Perché Uber non è il progresso
Ha fatto rumore la sentenza del Tribunale di Milano che dichiara UberPop – il servizio principale di Uber, quello in cui chiunque può prendere la propria auto e cominciare a trasportare gente a pagamento – illegale in tutta Italia, e ne impone il blocco entro quindici giorni.
Eppure, per chi ha approfondito la vicenda, la sentenza era inevitabile: per la legge italiana, il servizio di trasporto pubblico di persone non di linea può essere svolto solo dai tassisti o dagli NCC (noleggio con conducente), entrambi sottoposti a licenza. Anche le sentenze dei giudici di pace tanto sbandierate nelle scorse settimane non hanno mai detto che UberPop è legale, ma piuttosto hanno contestato la regolarità del modo in cui i vigili avevano sequestrato le auto agli autisti Uber, dicendo che dovevano farlo in un modo diverso oppure che comunque il sequestro dell’auto era una punizione eccessiva; bastava leggerle.
Sento però già i cori di gente che parla di libertà del mercato violata, di vittoria delle lobby, di resistenza al progresso, di cittadini forzati a farsi rapinare da tassisti esosi e violenti (a proposito, i tassisti spesso hanno avuto comportamenti spregevoli, e sono bravissimi a farsi odiare dalla gente; ma questo non cambia il discorso che sto per fare). Per questo voglio mettere in evidenza che la vera questione in ballo non è affatto quella che pensate, ed è molto più importante di quello che sembra.
Vi siete chiesti, infatti, come fa Uber a praticare prezzi così bassi? E’ bello credere che i tassisti si arricchiscano sulle spalle degli italiani, e che sarebbe possibile viaggiare tutti in taxi per metà del prezzo, ma non è così. Se esistono margini per abbassare un po’ i prezzi, naturalmente senza introdurre sovvenzioni pubbliche, sono legati a un migliore utilizzo dei veicoli: oggi ci sono troppi taxi in funzione della domanda che si è ridotta, per cui molti passano il tempo in attesa di una chiamata, lavorano poco e guadagnano poco.
I prezzi dei taxi, comunque, non sono fissati dai tassisti, ma dalle Province e dai Comuni, esattamente come i prezzi del biglietto dell’autobus; chiedere di pagare meno il taxi è come chiedere di pagare meno l’autobus, con la differenza che i biglietti dell’autobus coprono solo un terzo scarso del costo del servizio (il resto è sovvenzionato dalle tasse di tutti), mentre il prezzo del taxi deve ripagare tutto il costo. Se un viaggio in bus costasse 4,50 Euro, come da costo effettivo, il prezzo del taxi non sembrerebbe così esoso.
Uber, invece, taglia su ben altri costi. Il prezzo della corsa viene determinato con il costo chilometrico ACI, che come sappiamo è una misura generosa dei costi di esercizio di un’automobile; su quello, il 20% viene trattenuto da Uber, mentre l’80% va all’autista. Uber, però, paga le tasse in Olanda, ad aliquote ridotte, e non in Italia; pur avendo una filiale italiana, essa rigira gli incassi alla casa madre come “affitto della piattaforma”. L’autista, invece, prende i soldi e dichiara che sono semplicemente un rimborso spese, e non un reddito da lavoro, per cui non sono soggetti a tasse.
Quindi, su ciò che voi pagate all’autista Uber, nessuno paga tasse in Italia; il tassista, invece, paga allo Stato italiano le tasse sul reddito e i contributi previdenziali ed è soggetto agli studi di settore, il che vuol dire che anche se evade finisce per pagare lo stesso, mentre se invece lavora pochissimo paga comunque una botta di tasse; e questo fa grande differenza sui prezzi.
Già il modo furbetto in cui si presenta Uber dovrebbe inquietarvi: ci sono tante persone disoccupate che vogliono lavorare per Uber e tanti che reclamano la liberalizzazione di Uber perché “porta lavoro”, eppure la società stessa pubblicizza il servizio come un modo divertente di passare il proprio tempo per “coprire i costi della propria auto”, senza fine di lucro; lo dice anche la pubblicità di Uber su Facebook.
Insomma, ufficialmente non è un lavoro per guadagnare, è proprio che all’autista Uber fa piacere uscire di casa e passare il tempo libero portando uno sconosciuto da un posto a un altro posto dove altrimenti non sarebbe mai andato: ma dai!! (Questa, tra l’altro, è la differenza con Blablacar, che invece permette davvero di condividere la spesa per un viaggio che si farebbe comunque.)
