globalizzazione. Dunque è necessario trovare il modo di rallentare questo fenomeno dando il tempo alle persone di riattrezzarsi; se la soluzione è riqualificare gli italiani verso la “fascia alta” dei lavori mondiali, ammesso che sia possibile dato che l’intelligenza del mondo non è sproporzionatamente concentrata in Italia, ci vuole tempo, tempo nel quale gli italiani devono poter sopravvivere.

    Mi sembra ben triste una idea di modernità dominata dalla crescita del prodotto interno lordo e dall’ottimizzazione delle persone a fini produttivi. Forse dovresti ripensare a qual è la società ideale che vuoi costruire: magari l’ideale non è raggiungibile, ma almeno qualche principio guida dovremmo tuttora averlo.

  21. Alberto:

    vb,
    cerco di seguire il tuo ragionamento in cui però mescoli due cose diverse: come vogliamo fare fronte alla crisi attuale e qual è l’ideale di società a cui si vuole tendere. Andiamo per ordine:

    – Come far fronte alla crisi: riassumendo, tu sostieni che la globalizzazione non è un fenomeno in sé negativo ma si sta sviluppando in modo selvaggio causando danni enormi e andrebbe invece controllato ed eventualmente rallentato per minimizzarne gli impatti negativi. Condivio il ragionamento. Il punto è però che oggi non c’è nessuno che abbia davvero il controllo di questo fenomeno e certamente non ce l’ha chi governi il nostro paese. Rimettere i dazi in Italia non significa rallentare la globalizzazione, significa chiamarsene almeno parzialmente fuori, con effetti tutti da verificare sulla nostra economia che alla globalizzazione si stava faticosamente adattando. Siamo pronti ad un eventuale uscita dallo spazio di libero scambio europeo? Competere sul mercato internazionale ha voluto dire crisi per alcuni ma ha anche fatto prosperare altri. Le ditte italiane che esportano all’estero sono pronte ad eventuali battaglie doganali? Siamo sicuri di non rischiare solo un allargamento del problema? Non ha più senso affrontare il problema e quindi l’obiettivo di mantenere l’equità sociale ad esempio con un riequilibrio fiscale che aiuti le imprese e i lavoratori ad essere ancora competitivi nonostante la globalizzazione? Certo, dovremmo avere un governo che lo fa, ma questo è un altro discorso.
    – Ideale di società a cui tendere: l’ideale di società è quello, nella mia visione, in cui si trova un equilibrio tra allocazione efficiente dei mezzi di produzione e la condivisione delle ricchezze prodotte, sia tra le diverse classi sociali che tra le diverse aree del mondo. Questo perché da un lato a tutti piace a tutti avere un livello di benessere in crescita ma dall’altro è fondamentale che tale crescita investa tutti e non solo qualcuno. E questo sia per motivi etici, sia perché una società più equa sfrutta al meglio le energie di tutti e quindi cresce di più, sia infine perché in una società dove i contrasti sono troppo marcati si finisce alla rivolta di piazza. Questo equilibrio è particolarmente critico in un momento come questo dove le ricchezze prodotte si assottigliano e condividerle comporta delle rinunce. A mio avviso in Italia c’è chi per anni ha pensato, ubriacato dai deliri ottimistici del berlusconismo, di poter scaricare le rinunce sugli altri, di poter avere la botte piena e la moglie ubriaca, di avere il SUV e le strade per correrci sopra, di poter avere le tasse basse, il debito pubblico al 120% e servizi efficienti. A costoro andrà spiegato che li hanno presi per fessi, che la crisi se la devono sobbarcare anche loro e non solo gli operai di Mirafiori, ma certamente non glielo può spiegare chi li ha ubriacati per quindici anni, ma questo è di nuovo un altro discorso… :-)

 
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