Di nomadi, cani e immondizia (3)
Stamattina, insieme ad altri portavoce ed attivisti del Movimento 5 Stelle, sono stato in via Germagnano per parlare sia con gli abitanti del campo nomadi che con i volontari dell’ENPA.
I volontari, giustamente esasperati, chiedono che il Comune provveda a garantire la guardia notturna del canile, attualmente svolta da uno di loro. La famosa pattuglia dell’esercito che doveva garantire l’ordine sostanzialmente non si è ancora vista; i danni sono stati quasi interamente riparati, grazie anche a numerose donazioni, ma hanno paura che possa arrivare presto un nuovo assalto. Ad ogni modo, non c’è nessuna intenzione di abbandonare il canile costruito con tanta fatica ben prima che il Comune mettesse lì i rom.
Nel campo nomadi siamo stati accolti nella casetta occupata da due anziane suore (sante donne veramente), dove abbiamo avuto una lunga discussione che ha coinvolto anche uno dei vecchi capifamiglia del campo e alcune persone che lavorano o hanno lavorato lì come operatori sociali. Ho avuto un’altra conferma delle dinamiche interne di cui vi parlavo; il campo, che nei primi 6-7 anni di vita è stato relativamente tranquillo, è degenerato negli ultimi anni per via di alcune famiglie prepotenti, che hanno fatto anche fuggire altre famiglie, bruciando le loro baracche. Qualcuna di queste famiglie violente è stata anche allontanata dal campo, ma continua ad esercitare il proprio potere dall’esterno.
Comunque, emerge un problema di fondo: il campo è stato progressivamente abbandonato a se stesso. Le casette vengono abbandonate e bruciate perché dal 2006 il Comune non procede a nuove assegnazioni di quelle che si liberano, e alcuni servizi che erano stati creati, ad esempio per intrattenere ed educare i bambini, sono stati nel tempo dismessi con la scusa che si vogliono smantellare i campi. E’ vero che i campi vanno smantellati, ma o lo si fa veramente oppure nel frattempo essi diventano una incontrollabile terra di nessuno.
Parte del problema è veramente legato ai bambini; ci sono famiglie che li curano, li accudiscono e li mandano a scuola, ma ce ne sono altre che se ne fregano completamente dei propri figli, col risultato che (grazie anche all’elevata prolificità dei rom) nel campo si è creato un nucleo di decine di bambini e ragazzini che vivono in gruppo dalla mattina alla sera, completamente allo stato brado, e per passare il tempo tirano i sassi, bruciano le cose, spaccano, disturbano in giro per la zona. Alcuni capifamiglia hanno cercato di convincere gli altri che quello non è un buon modo di gestire i figli, ma senza grandi risultati.
Ho comunque scoperto numerosi fatti che attribuiscono alle istituzioni italiane altrettanta responsabilità del degrado di quella che hanno gli occupanti del campo. Per esempio, la baracca costruita dagli stessi rom per dare ai ragazzini un luogo dove giocare nel campo, senza andare a dar fastidio in giro, è stata sequestrata dalla magistratura tempo fa ed è ancora lì sigillata. Per esempio, le casette non hanno l’abitabilità , perché il Comune le ha date ai rom a titolo di “magazzino”, pur costruendoci dentro il bagno e quant’altro. Per esempio, i lavori di recupero di quattro delle casette bruciate, attesi da tempo, sono casualmente iniziati proprio mercoledì scorso, giorno della manifestazione in strada. Per esempio, il progetto di sostegno sociale e avviamento all’integrazione finanziato quasi due anni fa con 1.200.000 euro non è ancora partito, perché la convenzione con le cooperative prevede che i destinatari siano gli occupanti autorizzati del campo, ma il Comune non è stato in grado di fornirne la lista; tra sei mesi il contratto scade, e sospetto che i soldi dovranno essere pagati comunque alle cooperative, che il progetto sia stato fatto oppure no.
Io penso che invece di gridare slogan, che siano pro o contro i rom, sia necessario rimboccarsi le maniche ed entrare nel dettaglio dei problemi, scavando fino a scoprire cosa non funziona e come lo si può sistemare. La sensazione è che tra i rom ci siano sicuramente molte persone che delinquono o perlomeno che non sono in grado di stare in una società civile, ma anche che molta gente in giacca e cravatta ben inserita nella società italiana ci marci sopra in ogni modo, tanto è facile dare la colpa ai rom per qualsiasi propria inefficienza, negligenza o addirittura ladrocinio.
Oggi nel campo c’erano i carabinieri in forze, stanno cercando di identificare uno per uno i ragazzini e ragazzoni che hanno compiuto l’assalto al canile. Poi, però, bisognerà capire cosa farne; i servizi sociali cercano di darli in affido diurno, ma a parte la difficoltà di trovare una famiglia che voglia prendersi in casa un ragazzino rom quindicenne cresciuto per strada e molto più adulto (soprattutto nel male) dei suoi coetanei italiani, poi la sera lo si rimanda nel campo e siamo da capo. Anche i progetti di educazione alla genitorialità , già difficili con gli italiani, sono molto più difficili coi rom.
Tuttavia, le scelte non sono molte: detto che molte delle famiglie che vivono nel campo sono in Italia da quarant’anni almeno e i più giovani sono cittadini italiani come tutti noi (quindi non esiste “rimandiamoli al loro Paese”), o pensiamo di far schiacciare alle ruspe oltre alle baracche anche le persone, bambini compresi, oppure bisogna faticosamente educare al rispetto della convivenza civile, un po’ con la carota e un po’ con il bastone. Il primo passo di tutto ciò è guardarsi negli occhi, cosa che a quanto pare, in dieci anni, tra campo e canile non è mai avvenuta. Scoperto che abbiamo tutti due braccia, due gambe e una testa, talvolta illuminata e talvolta un po’ di cazzo, si può proseguire ad affrontare i problemi invece di gridarne soltanto.