Speriamo nel buon senso
In rete, la vicenda della settimana è quella della pizzeria Mamita (ex Bagni Doria) di Loano, il cui titolare due settimane fa, rivedendo il menu, ha avuto l’idea di chiamare una pizza Speriamo nel Vesuvio. Un cliente ha messo la foto su Facebook e la cosa è giunta sul noto paginone neoborbonico Briganti, che ha scatenato sul locale la classica tempesta di merda: razzisti, leghisti, assassini, dando per scontato che, come in tutti gli stadi lombardo-veneti in cui all’arrivo dei napoletani gli ultrà gridano “Forza Vesuvio”, si trattasse di una speranza di eruzione.
E così, da Napoli sono partite richieste di scuse e genuflessioni, telefonate minatorie al locale, inviti al boicottaggio di Loano e dell’intera Liguria, cori di speranza nel Bisagno e in ulteriori alluvioni, ondate di recensioni negative al locale su tutti i siti di settore e anche minacce di visita di persona per rispondere a mazzate (ovviamente sempre a mezzo tastiera), e in breve la questione è diventata un caso nazionale.
Premetto che in questa vicenda sono di parte, se non altro perché in quel locale di Loano, anche se con la precedente gestione, ho festeggiato poco più di un anno fa il matrimonio di mio cugino, e a Loano ho un sacco di parenti e i miei più bei ricordi dell’infanzia. Premetto che sono di parte anche dall’altra parte, come mi tocca sempre rimarcare ogni volta che si parla di terroni & polentoni, perché, nonostante il cognome tipicamente torinese e ascendenze piemontesi da settantasette generazioni, un quarto del mio sangue deriva direttamente da una famiglia di antica nobiltà napoletana, e ne vado molto orgoglioso.
Non so se siano vere le giustificazioni del gestore, che sostiene che l’intento del nome fosse esattamente l’opposto, ossia benaugurale per i vesuviani. Pur essendovi affezionato, riconosco che il lungomare di Loano quanto a livello culturale non è Oxford e che quell’augurio cretino con retroterra di razzismo è una delle classiche scemenze che vengono dette a cuor leggero un po’ per tutto il Nord, pensando di fare una battuta simpatica che, vista da chi sul Vesuvio ci vive davvero, giustamente non risulta affatto simpatica.
Da qui, però, a pensare che uno che chiama una pizza così stia seriamente sperando nella morte di migliaia di persone, e quindi meriti di avere la vita rovinata e la propria attività lavorativa messa a rischio, ce ne passa. Così come ce ne passerebbe, almeno se esistesse ancora un giornalismo serio, tra il raccontare il caso e il fare articoli con nome, cognome, indirizzo e numero di telefono invitando di fatto al linciaggio (basta leggere i commenti agli articoli o al post originale su Facebook).
Anche gli admin della pagina Briganti, più che di Napoli, sembrano di San Damiano, a forza di tirare la pietra e nasconder la mano, per esempio ripostando la questione una volta al giorno ma poi dicendo che “naturalmente noi non auguriamo invece ai genovesi di essere alluvionati” (forse bisognerebbe fargli un ripassino di geografia, visto che tra Loano e Genova ci sono quasi cento chilometri e che Loano non è mai stata alluvionata).
La cosa che più mi spiace è il diffondersi al Sud di una mentalità uguale e contraria a quella della Lega, per cui i problemi del Sud sono solo colpa degli abitanti del Nord, e qualsiasi stronzata più o meno razzista partorita da un singolo polentone diventa un modo per rinforzare il vittimismo, prontamente strumentalizzato a fini politici (tra un post e l’altro, quelli di Briganti promuovono un nuovo partito civico campano). E questo spiace, perché il meridione è pieno di luoghi meravigliosi e di potenzialità inespresse, e alle volte sembra che dovrebbe soltanto credere un po’ di più in se stesso invece di recriminare.
Mi piacerebbe comunque sapere cosa ne pensano i miei amici del Sud e del Nord. Nel frattempo, già prima di questa storia, avevo invitato a cena per stasera una coppia di amici napoletani: io ci metto la bagna caoda e loro il dolce. Tra una cosa e l’altra, magari intingendo la pastiera nelle acciughe, sono curioso di discutere la questione.