Ma le differenze di costo non finiscono qui. Il tassista deve conseguire e pagarsi una patente speciale, ossia un certificato di abilitazione professionale; l’autista Uber no. Il tassista è soggetto a visite mediche annuali a campione per verificare che non faccia uso regolare di droga e che sia in salute; l’autista Uber no. Il tassista ha limiti ben precisi di orario al volante; l’autista Uber, se l’app glielo concedesse, potrebbe guidare per ventiquattr’ore di fila. Il tassista paga una assicurazione professionale che copre qualsiasi danno; l’autista Uber gira con la normale assicurazione RC auto, sulla quale è scritto esplicitamente che è escluso il trasporto a pagamento, e auguri a voi se venite coinvolti in un incidente come passeggero pagante (Uber giura di avere una assicurazione integrativa, sperate in bene).
Tutti questi sono costi; ora, possiamo anche decidere che alcune di queste cose sono eccessive, ed è giusto che vengano eliminate. Ma allora le eliminiamo per tutti, a partire dai tassisti; così poi sì che si può fare “concorrenza sul libero mercato”. E le facciamo eliminare al Parlamento, non a una multinazionale che arriva qui e fa quello che le pare.
C’è, infine, il problema del costo della licenza. Questo per me non è un problema concettuale: ci sono altre categorie che avevano una licenza che ha perso di valore di botto, fa parte del rischio d’impresa. E’ comunque un problema pratico: ci sono migliaia di giovani che si sono ipotecati la casa o hanno fatto colletta tra i parenti per pagare 100.000 o 150.000 euro di licenza, davvero li vogliamo mettere in mezzo a una strada? Aggiungo solo che, contrariamente a quel che si crede, la compravendita di licenze taxi non è nè illegale nè in nero, ma è riconosciuta e soggetta al 23% di tasse, cioè decine di migliaia di euro a transazione, che lo Stato italiano in questi anni ha tranquillamente incassato.
Ma questo non è nemmeno il punto vero; il vero problema è il modello di lavoro che Uber rappresenta. I tassisti sono una categoria di piccoli imprenditori di se stessi, ognuno dei quali vive, lavora e paga le tasse in Italia, e si è conquistato nel tempo diritti e doveri, e in particolare l’indipendenza da un padrone; al massimo i taxi si radunano in cooperativa, ma non sono dipendenti.
La proposta di Uber è quella di sostituirli con un esercito di persone precarie, non professionalizzate, senza alcun diritto, mentre gli utili del sistema di gestione se ne vanno all’estero. Lo stipendio di queste persone, perdipiù, è totalmente incerto, proprio perché le condizioni di lavoro degli autisti, nonché i prezzi e la ripartizione, sono stabiliti da Uber come vuole. Non ci sono garanzie, e, se Uber vuole, da domani non guidi più e perdi il lavoro; e in più, presto gli autisti si accorgeranno che l’80% del rimborso chilometrico è un compenso che permette a malapena di rientrare nelle spese, e quando dopo aver incassato apparentemente un buon guadagno scopriranno che devono cambiare la macchina per usura già l’anno prossimo spendendo anche più di quanto incassato, nessuno sarà lì ad aiutarli; ci saranno invece altri disoccupati pronti a immolare la propria auto per incassare un po’ di soldi subito.
Insomma, altro che “sharing economy”, questo è semplicemente il caporalato come per i poveretti che raccolgono i pomodori nei campi, la stecca del 20% da pagare ogni giorno per poter lavorare. Capisco che questo sia il modello che piace ai grandi investitori finanziari e ai loro media, ma non capisco perché piaccia a voi. Davvero questo sarebbe il progresso?
Per questo io penso che sia giusto che Uber e i suoi autisti possano offrire il loro servizio, che è ben fatto e ben realizzato; ma alle stesse condizioni dei tassisti. La politica, finora latitante, dovrebbe battere un colpo e decidere se mantenere le condizioni attuali o rivederle per tutti, assicurandosi in primo luogo che le tasse sul servizio di trasporto restino pagate in Italia, che i clienti siano garantiti nella sicurezza, e che i lavoratori abbiano i propri diritti. A quel punto, ben venga Uber; credo però che i prezzi non caleranno così tanto, ma credo anche che sia giusto così.